Il supporto di medicina generale durante le terapie oncologiche

Alberto Ricciuti

La chemioterapia antitumorale, ossia l’uso di farmaci indirizzati alla distruzione delle cellule neoplastiche, è considerata un cardine della terapia dei tumori. Tale terapia è tuttavia gravata da effetti collaterali che, oltre a ridurre la qualità di vita dei pazienti, costringono spesso i medici a distanziare ulteriormente le somministrazioni dei farmaci, a ridurne il dosaggio o a sospendere addirittura la terapia. E questo, tra l’altro, è vissuto spesso dai pazienti come una possibile riduzione di efficacia della cura.
L’approccio terapeutico attualmente utilizzato per fronteggiare tali tossicità è essenzialmente indirizzato a contrastarne i sintomi: antiemetici per la nausea e vomito, accorgimenti alimentari e sciacqui della cavità orale con bicarbonato di sodio per la stomatite, antimicotici per la Candida, antidiarroici in caso di dissenteria, fattori di crescita emopoietici e trasfusioni per la mielodepressione e così via.
Inoltre, da parte dei pazienti, è comunque associata al cancro e/o alle sue terapie, una sindrome - delle cui complesse cause ancora si discute e spesso sottovalutata dagli stessi medici - indicata come “fatigue”, caratterizzata da un malessere e da una perdita di energia tali da essere ritenuti il principale ostacolo verso le normali attività quotidiane e una accettabile qualità della vita. Tale sindrome, ben documentata nella letteratura scientifica, affligge dal 60% al 96% dei pazienti oncologici e in particolare coloro che sono sottoposti a chemioterapia e/o radioterapia. I sintomi di “fatigue”, inoltre, tendono ad aumentare progressivamente durante le terapie oncologiche raggiungendo un massimo dopo alcune settimane e perdurano, a volte lungo, dopo la fine delle terapie. Il trattamento di questa complessa sindrome è tuttora problematico e consiste sostanzialmente in farmaci psicostimolanti, antidepressivi, cortisonici, eritropoietina.
Tali terapie di supporto, nel loro complesso, sono sicuramente efficaci dal punto di vista strettamente farmacologico, ma non sempre lo sono dal punto di vista clinico a causa della variabilità di risposta dei singoli pazienti, della loro storia clinica precedente, della complessità delle diverse situazioni oncologiche e di tutto quanto ancora sfugge alle nostre conoscenze.

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