Di Salvo
Catania gennaio 2015
Quando mi sono laureato
nel 1974 e mi sono trasferito a Milano e ho iniziato a
lavorare come chirurgo, non si parlava affatto di
comunicazione. I tempi erano ben diversi e fare una
diagnosi di cancro equivaleva ad emettere una sentenza
di morte. Quindi era già oneroso il compito di
informare, figuriamoci quello di comunicare.
Infatti mentre non ci
sono dubbi oggi che capacità comunicativa e di ascolto
possano essere apprese ed applicate nella pratica
clinica, negli anni ‘70-‘80 le uniche capacità richieste
al medico erano quelle diagnostiche al letto
dell’ammalato.
Pochi dati esistevano,
dai quali però era evidente che in Italia l’80- 90 %
dei medici riteneva di non dover riferire la verità ai
propri pazienti affetti da tumore, anzi, venivano nei casi sporadici di pazienti che richiedevano
di saperne di più
Questo atteggiamento
interpretato oggi come disumano, era fondato in realtà
sulla credenza che la verità avrebbe potuto danneggiare
il paziente e che la conoscenza della situazione avrebbe
annullato le sue speranze e le residue motivazioni.
Solo ora mi rendo conto
di quanto fuori dal coro fosse il volume “ IL
CARCINOMA MAMMARIO DALLA PARTE DELLA PAZIENTE”, del
1989, che pubblicai dopo il mio incontro con
Attivecomeprima e frutto di un immane lavoro di
raccolta delle esperienze delle donne che ufficialmente
non avrebbero dovuto sapere, (e invece non era così) di
essere o essere state affette da cancro.
Esperienza di Medicina
Narrativa molto importante per il mio training di
giovane e inesperto chirurgo. Solo più avanti si
comprenderà bene che la narrazione della propria storia
possa essere terapeutica per il paziente e didattica per
la formazione del medico e per incrementare la sua
“capacità di ascolto”.
Se ad uno studente di
Medicina il concetto di EBM (Evidence Based Medicine ),
cioè una medicina basata sull’evidenza e su prove
scientifiche , è abbastanza familiare , meno noto è
l’acronimo di NBM (Narrative Based Medicine ) dove la
narrazione della patologia del paziente al medico è
considerata fondamentale al pari dei segni e dei
sintomi clinici della malattia stessa. Così importante
che dal 2002 Rita Charon dirige il primo corso
universitario di medicina narrativa, aperto in quegli
anni alla Colombia University di New York. Ecco alcuni
libri che vengono usati nei corsi di medicina narrativa
per addestrare i medici ad ascoltare ed ascoltarsi.
La scrittrice
sudamericana racconta la malattia e la morte dell’amata
figlia
Un classico della
letteratura francese che esplora la relazione tra
malattia, morte, altruismo, empatia e società-
Uno dei racconti più
noti del grande romanziere russo è spesso sfruttato per
far riflettere i giovani medici sull’impatto delle cure
di fine vita e sul modo di accompagnare il malato negli
ultimi giorni
Raccontarsi non fa bene
solo ai pazienti, ma anche ai medici, e infatti,
parallelamente alla diffusione della medicina narrativa
, si è sviluppata una letteratura che racconta il lavoro
del medico e cerca di far fronte, attraverso la
scrittura, alle inevitabili difficoltà di relazione con
i propri pazienti, anche nell’ottica di far fronte al
BURNOUT, ovvero all’esaurimento della spinta ideale e
psicologica a portare avanti il proprio lavoro che può
colpire proprio i medici più umanamente disponibili
all’ascolto.
L’atto di raccontarsi
come essere umano fragile , in un momento di debolezza,
ha suscitato anche l’interesse dei bioeticisti. Infatti
un paziente che racconta e viene ascoltato prenderà
sicuramente decisioni più consapevoli, e il medico avrà
maggiore facilità ad accettare le sue decisioni anche
quando sono in contrasto con quanto lui stesso avrebbe
fatto nella medesima situazione
EMPOWERMENT
Raccontare sé stessi è
quindi una delle chiavi del cosiddetto empowerment del
paziente, quel processo di crescente autonomia
decisionale dei malati al quale aspira la medicina
moderna. E’ paradossale pensare che il concetto di
empowerment (=responsabilizzazione ) è nato quando è
nata la medicina tecnologica , perché gli scienziati
erano convinti che i numeri, i dati, le misurazioni,
avrebbero consentito alle persone di decidere più
facilmente e con maggiore lucidità. La verità è che i
dati spesso sono “confondenti”, perché non decidiamo
solo sulla base di essi, come un computer, mentre le
storie ci forniscono quella componente emotiva che ci
permette di riflettere meglio.
