Dal punto di vista relazionale, la mentalità invalidante si esprime con atteggiamenti di chiusura e refrattarietà al cambiamento, che possono oscillare da una posizione di incapacità di chiedere, di sfiducia e tristezza sino ad una posizione di inossidabile attaccamento al rischio di riammalarsi, alla definizione di sé come "ammalate", indipendentemente dalle effettive condizioni di salute, alla incessante richiesta di attenzione e comprensione.
La mentalità invalidante erige a vessillo della nuova condizione di vita dopo il cancro il "principio di incertezza", trasformandolo in una costante dichiarazione di debolezza e di impossibilità a sperare.
E una posizione adattiva che, tuttavia, per qualche donna tende a trasformarsi in una nuova identità drammatica che mette perpetuamente in scacco coloro che, intorno a lei, vorrebbero assumere ruoli di aiuto o sono esplicitamente richiesti di farlo.
Lo star bene e la speranza
La strada che porta dall'incontro con il cancro alla possibilità di riprendere a vivere pienamente può essere dunque difficile, colma di asprezze, prove durissime, dolori emotivi anche più forti e più duri di quelli fisici. Gli adattamenti che vengono messi in atto hanno lo scopo di consentire la sopravvivenza, ma se introducono a nuove e croniche forme di sofferenza essi sembrano in parte fallire il loro obiettivo.
Il benessere e la speranza sembrano infatti, nella loro generica e confusa intuitività, le mete ultime dei processi di adattamento, a meno che essi non virino potentemente nella direzione di accettazione della morte sentita come imminente. Anche in quest'ultimo caso, tuttavia, parlare di speranza e di benessere psichico ha un senso, poiché anche la capacità di morire fa parte del patrimonio affettivo dell'essere umano.
Comunque intendiamo l'esperienza soggettiva dello "stare bene", essa deve trovare uno spazio legittimo originariamente già all'interno delle anguste e problematiche prospettive della malattia. Potrà così più facilmente aprirsi un varco per il successivo consolidamento del benessere, della capacità di reagire, accettare, partecipare, adattarsi in modo psichicamente non squilibrato a ciò che accadrà in seguito.
Stare bene è una realtà affettiva e mentale che non necessariamente coincide in tutto con lo stato effettivo di salute di cui si gode ora. È anche una meta, un obiettivo che non ha dimensioni predefinite e può quindi adattarsi anche agli spazi in apparenza più angusti.
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