Paura di vivere, paura di morire, voglia di vivere
Fermarsi, attendere eternamente, in una continua oscillazione tra desideri e paure. Desiderio di abbandonare il passato (per quanto di cattivo ha consegnato alla vita) e paura del futuro (per i rischi inimmaginabili e le sconcertanti trasformazioni che sembrerebbe imporre) oppure paura di abbandonare le sicurezze del passato e desiderio del futuro e delle sue promesse di novità, piaceri, realizzazioni.
Tornare indietro, rifugiarsi nel passato, rientrare definitivamente in ciò che si è magari giudicato colpevole del proprio malessere ma che al tempo stesso è noto, rassicurante e contiene anche soddisfazioni, punti fermi.
Avanzare, accettare le perdite in nome della possibilità di guadagnare una nuova vita, di aprire gli occhi su mondi inediti forse rischiosi ma promettenti.
Nel linguaggio naturale di Attivecomeprima questi tre tipi di adattamento emotivo della donna di fronte alle prospettive di cambiamento scatenate dalla crisi indotta dal cancro sono stati definiti, in modo evocativo e di immediata comprensione intuitiva, come "paura di morire", "paura di vivere " e "voglia di vivere".
Si tratta di atteggiamenti che rivelano caratteristiche di personalità, ma sono anche strategie di adattamento di fronte alla crisi che possono presentarsi, in momenti differenti, nella stessa persona, oppure caratterizzare, ognuna, un particolare e peculiare tipo di orientamento che si stabilizza e viene mantenuto nel tempo. Per questo motivo, anche a distanza di molti anni dal cancro e dalle cure le emozioni ad essi collegate possono essere ancora molto vive e determinare la qualità della vita della donna.
In molti casi l'elaborazione di tali emozioni ha consentito l' apertura a scenari di vita nuovi e più soddisfacenti.
Accade però che esse si stabilizzino in altra direzione, sottoforma, ad esempio, di una cronica tendenza di tipo depressivo e persecutivo, con timori di morte, aumento della dipendenza dalle figure di riferimento (medici, partner, figli, genitori...), malinconia e recriminazione per le perdite subite (quelle relative al seno operato, ma anche tutte le altre perdite della vita, vista ora retrospettivamente come una lunga serie di lutti e di sfortune), sentimento di sventura costante, bassa opinione di sé, impedimento alla vita sociale che non sia quella della ristretta cerchia familiare o di conoscenti da lunga data...
Quest'ultimo scenario viene definito - sempre nel "linguaggio naturale" di Attivecomeprima - come mentalità invalidante.
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