Il mio libro, che può
essere considerato il primo documento in Italia di
Medicina Narrativa in oncologia sul tumore del seno, non
nacque ovviamente dalla intuizione di una notte ma lo
si può considerare frutto di una rivoluzione culturale,
che come vedremo, si delineava in quegli anni a Milano
presso l’Istituto dei Tumori , dove c’era la prima sede
di Attivecomprima. Doverosamente devo citare anche le
esperienze (da me riportate nel libro con i
ringraziamenti ) dell’Associazione “Donne Come Prima”
di Firenze che lo stesso anno pubblicava il volume
“Donna e salute”. “Donna Come Prima “ è una
associazione nata nel 1986.
Altrove la situazione
era sconfortante perché tutto ciò accadeva in una epoca
in cui il cancro era qualcosa da nascondere e di cui ci
si doveva vergognare: ho ancora il ricordo di alcune
pazienti che sollecitavano rassicurazioni prima di
tornare a casa dall’ospedale sulla contagiosità
della malattia.
In quegli anni
l’operazione comportava l’asportazione dell’organo
ghiandolare e lo svuotamento del cavo ascellare, con un
prezzo deturpante altissimo conseguente alla
asportazione di entrambi i muscoli pettorali, mettendo a
nudo la parete toracica.
Pochi conforti erano
disponibili perché la rilevazione di un cancro era da
considerarsi argomento tabù e non era neppure
minimamente da discutere. Dominava la scena la paura
della mutilazione e della morte sul quadro clinico
generale.
Qualche generica rassicurazione veniva fornita dai
medici curanti che però non osavano spingersi oltre il
semplice e imbarazzatissimo “ non si preoccupi
signora”.
Ripeto che Il mio libro
non nacque dalla intuizione di una notte, ma perché
contemporaneamente al mio arrivo a Milano e in questo
clima del “non detto” si registravano due eventi
che mi permetto di definire rivoluzionari per i
cambiamenti culturali che determineranno in campo
oncologico in Italia e nel mondo.
Per la prima volta una
giovane donna in Italia riconosce ( fatto molto
clamoroso) la sua condizione di donna mastectomizzata.
Tutto ciò accadeva
mentre il tumore del seno subiva un radicale
rinnovamento diagnostico e terapeutico. Infatti
considerato sino a metà del secolo scorso come
praticamente incurabile, le poche guarigioni erano
ottenute al prezzo di dolorose mutilazioni e di terapie
radiologiche aggressive e invalidanti.
Proprio nel 1973, anno
di fondazione di ACP, l’Istituto dei Tumori di Milano
presenta il Trial Milano I che si concluderà nel 1980
Il trial confrontava un
campione di pazienti trattate con mastectomia con un
campione di pazienti trattate con quadrantectomia e
radioterapia.
Questo studio che può
essere considerato come la pietra miliare della moderna
chirurgia della mammella, fu fortemente voluto contro
tutto e contro tutti.
Basta pensare che
inizialmente l’Organizzazione mondiale della sanità
aveva respinto il progetto presentato da Umberto
Veronesi perché giudicato non etico, mentre
contemporaneamente manifesta fu l’ostilità della
maggioranza dei chirurghi e radioterapisti di tutto il
mondo, terrorizzati alla idea che si potessero
infrangere i dogmi halstediani su cui avevano
fondato la propria cultura oncologica.
Non fu il caso se in
questo clima ho avuto la fortuna di incontrare Umberto
Veronesi e la sua scuola e subito dopo Ada Burrone
(1976) e l’associazione che allora aveva la sede presso
l’Istituto dei tumori di Milano.
Vari chirurghi in tutto
il mondo, Umberto Veronesi in particolare, cominciarono
a riferire una uguale sopravvivenza con resezioni meno
estese della mammella seguite dalla radioterapia.
