Prima tappa: 28 km, direzione Cap 214°. A sorpresa alcuni concorrenti vengono chiamati al controllo antidoping, le provette verranno inviate ad un laboratorio di Parigi e i risultati si aspettano per la fine della gara. L´euforia, l´adrenalina, si tagliano con il coltello. Il via tra gridi e applausi accompagnati dall´elicottero che da un tono di avvenimento importante. Si corre, alcuni corrono ben oltre i loro limiti e c´è chi pagherà duramente questo primo approccio mal gestito, perché questa è veramente una gara di gestione delle proprie risorse: chi spende troppo all´inizio non ne avrà abbastanza per la fine. La tappa non è durissima, direi piuttosto monotona e difficile a causa del terreno che ci porta in una alternanza di terreni sabbiosi e di fastidiose pietraie che mettono a dura prova caviglie e ginocchia. Già oggi si riscontrano i primi ritiri. Già oggi si vedono girare per il bivacco le prime zoppicanti vittime di vesciche che trasformeranno la loro gara in una crescente sofferenza. Si protegge un piede lesionato e si crea una nuova lesione da altra parte, una volta innescato questo meccanismo è alquanto difficile venirne fuori.
Una parte umoristica è la gestione dei propri bisogni corporali: la mattina, poco meno di 600 atleti lasciano la loro tenda con un rotolo di carta igienica e solitamente una bottiglia di acqua in mano alla ricerca di un lontano riparo: cespuglio, duna, roccia, il più lontano possibile dalla vista degli altri. Alcuni percorrono centinaia e centinaia di metri. A volte non ci sono né cespugli né rocce né tanto meno dune ed il problema diventa più difficile, almeno per i primi giorni. Lentamente ci si abitua a tutto, e ciò fa parte dell´abbruttimento al quale ognuno di noi è sottoposto, in poco tempo, senza più pudore, le distanze si accorciano e verso la fine si deve veramente stare attenti a dove si mettono i piedi!

Seconda tappa: 34 Km, direzione Cap 87°. L´euforia è in diminuzione, si parte con più cautela, è evidente che l´esperienza di ieri ha lasciato il segno. La tappa è più dura, la temperatura è salita, c´è vento. È praticamente una linea retta. Psicologicamente è difficile gestire un percorso del quale non si vede la fine, nel quale non c´è una curva che allevi la monotonia. La fila dei concorrenti si allunga, in lontananza si vedono i primi che scompariranno tra non molto e indietro non si riesce a scorgere la fine della colonna. Anche oggi ci sono ritiri, si paga per le follie di ieri.
La vita di tenda è diventata una routine, colui che arriva per primo (è sempre il solito) raccoglie legna per tutti. Man mano che arrivano gli altri ci si organizza per rendere la tenda il più confortevole possibile. Vengono rimossi i tappeti e quindi le pietre sulle quali erano stati riposti (quasi abbiamo l´impressione che di proposito vengano scelti i posti meno comodi), con l´aiuto di una pietra o di un bastoncino si zappetta il terreno al fine di renderlo un poco più morbido, si accende il fuoco e ognuno si prepara il proprio “ intruglio”. Prima ancora che faccia buio già siamo nel sacco a pelo. E qui, dopo la sofferenza della giornata, inizia la sofferenza della notte. Il terreno è duro, soffia il vento che trasporta in volo la sabbia più fine che penetra letteralmente dappertutto; malgrado il passamontagna di seta ne sono piene le narici, le orecchie nonché gli occhi.

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