Continuo le cure per la polmonite e inizio ad approfondire le informazioni sulle terapie che dovrò affrontare successivamente.
Conosco altri ammalati, alcuni appena ricoverati come Massimo, altri già al secondo o terzo ricovero, come Carmine.
Le loro storie si intrecciano con la mia, le persone che ci stanno vicino si scambiano informazioni, speranze, angosce.
C’è grande solidarietà dentro questo micromondo che è il nostro reparto, gli infermieri e i dottori ci aiutano e mettono nelle cose che fanno tanta passione.
Inizio ad entrare nelle regole della vita in Ospedale, le sveglie alle 5:30 della mattina per i prelievi e per provare la febbre, la ricerca del bagno libero per lavarsi. L’attesa della visita del dottore, i pranzi, le medicine, i controlli fuori reparto, i rumori, gli odori sempre uguali. Le notti. Chi non ha mai passato una notte in ospedale non può capire, ma è proprio nella solitudine della notte che si avverte lo sgomento maggiore. A poco a poco la vita si riempie di queste cose che prendono il posto della casa, del lavoro, del rapporto quotidiano con le persone che vivono o lavorano con te.
Inizio la prima chemioterapia che dura una settimana. Appena la finisco inizio subito a star male, febbre alta, reazioni allergiche di tutti tipi, infezioni, problemi al fegato, ai reni. Un infezione alla gola e in bocca che non mi fanno mangiare.
La situazione, scoprirò successivamente, è molto grave. Potrei non farcela.
Dico che lo scoprirò successivamente, perché nel momento in cui vivo quei momenti, ho solo il pensiero che devo farcela. Devo combattere con tutta la determinazione che ho, devo raggiungere il mio traguardo. Isolandomi dagli altri, a parte mia moglie e mio fratello che si alternano nelle visite. Le sofferenze e la gravità della situazione le colgo in certi momenti negli occhi di chi mi stava vicino. Sento anche la vicinanza di chi ho nel cuore ma che non c’è più: mia madre e mia suocera.
Da credente cerco anche un po’ di conforto nella religione.
Penso spesso alle mie maratone del deserto come ad un inconsapevole “allenamento” per la mia testa, una preparazione per affrontare quello che sto vivendo.
Altre persone vicino a me abbandonano la lotta o hanno un “avversario” troppo forte da combattere. Non sto a descrivere le condizioni in cui ero, dico solo che da 73 chili ero arrivato a 53, a causa del fegato gli occhi mi erano diventati gialli, non avevo un centimetro di pelle che non fosse coperto da sfoghi e macchie, pelato e senza un pelo addosso.
Eppure a poco a poco inizia un lento miglioramento che dopo quasi due mesi di ospedale mi ha consente di tornare a casa. Non scorderò mai quel momento, il profumo della mia casa, lo sguardo dei miei figli, la sensazione di essere tornato da un lungo viaggio. Col passare del tempo la mia situazione migliora sempre di più anche se come strascico al primo ricovero mi sono rimasti dei ”funghi” nel polmone destro che hanno provocato delle lacerazioni ed in particolare un buco nella parte bassa del polmone destro.

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