Mentre contemporaneamente, alcune donne cominciarono a
rivelare pubblicamente, suscitando clamore e stupore, la
loro diagnosi di cancro in opere autobiografiche.
Spiegazioni pubbliche
del trattamento del cancro della mammella furono date
da Betty Ford e Happy Rockeffeller, mogli di eminenti
personalità politiche e da Beverly Sills cantante lirica
di fama internazionale .
Nel 1952 l’americana
Tèrese Lasser, operata di mastectomia , diventa
direttamente consapevole delle numerose difficoltà cui
vanno incontro le operate al seno; ansie su quesiti
fondamentali circa la malattia e i suoi rischi,
difficoltà nella vita familiare, problemi pratici di
corsetteria…..
Fonda quindi Reach To
Ricovery, la prima Associazione di donne operate al
seno, nata per offrire alle donne un programma di
riabilitazione fisica ed emozionale ed una assistenza
cosmetica.
A partire dal 1969 il
programma entra a far parte della American Cancer
Society.
All’incirca nello stesso
periodo, negli anni ‘70 altre istituzioni sorgono in
tutto il mondo, come la Vivre comme Avant francese e
l’italiana Attive Come prima, fondata da Ada Burrone
nel 1973
Tutte hanno in comune
obiettivi quali : aiutare la società a liberarsi dalla
psicosi del tumore e la donna operata a difendere la
propria individualità ; approfondire la conoscenza del
significato della salute per soffrire meno davanti alla
vita, alla malattia e alla morte; rafforzare la fiducia
in sé stessa, nel medico, nella medicina, mediante la
preparazione psicoprofilattica agli interventi,
l’autodisciplina ed altre metodiche ; promuovere
l’identificazione a livello di rapporto sociale con chi
ha vissuto e superato l’esperienza del tumore ;
facilitare il ritorno della paziente nella società
guidandola sul piano estetico (allora non si praticavano
interventi conservativi della mammella), psicologico ed
umano : evitare che le strutture sociali abbiano
atteggiamenti discriminatori e di isolamento nei
confronti delle pazienti.
In Italia, poco dopo, arrivarono Delia Scala , Lea
Pericoli e Ada Burrone. L’autorevolezza di questi
personaggi ma soprattutto la risonanza data alle loro
sconvolgenti rivelazioni, portarono ad una maggior
coscienza del problema cancro come problema delle donne
con una più ampia diffusione di informazioni circa il
suo trattamento e la sua possibilità di guarigione.
Questa maggior franchezza andò di pari passo con una
crescente insistenza sulla necessità di rispettare i
diritti dell’individuo, come donna e paziente. Ciò portò
ad una maggiore partecipazione nel prendere le decisioni
e ad una maggiore adattabilità al tipo di intervento,
campo questo lasciato in passato alla discrezione del
chirurgo.
RIVOLUZIONE DIGITALE DEL
TERZO MILLENNIO
Occorre dire che i
medici oggi cominciano a prendere consapevolezza sempre
più che la capacità comunicativa, in passato esclusa da
tutti i programmi di formazione, possa essere non solo
appresa ed applicata nella pratica clinica, ma che “chi
impara a comunicare impara a curare meglio i propri
pazienti”.
Paradossalmente però
oggi il medico, cui si imputava il “vuoto di
comunicazione”, a seguito della rivoluzione digitale,
deve fare i conti con l’infobesity, cioè
l’obesità da troppa informazione, neologismo lanciato da
uno studio sulla crescita esponenziale della nostra
“dieta quotidiana” di informazioni. Messaggi personali,
input, impressioni, opinioni, tecnologie digitali,
materia grezza che invade e, in alcuni casi, monopolizza
la nostra attenzione. L’allarme viene dal fatto che
nell’informazione come nel cibo , l’eccesso può avere
conseguenze drammatiche. E rispetto alla prima
rivoluzione digitale , già possiamo parlare di epidemia
mondiale di infobesità, una situazione in cui troppa
informazione può portare alla paralisi, alla
distrazione, all’eccesso di fiducia, alle decisioni
sbagliate.
Di contro la possibilità
di trasferire l’informazione sulla salute in tempo reale
a milioni di lettori e in tutto il mondo presenta molti
vantaggi.
