La storia di un tapascione
La mia vita, da considerare assolutamente normale, è stata piena di cose normali
nel senso che ogni giorno di essa, forse grazie al mio terribile e bellissimo lavoro, ho imparato
a viverlo come fosse l’ultimo.
Nonostante buona parte della mia esistenza sia stata assorbita dallo studio, è stata la lettura
uno dei passatempi preferiti insieme alla musica compagna costante di tutte le mie attività: in
sala operatoria, dove approfitto della gerarchia per imporre i miei CD, nei trasferimenti in macchina,
in bicicletta, mentre corro, mentre pratico lo sci di fondo e persino sulle piste da discesa quando
da solo e “senza memoria” affronto il percorso Sella Ronda da Canazei attraverso i passi dolomitici e
le cime delle montagne che a sera si tingono di rosa.
Da giovanissimo avevo praticato diverse attività sportive con alterne fortune.
Tra queste in modo particolare il calcio, come del resto accadeva a quasi tutti i giovani in Italia.
In questa disciplina ho avuto anche qualche riconoscimento, culminato con la convocazione da parte di
un club militante nella categoria semiprofessionisti, più per le mie doti di fondista che per le qualità
tecniche espresse sul terreno di gioco.
Infatti contemporaneamente al calcio praticavo la corsa ed ero affascinato da una disciplina, allora
cenerentola, la Maratona, che annoverava pochissimi atleti praticanti.
Conservo qualche foto di quel periodo.
L’attrezzatura oggi farebbe sorridere: scarpe da tennis prive di qualsiasi elemento ammortizzante, tute
da “imbianchini” (con il dovuto rispetto per la categoria) e ai ristori acqua e zollette di zucchero che
provocavano catastrofiche crisi ipoglicemiche e dilatazioni gastrointestinali.
I pochi coraggiosi che si cimentavano nella maratona venivano inseguiti dai sorrisi di derisione degli
spettatori più moderati e sbeffeggiati dagli altri: ricorderò sempre la maratona in cui ho realizzato il mio
“personale” sotto il mitico “muro” delle 3 ore.
Gli spettatori, pochi e infastiditi per il disturbo arrecato alle loro tranquille attività, negli ultimi 5 km
mi hanno impietosamente rinfacciato ad ogni metro il mio piazzamento, tra gli ultimi, e l’ abissale distacco
che avevo accumulato dal primo concorrente che si aggirava intorno ai 25 minuti.
Oggi questo piazzamento e distacco mi riempirebbero di orgoglio!
Scarsa importanza allora invece veniva data al fatto che il vincitore fosse il primatista italiano della
specialità e che comunque portare a termine una gara di 42 km fosse da considerare un evento straordinario
ancora ai giorni d’oggi e sicuramente da considerare eroico a quei tempi.
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