Mi trovo talvolta costretto a "rimediare" spostando la comunicazione sui familiari, se presenti, facendo emergere il concetto di morte per esorcizzarlo con frasi che instaurino un'atmosfera più rilassante.
Mi ricordo che, rivolto ai familiari, più di una volta ho utilizzato la frase: "con questa malattia non riuscirete a liberarvi di lei...".
Una paziente mi ha riferito che Umberto Veronesi le aveva detto: "lei ha le stesse probabilità di venire ai miei funerali che io ai suoi". Frasi come quest'ultima, in cui non solo non viene rimosso il concetto di morte della paziente, ma ad esso viene anteposto addirittura quello del medico, ristabiliscono una condizione nella quale "la sgradevole verità" assume lo stesso significato per entrambe le parti.
Molto spesso mi accorgo che parte dell'informazione che do è eccessiva e la paziente finisce con il ricevere più informazioni di quanto sia capace o desiderosa di sopportare.
Purtroppo non è sempre facile capire il grado di bisogno di informazione di ogni persona. Mentre alcune esitano a chiedere, altre manifestano un atteggiamento che mi induce a pensare che desiderino maggiori particolari mentre è vero il contrario.
Spesso nella mia esperienza, il solo fatto di dare risposte soddisfacenti, funge da elemento di incoraggiamento per la paziente che si sentirà autorizzata a porre domande su quello che la riguarda.
Per esempio il poter proporre una chirurgia conservativa, sicuramente costituisce una informazione positiva; così comemolto apprezzata l'esigenza manifestata dal chirurgo, dopo: l' avvento della chirurgia conservativa, a valorizzare un organo che prima veniva sistematicamente sacrificato.
Se non altro, questa "esigenza tecnica" viene interpretata dalla paziente come un atto di rispetto alla persona nella sua globalità.
D'altra parte non deve stupire che almeno nella prima fase della relazione, il problema estetico che riguarda il seno sia una esigenza sentita, più dal chirurgo che dalla paziente, la quale non ha avuto ancora il tempo di fare emergere le proprie paure derivate dalla recente scoperta di avere un cancro.
È quindi necessario lasciarle un tempo sufficiente perché la verità sia assorbita, prima di affrontare argomenti che probabilmente, in quel momento, verrebbero vissuti come una sottovalutazione della tempesta emotiva provocata.
Se è più facile esorcizzare il cancro e la morte, perché la stessa paziente mi aiuta verbalizzando le sue paure, un discorso a parte deve essere fatto per l'eventualità delle metastasi.
La metastasi è temuta più della morte, perché può significare lunga e interminabile sofferenza; la morte invece nel vissuto di pazienti che hanno avuto un familiare affetto da cancro, è sentita addirittura come liberatoria: la "dolce" fine alle sofferenze.
Quando una donna si rivolge a me scegliendomi come suo medico, perché ha notato una anomalia al seno, ha inizio una storia nella quale sarà sempre lei ad essere il soggetto principale e non l'eventuale malattia.
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