Riportando l’ esperienza
sul mio blog [
www.medicitalia.it ] e sul mio sito [
www.senosalvo.com ] è stato possibile
arruolare un gruppo consistente di
Auto-mutuo-Aiuto-Virtuale .Il gruppo è composto da un “facilitatore”
e da “pari” (pazienti e familiari) che
condividono le loro esperienze e soluzioni adottate per
far fronte ai vari problemi che il trattamento del
tumore al seno comporta.
Il blog è molto attivo
(oltre mezzo milione di contatti nell’ultimo anno con
quasi 5000 commenti) , al punto da rendersi necessario
un confronto virtuale-reale , con l’organizzazione
presso la sede di Attivecomeprima a Milano nel novembre
2013, tramite un Convegno Nazionale delle Ragazze Fuori
di Seno, come vengono chiamate le partecipanti al forum.
http://www.senosalvo.com/ragazzefuoridiseno/menu_ragazzefuoridiseno.htm
Per quanto possa
sembrare strano il nostro gruppo si occupa poco del
Cancro, ma molto della seconda malattia, quella più
grave : la PAURA, appunto la seconda malattia che
il cancro porta con sé.
Il tumore del seno,
come qualsiasi grave malattia che minaccia la nostra
vita, oltre ad assumere una grande importanza sociale
per la sua elevata frequenza, è l’esempio più
emblematico di malattia, che per le sue implicazioni
psicologiche emotive e simboliche è in grado di
destabilizzare il più solido degli equilibri di chi si
ammala. Infatti la paura della mutilazione, la rabbia ("perché
proprio a me?"), la frustrazione, la paura delle
terapie, della sofferenza, della solitudine,
dell’emarginazione e della morte, sono tutti elementi
angoscianti che accompagnano le pazienti in tutte le
fasi della malattia.
Guarire, infatti, vuol
anche dire perseguire l’obiettivo di ristabilire un
equilibrio tra la dimensione fisica e quella mentale, ma
quando la diagnosi è vissuta come una “sentenza”,
come accade frequentemente, la possibilità di
raggiungere tale equilibrio è messa a dura prova dai
condizionamenti della nostra stessa mente: credenze,
pregiudizi, aspettative negative e, soprattutto ,
paura della paura.
Ed è proprio per queste
ragioni che il rapporto con il medico competente ed
empatico è particolarmente prezioso per aiutarci a fare
emergere dal grande rumore di fondo, nell’era dell’Infobesità
, ciò che davvero è utile per noi, per sostenerci
nel nostro percorso di malattia e di vita
Sino al 2012 eravamo
veramente entusiasti delle straordinarie potenzialità
della rete, anche se un po’ angosciati per le
dimensioni della nostra casella di posta elettronica .
Eravamo stati confortati da Howard Rheingold (Net
Smart, How to Thrive Online ), su come imparare il
nuovo alfabeto digitale, sulle competenze da acquisire
non solo per non farsi sommergere dal diluvio di
informazioni ma per difendersi dalla invasione delle
bufale, imparando a riconoscerle a prima vista, e
soprattutto imparando a sviluppare tutto il potenziale
dell’intelligenza collettiva in rete.
“ogni uomo dovrebbe
avere un rilevatore automatico di bufale sempre in
funzione “ [Ernest Hemingway 1965]. Ma come
individuare le bufale ?
Possedere o meno
l’abilità di identificare le bufale è una questione di
vita o di morte per un numero crescente di persone
ogni giorno riguardo alle informazioni che vertono su
malattie potenzialmente letali.
http://www.senosalvo.com/invenzioni_folli_e_false_medicine_anticancro.htm
La buona notizia sui
rapidi progressi della ricerca medica coincide con
quella cattiva : soltanto pochi specialisti possono
tenere il passo con il ritmo delle nuove scoperte. Ciò
significa che è possibile per l’intelligenza
collettiva di una comunità seriamente impegnata-e non
c’è nessuno più impegnato di chi soffre di una
malattia- tenersi aggiornata su tutto, a parte qualche
ricerca estremamente specifica di singoli specialisti.
