Leggere un lavoro scientifico è sempre più difficile. Oltre al linguaggio sempre più ricco di specialismi occorre destreggiarsi fra piccoli indizi che ne rivelino difetti che l' autore ha ritenuto di dover nascondere dietro alla perfezione formale richiesta dall ' editore. Un elementare criterio di trasparenza imporrebbe che chi pubblica dei risultati sperimentali metta i dati su cui ha tratto le sue conclusioni a disposizione di chi volesse analizzarli di versamente. Le riviste scientifiche potrebbero condizionare l' accettazione degli articoli al deposito dei dati originali in una opportuna banca, suscettibile di aggiornamenti e correzioni, formalizzare criteri secondo i quali i lettori interessati possano accedervi, e fare da garanti di una corretta utilizzazione. Da anni propongo questa soluzione senza risvegliare particolare interesse nei colleghi. Un errore scientifico non è, o almeno non dovrebbe essere, una particolare vergogna; capita a tutti i ricercatori in buona fede; solo nasconderlo diventa colpa grave. Ci sono laboratori dove non si fanno mai errori: vuol dire che non vi si fa niente di nuovo o che i risultati sono sospetti. L' errore più comune è che quando un esperimento o una osservazione dà i risultati attesi non viene neanche il dubbio che possa essere stata condotta male, e spesso si pubblica senza fare controlli e senza mettere in guardia il lettore sui limiti dello studio. Oppure, se i limiti sono evidenti, li si menziona dichiarando che un attento scrutinio dei dati suggerisce che il loro effetto sia piccolo e non pregiudichi la validità complessiva dei risultati. I risultati di Guernsey furono confermati da una serie di studi in cui si confrontava la concentrazione degli ormoni nel sangue o nelle urine di donne ammalate con quella delle donne sane; questi studi avevano numerosi difetti, ad esempio le donne sane utilizzate come controllo non appartenevano alla stessa popolazione delle malate, il prelievo di sangue non era fatto alla stessa ora, o non si controllava se fosse ro nella stessa fase del ciclo mestruale, o che le procedure di preparazione e di conservazione dei campioni fosse la stessa. Ma quando i risultati non sembrano mettere in crisi la teoria dominante li si accetta volentieri. Solo eventuali risultati contrari vengono guardati con sospetto, pesantemente criticati quando non totalmente ignorati, e spesso è difficile pubblicarli. Mentre le donne di Guernsey partecipavano allo studio sugli androgeni surrenalici, alcuni patologi e ginecologi, negli Stati Uniti e in Italia, constatavano che le ovaie delle donne con cancro della mammella erano caratterizzate da una iperplasia (cioè da un aumento) del tessuto interstiziale. Nell'ovaio vi sono due tipi principali di tessuti, il tessuto interstiziale, dove viene prodotto il testosterone, un androgeno molto potente che viene sintetizzato a partire dai deboli ormoni surrenalici di cui abbiamo parlato sopra, e i follicoli oofori, deputati alla maturazione delle uova, dove gli androgeni vengono trasformati in estiogeni; il follicolo, dopo l' ovulazione, si trasforma in un organello giallo, detto corpo luteo e produce il progesterone. Un'iperplasia del tessuto interstiziale suggerisce che la produzione androgenica sia aumentata, infatti molti studi riscontra rono alti livelli di testosterone nel sangue e nelle urine delle pazienti con carcinoma mammario. Naturalmente questi risultati furono visti con sospetto da chi ormai credeva che gli androgeni fossero protettivi, e tuttora molti autorevoli esperti di cancro si comportano come se questi risultati non fossero stati mai prodotti. L'iperplasia del tessuto interstiziale è spesso associata a un malfunzionamento dell'ovaio, che non riesce a sostenere con regolarità la sua funzione mensile di ovulazione e spesso sviluppa cisti, causando sterilità e una serie di disturbi delle mestruazioni. Nacque così la teoria dell'insufficienza luteinica (il follicolo non giunge a maturazione per cui non si forma il corpo luteo e non viene prodotto progeste rone) a integrare la teoria dell ' eccesso degli androgeni ovarici nell'interpretazione causale del cancro mammario. Anche questa teoria ricevette numerose conferme empiriche anche se non così numerose come quelle che confermavano gli alti livelli di testosterone. Suscitò però molto entusiasmo, tanto che ancora oggi ci sono medici, soprattutto in Francia, che prescrivono farmaci progestinici nella convinzione di prevenire il cancro della mammella. Nel frattempo altri studiosi sviluppavano le teorie estrogeniche, che ancora oggi vanno per la maggiore, secondo le quali il cancro mammario si svilupperebbe per un' eccessiva stimolazione estrogenica delle cellule epiteliali della mammella. Queste teorie hanno una base concettuale e sperimentale molto ampia: le cellule mammarie hanno alla loro superficie recettori per gli estrogeni (ma anche per gli androgeni e per il progesterone), hanno bisogno degli estrogeni per moltiplicarsi, e tanto più presto arriva la menopausa, quando l'ovaio smette di produrre ciclicamente estrogeni (ma anche progesterone), tanto più basso è il rischio di ammalarsi.

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