Il passaggio e la colpa

Passare tra un mostro divorante e un vortice che inghiotte o travolge: questo è il rischio di navigazione che affronta Ulisse nel passaggio dello Stretto di Messina. È un rischio terribile di morte che caratterizza, però, un momento di passaggio, di nascita (il transito in uno "stretto", simbolicamente riconducibile al canale del parto). I due mostri che affronta Ulisse sono mostri psichici. Sono angosce depressive e angosce persecutive.
Nell'esperienza di lavoro con le donne operate queste angosce ci sono apparse collegate con sentimenti di colpa collegati all'origine del male misterioso che, nascendo dal corpo e crescendo in esso, poteva (o potrebbe ancora) ucciderlo.
I sentimenti di colpa sono spesso autodiretti (ci si sente responsabili per il proprio cancro), ma anche diretti all'esterno, verso figure significative della vita: i propri genitori o uno di essi in particolare, il proprio partner, i medici, il mondo in cui si vive.
Di quale colpa può trattarsi? Dell'infelicità, del dolore, della mancanza di affetto, di soddisfazione, dell'ingabbiamento in relazioni tormentate, con se stesse e con gli altri. Tutto ciò può ora essere sentito come un fardello intollerabile, un macigno che trascina verso il basso, uccide.
Esiste un universo di colpevolizzazione che riguarda una ipotesi psicosomatica del cancro direttamente formulata dalla donna.
Ne esiste, però, anche un altro, che riguarda le colpe che si sentono se si sente che in seguito al disastro del cancro è necessario apportare cambiamenti alla propria vita.
La decisione di cosa cambiare e sul come farlo pone problemi valoriali. Quali valori introdurre per progettare il futuro? Se ci si sente convinti che la vita precedente, le relazioni prece denti, il nostro precedente modo di essere ci rendevano infelici, come potremo evitare che ciò accada nel futuro? E come potremo cambiare senza distruggere valori che hanno ispirato le nostre scelte, valori saldi, importanti, normativi?
Per esempio, si può rinunciare a certi modi di interpretare i ruoli di madre, moglie o figlia spesso associati a comportamenti di sollecitudine, sacrificalità, desiderio di adeguatezza?
Avere spazi propri, tempi propri, amicizie indipendenti dalla famiglia: tutto ciò è lecito, ce lo si può consentire? Non si sarà madri che abbandonano, mogli disponibili a tradire, figlie ingrate e ingiuste?
Diventare un po' "egoiste", prendersi cura di sé, cercare il piacere, la consolazione, le emozioni, tutto ciò fa divenire trasgressive, inaccettabili?
E poi, al di là dei ruoli affettivi e familiari, si ha forse voglia di continuare a fare il solito lavoro? O frequentare le solite persone? Da cosa si vorrebbe guarire il proprio passato, che si sente colpevole per la tremenda trappola in cui ci si è trovate o che comunque può ora mostrare limiti ed errori?

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