In passato l’unico mezzo terapeutico disponibile era l’emotrasfusione che al di là dei problemi legati alla scarsa disponibilità di sangue, presenta dei rischi non sottovalutabili: infezioni virali, sovraccarico di ferro e fluidi, effetti collaterali di natura immunologia o cardiovascolare, soppressione della sintesi di eritropoietina endogena. Sebbene l’emotrasfusione rimanga il trattamento di prima scelta nelle forme severe, per l’anemia di grado lieve-moderato può essere di notevole efficacia l’uso di eritropietina umana ricombinante.
L’uso di eritropoietina ricombinante si è dimostrato efficace nell’anemia cronica secondaria a trattamento polichemioterapico , essendo in grado di aumentare e mantenere ad un livello ottimale i valori di Hb.
L’ aumento significativo dell’ematocrito (sopra il 6%) avrebbe un buona efficacia nel migliorare l’energia fisica, il livello di attività, lo stato funzionale e complessivamente la qualità della vita e questo indipendentemente dalla risposta antitumorale .
L’uso di Eritrpoietina ha inoltre consentito di ridurre le necessità di trasfusioni e di evitare i rischi ad esse connessi, inoltre riducendo i bisogni di ospedalizzazione.
La raccomandazione è di utilizzare l’eritropoietina nei pazienti neoplastici con anemia associata alla chemioterapia e con livelli di emoglobina inferiori a 10 gr%. Nei pazienti con anemia meno severa (Hb 10-12 gr%) le circostanze cliniche determinano la scelta per il trattamento eritropoietico immediato o successivo alla discesa dei livelli di Hb sotto i 10 gr%. Una serie di studi hanno consentito di osservare che la dose di eritropoietina clinicamente utile è di 150 U/Kg per 3 volte la settimana per 4 settimane.
Vi sono ad oggi dati meno completi relativi all’uso della dose di 40000/U una volta al settimana. In mancanza di risposta dopo 6-8 settimane di terapia, e dopo un tentativo con dosi doppie di 300U/Kg appare inutile proseguire il trattamento. Si ritiene indicato sospendere il trattamento con eritropoietina quando i valori di Hb raggiungono i 12 gr%.
Tra gli altri farmaci utilizzati nel controllo della fatigue sono stati utilizzati farmaci psicostimolanti come il metilfenidato, la pemolina e la destroanfetamina per il trattamento della sonnolenza e del peggioramento delle capacità cognitive legate all’uso degli oppioidi (anche se non esistono sull’argomento studi controllati).
Osservazioni anneddotiche estensive e dati molto limitati ricavati da trial controllati danno sostegno all’uso di basse dosi di corticosteroidi quali il desametasone e il prednisone.
Tra gli interventi non farmacologici sembra rilevante l’educazione all’igiene del sonno, la pianificazione di un’attività fisica e/o mentale durante il giorno, il controllo dell’ansia e della difficoltà di affrontare il cancro ed il suo trattamento con ansiolitici o anche mediante psicoterapia ed una corretta programmazione alimentare che miri a mantenere il più a lungo possibile il peso del paziente.

Torna allla quarta parte