Tuttavia , insieme con
le ultime notizie su sperimentazioni di farmaci
all’avanguardia, si trovano voci infondate, dicerie e
pure ciarlatanerie. Ci sono anche persone
benintenzionate, ma pericolosamente disinformate, che
ingannano chi crede che le loro cure inefficaci
salveranno il mondo, e la rete pullula di ciarlatani
che senza ritegno spennano i malati.
Chi si affida
ingenuamente a informazioni mediche scorrette rischia
di farsi del male, ma anche chi mette un link e
inoltra senza controllare, è parte del problema.
I pazienti che vogliono
saperne di più sulla loro malattia devono sapere che
esistono strumenti di documentazione sulle ricerche in
corso e delle terapie.
Per gli articoli
scientifici sciencedirect.com offre un accesso
anche a chi non è registrato. La fondazione Health
on the Net [Salute in Rete] da tempo è una fonte
costante di informazioni affidabili e credibili sulla
salute.
In un articolo su
Time, F.Meysel medico e ricercatore, sul
problema se sia opportuno che i pazienti debbano
cercare sulla rete informazioni sui loro sintomi, taglia
corto :“ Lo fanno già “. !
Nel 2013 -2014 alla
copiosa letteratura entusiasta sulle potenzialità del
digitale si è contrapposta altrettanta letteratura sul
“lato oscuro” della rete e sugli effetti collaterali
della eccessiva informazione : molte grandi firme hanno
recentemente abbandonato Twitter dichiarando di voler
tornare ad essere “umani” prima che “autori.
Scelta che comprendo
bene perché scrivo da 10 anni sul mio sito e su
Medicitalia, ma ormai da almeno 3 anni non apro neanche
più le mail che mi notificano messaggi o richieste di
amicizia su Facebook e su Twitter.
E’ di questi giorni la
clamorosa notizia di Andrew Sullivan, giornalista ,
re dei blogger e pioniere del weblogging, che ha
annunciato “ Basta col digitale, torno alla vita
reale “.
Sullivan
ha iniziato la sua carriera di blogger nel 2000, prima
con Time , poi Daily Beast e nel 2012
The Dish : 30 mila abbonati ed un fatturato di oltre
un milione di dollari.
L’addio al digitale e
alla blogosfera non nasce da delusioni o difficoltà
insormontabili. Sullivan se ne va quando è ancora
all’apice della sua carriera.. Il suo Daily Dish
è stato davvero un modello inedito imitato invano da
tanti e superato solo da blog, come The Huffincton
Post, che però hanno dovuto allargare i
contributi dei blogger a tematiche generaliste, dal
sesso al gossip su vip e star.
Creato nel 2000 quando
nessuno conosceva il significato della parola blog non
ha mai ceduto alla tentazione di inserire temi frivoli
(sesso in particolare) e senza mai cedere alla
tentazione delle sirene del clickbait , cioè
quei metodi artificiosi per aumentare i “clic”.
Pentitismo digitale ?
No . Sembra proprio una reazione a un eccesso. E a
giudicare dalle reazioni che ha suscitato anche in
Europa è l’indizio- forse l’inizio- di un epocale
cambiamento. E’ come se provassimo un vecchio- e quindi
nuovo perché dimenticato- desiderio di odori e di
sapori, di cose , di atomi e nostalgia di persone, di
sguardi non filtrati da una telecamera e di voci non
amplificate da un altoparlante.
E nell’era dell’infobesità
che fine ha fatto la comunicazione ?
Un vero disastro anche
perché innanzitutto stiamo assistendo ad una vera
estinzione della scrittura.
L’ultimo libro di
Umberto Eco, Numero Zero, nasconde nel titolo
forse qualcosa di mestamente profetico. Il numero zero
appunto. Un’epoca si è chiusa definitivamente : Calvino,
Pasolini, Sciascia, mezzo secolo di cultura di sinistra
si sono centrifugati dentro Floris e Fazio. Quel che
resta sono i messaggi dei vip primi in classifica su
Twitter.
Jovanotti recentemente
ha postato “Piove, niente bicicletta, mi stravacco
sul divano”.
Tanto l’importante non è
quello che diciamo, ma esserci.
Inoltre c’è
anche il problema della troppa informazione che arriva
troppo velocemente
L’infotension
implica (anche un training di apprendistato) una
preparazione mentale , il contributo della tecnologia e
della socialità, e consente di riuscire a individuare
le informazioni che potrebbero essere preziose per noi,
proprio nel momento e nel luogo in cui ci troviamo.
