DALLA SCOPERTA DEI RAGGI X ALLA CURA DEI TUMORI ED ALLA PREVENZIONE E RIMEDIO DI DANNI DA RAGGI CORRELABILI ALLA RADIOTERAPIA

di A.Laffranchi e V.Fossati.
Specialisti in radiodiagnostica e radioterapia. Istituto Nazionale Tumori di Milano


Cenni storici

La sera di venerdì 8 novembre 1895 il prof. Wilhelm Konrad Roëntgen, Fisico dell’Università di Würzburg, nel buio assoluto del suo piccolo laboratorio, all’accensione di un tubo di Cookes, un pallone di vetro sotto vuoto in cui passa la corrente elettrica, vide per la prima volta illuminarsi una piastra di Platicianuro di Bario posta sulla sua scrivania. Spegnendo il tubo la luce emanata dalla piastra scompariva, riaccendendolo ricompariva. Subito Roëntgen provò a coprire il tubo stesso con schermi quali del cartone nero, poi con oggetti tra cui un pesante libro di 1000 pagine, ma niente sembrava in grado di fermare quei raggi invisibili e la piastra si illuminava costantemente, fino ad una distanza di quasi 2 metri dal tubo. Allora interpose la propria mano e con sorpresa, vide apparire sulla piastra lo scheletro della propria mano. Dunque, le ossa erano in grado di frenare parzialmente la corsa delle misteriosiose emessioni . Roëntgen quella sera non fece parola con nessun collega universitario di ciò che aveva osservato, ma confidò la sua scoperta alla moglie Bertha. Il giorno seguente fu proprio Bertha a interporre la propria mano fra il tubo ed una piastra fotografica. Venne realizzata cosi’ la prima radiografia della storia: una mano con anello all’anulare : quella della signora Bertha Roëntgen. Roëntgen intuì che quei misteriosi raggi invisibili non erano semplicemente raggi catodici e subito comprese che per le conoscenze di allora rappresentavano una grossa incognita. Voleva comunque dar un nome a quei raggi che attraversavano gli oggetti e impressionavano le lastre fotografiche, così, ragionando da fisico, pensò di identificarli con la lettera che in matematica si utilizza per l’incognita, dunque la X. Per questo li battezzo’ Raggi X. Poco tempo dopo, durante la storica seduta della Physikalisch-Medizinische Gesellschaft di Würzburg del 23 gennaio 1896, in cui Roëntgen presentò ufficialmente la sua scoperta, l’ottantenne decano prof. A. von Kölliker propose di chiamare ”Raggi Roëntgen” i raggi scoperti dall’illustre fisico.
Nel 1901 Roëntgen ricevette, per la sua scoperta, il primo Premio Nobel per la Fisica della storia.

L’uso moderno dei Raggi X

Oggi i Raggi X sono impiegati utilmente sia per la Diagnostica (le radiografie e la Tomografia Assiale Computerizzata o T.C.), sia per la Terapia, tra cui la Roëntgen Terapia, a basse energie, oggi molto poco usata, e quella ad alte energie. Queste radiazioni a basse o alte energie, sono prodotte artificialmente (tramite apparecchiature radiogene come l’acceleratore lineare ), o da sorgenti presenti in natura. Le sostanze radioattive presenti in natura sono del tutto eguali a quelle prodotte ‘artificialmente’, ma per distinguierle vengono denominate Raggi Gamma. Le piu’ note utilizzate in radioterapia sono il Cobalto 60 e l’Iridio 191. Sappiamo, inoltre, che le radiazioni x o gamma, altro non sono che fotoni, cioè particelle senza carica elettrica che possono danneggiare direttamente, o indirettamente, il DNA delle cellele, cioè il contenuto genetico cellulare.
La possibilità di indurre questo danno cellulare è cruciale, infatti, la radioterapia oncologica basa tutta la sua efficiacia terapeutica proprio sulla possibilità di danneggiare in maniera irreversibile le cellule tumorali maligne.
Nella moderna Radioterapia, sia grazie alle nuove macchine, sia per un’approfondita conoscenza della fisica delle radiazioni, della tecnologia e soprattutto della radiobiologia, cioè di quella scienza che si occupa dell’azione delle radiazioni sulla materia vivente, si è potuto mettere a punto degli schemi terapeutici tali da ottimizzare le terapie rendendole molto efficaci contro le cellule tumorali e contemporaneamente rendendo trascurabili in incidenza, gravita’ ed entita’ i danni sulle cellule sane circostanti o sottostanti il tumore, attraversate dal fascio radiante.

