A questo proposito ho ricevuto da Anna una lezione illuminante. Le avevo appena comunicato il risultato istologico dei suoi linfonodi, asportati nel corso dell'intervento chirurgico, e la mia voce e il mio sguardo "scandivano": "Anna, ti devo dare una brutta notizia, perché BEN quattordici linfonodi su ventiquattro esaminati, sono interessati dalle metastasi".
Anna mi ha risposto che intendeva vivere con "SOLO quattordici linfonodi metastatici su ventiquattro" e lo ha fatto confortando ed assistendo centinaia di donne che prima di lei morivano anche SENZA linfonodi metastatici.
Gli esempi di persone che pur con una prognosi infausta sono ancora vive, mi aiutano molto a stimolare le difese nelle mie pazienti e continuano a dare un significato al mio lavoro.
Talvolta mi domando se in fondo questi esempi non servano più a me, a lenire quel senso di frustrazione che mi accompagna per un po' di tempo, allorché io stesso sono costretto a comunicare ad una mia paziente che: "ci troviamo di fronte a quell'incidente di percorso a cui facevamo cenno prima dell'intervento".
È così che potenziando l' ascolto, si finisce per modificare il proprio modo di concepire il cancro, fatto di numeri, di statistiche (che pur si devono conoscere), fino a muoversi su un piano soggettivo fatto di emozioni e di storie di persone.
Si riesce a comprendere ed accettare i sentimenti della paziente e dei suoi familiari, senza assumere un atteggiamento valutativo e persino a comprendere la sua aggressività, giustificata dal fatto che quando un essere umano sente minacciata la propria vita è portato a reagire verso chi gli reca tale messaggio.
Io, come chirurgo, mi rendo conto dell'enorme peso psicologico che ho sulla paziente, la quale sentendosi in pericolo, trasferisce su di me molte di quelle sensazioni che tutti abbiamo provato nei confronti dei nostri genitori che ci hanno aiutato e protetto quando eravamo piccoli.
Per tale ragione mi sento coinvolto non solo sul piano temico, ma anche su quello umano e pur avendo molta fiducia nelle terapie che abbiamo a disposizione, sono convinto che il cancro, forse più di altre, è una malattia la cui cura è più efficace se il medico è capace di coinvolgere la paziente nella sua completezza nel processo di guarigione.

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