La mia storia

Giulio

Il fatto di essere qui a raccontarla mi sembra già una bella notizia. L’unico problema è come raccontarla, senza cadere nel patetico o nello scontato.
Bene, proviamoci.

Un giovedì di fine maggio del 2002, passo in ufficio per un paio d’ore prima di partire per Perugia. Devo infatti prendere un aereo per unirmi ad un gruppo di amici impegnati in una gara di corsa a piedi. Passerò alcuni giorni allenandomi con loro.
La corsa è infatti il mio sport preferito e mi ha portato a fare qualche maratona (New York, Boston, Milano, Cesano Boscone) e alcune gare nel deserto (2 Marathon des Sables in Marocco, la Deserth Cup in Libia).

Improvvisamente, mentre sto parlando al telefono, sento dei brividi violenti, mi sale la febbre. Tremo così forte che i denti sembrano un paio di nacchere.
Sento anche una fitta dietro la schiena che si acuisce ogni volta che inspiro.
Pensando ad un problema polmonare vado a casa e chiamo un amico pneumologo, Gigi. E’ il primo dei tanti amici che avranno un ruolo importante nella mia vicenda.
Per farla breve mi consiglia un ricovero di un giorno a Rho, dove lui lavora, per fare un controllo approfondito.
Quando la mattina successiva mi alzo per andare insieme a mia moglie Maurizia in ospedale mi muovo al “rallentatore”. Maurizia se ne accorge quando stiamo camminando per prendere la macchina, mentre lei fa tre passi io ne faccio uno.
Sono fiacco, senza forze e la fatica nel fare quei pochi passi mi spaventa.
I primi controlli evidenziano una polmonite ma non solo, c’è anche un problema al sangue. La diagnosi dell’ematologo conferma i primi sospetti di Gigi, leucemia mieloide acuta M1.
L’unico termine a me conosciuto è “ leucemia”, tutto il resto non ha significato.
Mi accorgo che non ho nessun tipo di reazione, penso solo “ che cura devo fare, quanto tempo durerà…” e basta. Viene deciso il mio trasferimento a Niguarda nel reparto di ematologia diretto dalla Professoressa Morra.
Durante il ricovero a Rho, dove inizio le prime cure per la polmonite, non mi rendo ancora conto che sto per abbandonare il rapporto avuto fino a quel momento con la mia vita; sto per entrare in un nuovo ruolo (quello del malato), in un mondo parallelo (quello dell’ospedale).
Arrivo a Niguarda nel tardo pomeriggio, sono in una camerata da 6 degenti, il malato vicino al mio letto è molto grave. Si lamenta, durante la notte muore.
A quel punto ho la piena consapevolezza della battaglia che sono chiamato ad affrontare.

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