Senza teorie - diceva Sir Karl Popper - non potremmo nemmeno vivere. Persino le nostre osservazioni quotidiane vengono interpretate con il loro aiuto: il marxista vede lotta di classe dappertutto, il freudiano scorge ovunque repressione e sublimazione. Ciò dimostra che il nostro bisogno di teorie è immenso, ma immenso è anche il loro potere. Bisogna evitare, dunque, di diventare dipendenti da una qualsiasi particolare teoria. Non dobbiamo lasciarci rinchiudere in una prigione mentale.

La storia delle teorie ormonali del cancro della mammella dimostra invece come i ricercatori si siano ben spesso lasciati prendere dalla passione per la loro costruzione teorica, cercando in ogni modo di salvarla dalle critiche, fino a dar più peso a studi superficiali, mal disegnati o mal analizzati, talvolta grossolanamente sbagliati, ma coerenti con l' amata teoria, che a solide evidenze contrarie. La strategia falsificazionista, cioè di cercare con ogni mezzo di sfidare la validità della propria teorìa, per credervì un po' dì pìù solo se sopravvive alla prova sperimentale più rigorosa, non ha mai avuto grande successo fra glì scìenzìati. Nello stesso tempo è prudente non abbandonare una teoria promettente solo perche ne è sorta un' altra più prestigiosa che attira le attenzioni del pubblico e degli organismi che finanziano la ricerca, o perche non riesce a spiegare qualche fatto alla moda a cui il mondo scientifico che conta sembra dare importanza. Ogni teoria scientifica viaggia permanentemente in un' oceano di anomalie, dicono i critici di Sir Karl Popper, e frettolose falsificazioni potrebbero ritardare l'imbocco di una strada risolutiva. Il numero di studiosi del cancro della mammella, del cancro in generale, aumenta continuamente e la crescita delle pubblicazioni scientifiche è esponenziale; parallelamente aumenta la difficoltà di orientarsi in un mare di "fatti" scientifici continuamente prodotti e criticati, rimaneggiati dimenticati riscoperti, dove il criterio di eccellenza che dovrebbe guidare l'emergere di nuovi programmi di ricerca si scontra perennemente con il criterio di coerenza con i pregiudizi che affliggono il mondo scientifico e medico esattamente come ogni altro ambiente culturale umano. All'inizio degli anni' 50 alcuni medici e chimici inglesi alla ricerca di indicatori prognostici del cancro della mammella, cioè di esami che sapessero predire la probabilità di guarigione, iniziarono ad esaminare le urine delle pazienti per le sole sostanze ormonali che allora era facile misurare (perche caratterizzate da configurazioni chimiche facilmente identificabili) e presenti in elevate concentrazioni, i cosiddetti 17-cheto-steroidi, deboli ormoni androgeni prodotti dal surrene. Scoprirono, o credettero di scoprire, che le pazienti con livelli alti rispondevano meglio alle terapie; pensarono quindi che gli stessi ormoni potessero essere importanti non solo per l' evoluzione del tumore ma anche per la sua formazione. Per verificare l'assunto iniziarono quindi un grande studio senza precedenti: raccolsero campioni di urina da cinquemila donne dell'isola di Guernsey e poi seguirono queste donne nel tempo per vedere se si sarebbero ammalate di più quelle con i valori ormonali alti o quelle con i valori bassi. Si ammalarono di più quelle con i valori bassi e fu l' origine di un pregiudizio di decenni che soltanto oggi sta tramontando: la teoria che gli androgeni proteggano dal cancro della mammella. Ancora negli anni settanta c'erano medici apprendisti stregoni che prescrivevano androgeni alle donne troppo "estrogeniche" con un generico scopo preventivo, o specificamente per prevenire la degenerazione maligna di malattie (vere o presunte) benigne della mammella. È possibile che gli androgeni surrenalici abbiano qualcosa a che fare con il cancro della mammella ma certamente non ne sappiamo abbastanza per poterne trarre indicazioni terapeutiche e preventive. Quel che sappiamo è che i livelli di questi ormoni nel sangue e nelle urine diminuiscono con l' età, mentre il rischio di cancro della mammella aumenta con l' età; è logico quindi che delle 5000 donne di Guernsey si siano ammalate prima quelle con i 17-cheto-steroidi bassi; oggi si stanno ammalando quelle che allora erano giovani e avevano i valori più alti e la grande scoperta che ha dominato la letteratura scientifica per oltre 30 anni si sta sgonfiando. Questa storia è appena un po' banalizzata: l' errore forse non era così pacchiano e una certa relazione sarebbe probabilmente rimasta anche correggendo opportunamente per età nelle analisi statistiche. Quel che colpisce è che questa analisi non sia mai stata fatta correttamente. Qui si apre un capitolo di critica attualità: i dati scientifici sono di proprietà del ricercatore o della comunità che gli ha consentito di produrli finanziandogli la ricerca? Le pubblicazioni scientifiche, pur aumentando di numero, si fanno sempre più essenziali, la competizione per lo spazio sulle riviste importanti è tale che si cerca di ridurre i risultati a indici sempre più sintetici, di riassumere la descrizione dei metodi tagliando corto sulle innumerevoli incertezze che sempre accompagnano ogni impresa scientifica, con la ovvia tentazione di tagliare più sulle difficoltà che potrebbero pregiudicare l' accettazione dell'articolo da parte del comitato di redazione, togliendo così al lettore la possibilità di vagliarne pregi e difetti.

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