Mancava allora, ed è scarsa tuttora, una pedagogia delle competizioni sportive.
La scuola offriva due ore di educazione fisica alla settimana, ma era del tutto assente una filosofia dell’unità fra educazione fisica e formazione culturale della persona. L’ora di lezione veniva considerata marginale e del tutto secondaria rispetto alle altre attività scolastiche, come se l’attività fisica e lo sport non concorressero in modo significativo a formare la persona fin dall’adolescenza. Infatti i concetti di vittoria e di sconfitta, di premio e di sanzione dovrebbero essere interiorizzati dai bambini con le prime prove sportive.
Io ho avuto la fortuna di essere assistito nelle mie attività sportive del ginnasio e del liceo classico, dal mio professore di educazione fisica, che volontaristicamente faceva quel che poteva con me e altri sei studenti. Lo faceva però convocandoci di pomeriggio e lontano dalla scuola, quasi clandestinamente, come se il suo lavoro comportasse l’effetto collaterale di allontanarci dallo studio. Nonostante il mio rendimento scolastico potesse essere considerato più che dignitoso, un consolidato velo di omertà a scuola copriva i nostri allenamenti e soprattutto il numero di ore che avevamo “perso” sottraendole allo studio!
In questo clima non certo esaltante, poco o nulla si sapeva dell’alimentazione, dell’abbigliamento e soprattutto dei sistemi specifici di allenamento, che oggi invece costituiscono un bagaglio elementare di conoscenza per tutti gli amatori che si accingono a correre una maratona e persino per i neofiti.
Il “fai da te” imponeva di accumulare chilometraggi settimanali da Guinnes dei primati
con lavori noiosissimi (senza musica!) perchè sempre uguali, mentre il signor RECUPERO non solo era sconosciuto, ma costituiva la principale causa dei complessi di colpa per gli eventuali allenamenti saltati per impegni o infortuni.
Chi incorreva in un infortunio serio veniva il più delle volte scoraggiato dai medici a riprendere l’attività sportiva. La medicina si guardava bene dal proporre recuperi attivi dopo una malattia grave, come l’infarto o dopo un trapianto o un tumore o dopo malattie croniche come il diabete, la sclerosi a placche ecc. Una storia come quella recente del ciclista Amstrong mattatore al Tour dopo la battaglia vinta con il tumore, sarebbe stata improponibile. Non ho neanche un ricordo di personaggi sportivi che riprendessero una attività agonistica dopo una grave malattia come il tumore, anche perché di tumore, a differenza dei giorni nostri, si moriva nella quasi totalità dei casi.
Le diagnosi dopo gli infortuni, anche le più accurate, si basavano solo sui dati clinici, perché Risonanza magnetica, Tac ed ecografia arriveranno in soccorso della diagnostica molto tempo dopo.