Un effetto positivo di questo arruolamento è però quello che il trascorrere del tempo senza che si manifestino segnali della malattia dà una sensazione chiara della diminuzione del rischio e consente di sentirsi via via un po' più al sicuro...
In questo cammino che accompagna un lungo tratto della vita ci sono punti di transizione emotiva molto importanti. Uno di questi sembra essere il compimento del "primo anno". Un altro è rappresentato dal passaggio della frequenza dei controlli da tre a sei mesi. Questi momenti sono una sorta di "bilancio positivo" che consente di "voltare pagina", diminuire la sorveglianza e l'ansia.
Se invece si presentano metastasi e riprendono le terapie possono riattivarsi i sentimenti di sfiducia ("lo sapevo, non era possibile che finisse lì..."), disperazione (per il fatto che la malattia sembra più forte delle cure), persecuzione ("è un nemico subdolo, indistruttibile, sta fermo per un po', mi lascia in pace e poi si rifà vivo..."), stanchezza per dover riprendere le cure. E come ricominciare daccapo, ma essendo un po' più in là, avendo già sparato inutilmente le prime cartucce.
Le strategie dell'adattamento
Nella sua nuova condizione, dopo la catastrofe, dentro la crisi, nei passaggi della scoperta della malattia, dell'incontro con i medici, delle cure, dell'incertezza, delle decisioni sulle prospettive della vita...
Il panorama è mutato: che fare?
Adattarsi, esplorarlo, accettare questa nuova regione dello spazio tempo; proseguire, esplorare le novità, separarsi da parti importanti del passato, aprire finestre su panorami inediti?
Oppure puntare alle origini, ricostruire il passato, quanto più identico possibile, nel presente?
Questi interrogativi ci conducono in una scena di adattamento alla nascita. A una nascita non cercata, non voluta, imposta dalla malattia e dai suoi correlati affettivi, sociali, relazionali.
I compiti adattivi riguardano allora la decisione di nascere, di essere protagoniste e non vittime di questo passaggio della vita.
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