Il problema dei danni dalla parte del paziente

Nel 1992 un paziente affetto da osteoradionecrosi della mandibola con fistola osoteocutanea, fallita la cura con Ossigenoterapia in camera iperbarica, doveva di necessità essere sottoposto all’amputazione della mandibola, ma questo creava notevole imbarazzo, in quanto due anni prima, per un tumore della gengiva, la radioterapia era stata eseguita con finalità curative, proprio per evitare l’intervento, a parità di possibilità di guarigione clinica. Nell’estate del 1992 di fronte a questo caso clinico, non responsivo all’Ossigeno Terapia in camera iperbarica, considerata l’unica terapia medica realizzabile, reinterpretando la fisiopatologia delle lesioni da raggi, alla luce delle nuove tecnologie disponibili, si rivalutarono alcune importanti nozioni di fisiologia, di fisiopatologia, di farmacologia, oltre alle concezioni prettamente biochimiche. Fu riscontrata la grande ‘simmetricita’ ‘ fra le modalità che inducono la radionecrosi e le modalità di cura dei campi elettromagnetici pulsati, più noti come magnetoterapia: perchè si verifichi un’osteoradionecrosi devono verificarsi contemporaneamente tre fenomeni: l’ipovascolarizzazione (conseguente al danno subito dai vasi, in particolare arteriosi), l’ipossia tissutale (cioè la mancanza di ossigeno), l’ipocellularità (cioè la riduzione del numero delle cellule presenti nel tessuto irradiato); la magentoterapia, tra gli effetti biologici dimostrati, oltre un elettivo effetto antiinfiammatorio, ha un effetto neoangiogenico (favorisce la formazione di nuovi vasi), crea un effetto ossigeno (aumentando la concentrazione locale di O2 libero) nei tessuti su cui viene applicato, induce la rigenerazione dei tessuti, accelera la formazione del callo osseo nelle fratture. La Magnetoterapia, dunque, possiede contemporaneamente tutte le caratteristiche necessarie alla guarigione delle osteoradionecrosi.
Dopo queste considerazioni prospetammo al nostro paziente, per la prima volta in Italia, di sottoporsi a sedute quotidiane domiciliari di magnetoterapia. I risultati furono rapidi, tanto quanto sorprendenti, infatti, la guarigione avvenne in soli tre mesi, evitando così al paziente l’ulteriore angoscia di un’intervento chirurgico di demolizione dell’emimandibola.
Questo fu l’inizio.
All’Istituto Nazionale Tumori di Milano a partire dal settembre del 1992, infatti, per oltre 10 anni sono state studiate, su decine di casi, nuove procedure per curare i danni da raggi che si erano manifestati su alcuni pazienti irradiati in vari distretti corporei e da vari Centri di radioterapia sparsi sul territorio nazionale che avevano impiegato macchinari e metodiche non sempre eguali. I danni osservati, considerati non curabili con terapie mediche, ma in parte rimediabili con tecniche chirurgiche, nei pazienti da noi osservati erano insorti in un lasso di tempo compreso fra i 5 mesi e i 20 anni dopo la radioterapia. Da allora ad oggi le procedure terapeutiche sono diventate via via più efficaci, grazie all’introduzione nel 1997 dell’uso endovenoso di Pamidronato di Sodio e succedanei per indurre la formazione di tessuto osseo nei territori demineralizzati, nel 1998 di Farmaci COMPLEMENTARI, spesso utilizzati per via iniettiva, nel 2000 dell’Ultrasuonoterapia per ridurre gli stati infiammatori in caso di fistola osteocutanea. Sono stati presi in cura oltre 55 pazienti con danni da raggi, mentre ad un numero maggiore di pazienti sono state suggerite con successo terapie preventive dei danni da raggi da utilizzare nel corso di radioterapia.

Le terapie preventive

La prevenzione dei danni da raggi è stata utilizzata con successo su un buon numero di pazienti in trattamento per la cura di tumori del distretto Capo-collo, sede dove facilmente si manifestano fastidiose complicanze quali disfagia con modificazioni della salivazione e mucositi, oltre al danno cutaneo. Altre sedi trattate con successo sono state in prevalenza le mammelle, la prostata, il retto. Le terapie preventive utilizzate, salvo casi particolari, simili per tutti i pazienti, prevedono l’uso di sostanze complementari definite disintossicanti, quali Galium e Lymphomyosot, somministrati per bocca inziando possibilmente qualche settimana prima della radioterapia, seguite dall’uso di rimedi complementari in granuli come il Radium Bromatum, risciacqui cutanei con Acqua Borica al 3% su cote integra o con Citrosodina su cute lesa e opportune Pomate a base di Camomilla, utilizzate durante le fasi della radioterapia. Le cure, poi, sono state proseguite per almeno due settimane dopo il termine della radioterapia. Tutti i pazienti, degli oltre cinquanta da noi osservati per la prevenzione deio danni da raggi, hanno concluso le cure nei tempi e nelle modalità previste dai protocolli radioterapeutici. Nessuno ha subito danni da raggi acuti o cronici. Tutti hanno, invece, dichiarato di aver sopportato bene la radioterapia.

Conclusioni

Gli studi sintetizzati in questo lavoro hanno lo scopo di suggerire l’uso di prodotti naturali complementari e di sostanze d’uso comune, quali la citrosodina e gli sciacqui cutanei con acqua borica al 3% per minimizzare i danni acuti da raggi durante le sedute di radioterapia. Inoltre, vogliono dimostrare l’efficacia di terapie come la magnetotrapia, i farmaci complementari, gli ultrasuoni e il pamidronato di sodio, nel curare i danni da raggi ormai inveterati, diminuendo così la necessità d’interventi chirurgici demolitivi, anche quando presenti da molti anni.

Per ulteriori informazioni:laffranchi@istitutotumori.mi.it