Nel gruppo "Riprogettiamo l'esistenza" il passaggio attraverso le tappe della malattia è obbligato perché è difficile arrivare all'accettazione di un evento senza prima averlo scrutato nei suoi contorni più dolorosi e crudeli.
Affrontando i fantasmi, lasciati nel corpo insieme alla ferita chirurgica, della sofferenza e della paura dell'ignoto, smetteranno di perseguitare, e affiancati e riconosciuti faranno meno paura.
In questa fase il gruppo è utilizzato come veicolo dell'esperienza personale.
Le donne sono spinte a ripercorrere la loro esperienza di malattia e comprendono in fretta come il cancro abbia due distinte dimensioni: la dimensione della malattia che è circoscritta alla condizione fisica, e la dimensione della sofferenza che è ciò che ognuna di loro prova e del significato che riesce a dare alle proprie emozioni.
Abbiamo dunque evidenziato che ad un passaggio attraverso gli stadi della scoperta del cancro come alterazione fisica, corrisponda un passaggio attraverso stadi di specifici vissuti emotivi.
Il primo vissuto emotivo è quello che è messo in moto dalla scoperta della malattia: la disperazione.
Il vissuto che le si affianca è la rabbia. Lo stress emotivo può portare la donna a cercare una spiegazione psicologica o spirituale a ciò che l'ha colpita.
Alcune sentono il cancro come una specie di castigo, si chiedono perché è toccato proprio a loro, cosa è successo perché si verificasse.
Ciò produce dei sensi di colpa e paura ancora più profondi, si sentono ancor più incapaci di reagire.
La rabbia diventa una difesa contro questa paura di cui sentono non avere il controllo e si dirige verso la totalità dell'esperienza personale.
Il gruppo, a questo livello, ha la funzione di ascoltare mentre questa rabbia viene espressa. Poco per volta ognuna di loro impara a distinguere ciò che può essere motivo di rabbia da quello che è più correlato a dinamiche interne (es. un intervento chirurgico per lei mal riuscito, un rapporto conflittuale con l'istituzione sanitaria, ecc.).
Un'altra frequente risposta emotiva iniziale è la depressione. Psicologicamente si può definire come una reazione anticipatoria alla minacciata perdita di se stessa, una reazione di lutto innescata dalla perdita di una parte del proprio corpo, anche se limitato a una piccola parte della mammella.
Il corpo non è solo un contenitore, ma rappresenta la parte fondamentale del concetto di "noi stessi". Con la perdita di una parte di esso, non solo si ha una perdita fisica, ma una perdita della propria immagine e quindi il rischio di una crisi della propria identità.
E questa ferita narcisistica all'integrità dell'io che può far nascere sentimenti di disistima, inutilità, vergogna.
Sono questi i sentimenti che spesso paralizzano la donna e la sua volontà di reagire, ma è pur vero che è attraverso la loro presa di coscienza e il significato che ognuna dà a questa realtà, che viene aiutata a superarli.
In questo modo si fa spazio ad un altro vissuto emotivo che è quello dell'accettazione, cioè della capacità di ridare un senso a ciò che è accaduto, un senso alla vita e forse alla morte.
Si può lentamente giungere a veri mutamenti di atteggiamenti, di pensieri, fino a raggiungere una maturazione più completa.
Accettare che anche in questa catastrofe, ci sia la possibilità di cambiamenti positivi, di delicate, faticose ma importanti possibilità.
Trasformando quindi la rabbia e il rifiuto in coraggio, attraverso l'elaborazione e l'accettazione sarà possibile riuscire ad operare dei viraggi di pensiero.
Ognuna di loro sa cosa potrebbe fare e scopre a poco a poco cosa lo impedisce, intravedendo la strada che, se vuole, può intraprendere.
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