Tenere sotto controllo l’ingresso non garantisce che
tutto ciò che entra sia appropriato o che dedicarvi una
attenzione eccessiva sia sano.
E’ qui
che entrano in gioco l’abilità di individuare le
bufale e la mindfullness
Renderci più
intelligenti. E’ questa l’ambiziosa missione con la
quale sono entrati in funzione i primi computer e la
stessa rete Internet, che può essere considerata il
naturale sviluppo.
Quella nuova disciplina
nasceva con lo scopo di indagare lo stretto rapporto fra
mente e macchina, basato sul funzionamento stesso del
computer che richiamava quello del cervello umano.
Fra i primissimi a
individuare e descrivere quel filo rosso che percorre la
storia dei computer e delle reti ci fu proprio
Rheingold, nel suo Tools for Thougt, pubblicato nel 1985
e dedicato allo sviluppo delle tecnologie per
l’espansione della mente.
Lo psicologo e
matematico J.C.R. Liccklider, tra i padri di Internet,
aveva parlato di simbiosi uomo-computer in riferimento
alle prime applicazioni interattive in cui si verificava
quella corrispondenza in tempo reale fra comando umano
e risposta della macchina, che a noi oggi sembra
scontata, ma che negli anni Sessanta venne accolta quasi
come una forma di magia.
Dopo 30 anni per Howard
Rhengold non ci sono dubbi che la rete possa renderci
più intelligenti e possa farci vivere meglio a
condizione di rispettare alcune raccomandazioni, frutto
di anni di riflessioni che si sono snodate lungo anni di
uso intensivo ed entusiastico della rete.
La crap detection ad
esempio è una arte indispensabile nell’Internet di oggi
: non esercitarla significa finire certamente sommersi
da fiumi di informazioni irrilevanti o palesemente false
Inoltre per spiegarci
come partecipare al meglio negli spazi sociali del Web,
Rheingold rispolvera un termine caduto in disuso, ma che
in realtà è quanto mai attuale, la “netiquette” (da net,
rete, ed etiquette), ovvero il galateo della rete, un
insieme di norme codificate fin dai primi anni della
diffusione di Internet per evitare comportamenti
improntati all’ira e alla prevaricazione, per prevenire
liti furibonde, scambi di insulti , frequenti in rete
più che altrove, complice il denso strato di mediazioni
tecnologiche che consentono sempre di nascondersi.
Norme di Netiquette
insieme a regole di saggezza spicciola come
· Imponetevi
prima di rispondere un lasso di tempo per riflettere e
lasciare sbollire le emozioni
· “Presumi
sempre la buona fede”, come atteggiamento di fondo nelle
comunità virtuali dove, in assenza di un linguaggio
corporeo che inserisca nel giusto contesto quanto viene
scritto, i fraintendimenti sono sempre in agguato.
Con molta
soddisfazione io stesso avevo scritto le norme di
netiquette del primo e più importante sito di consulti
online di medicina, nel 2010
http://www.medicitalia.it/02it/spaziomedici-regolamento.asp
All’ottimismo di
Rheingold si contrappongono numerosi saggi e studi sul
“lato oscuro della rete” che hanno lanciato un allarme
diretto soprattutto ai nostri figli, dinnanzi alla
evidenza che non siamo più capaci di raggiungere un
luogo senza GPS; siamo terrorizzati all’idea di uscire
senza cellulare. Bambini e ragazzi trascorrono davanti
ad un monitor più del doppio del tempo che passano a
scuola e le conseguenze si vedono nell’incremento dei
disturbi dell’apprendimento, dello stress, di patologie
depressive, della predisposizione alla violenza.
L’allarme più
inquietante lo lancia il medico e Psichiatra Manfred
Spitzer con un libro documentatissimo ed appassionato. I
rischi del digitale possono arrivare alla demenza
digitale.
La parola demenza deriva
dal latino de (=via da) e mens (=mente)
Tradotta letteralmente
significa declino mentale. Non è un aspetto irrilevante,
perché, come ogni forma di declino, la durata ed il
decorso dipendono da dove si parte. Chi si trova in
riva al mare su una duna di sabbia e comincia a
scendere, non impiegherà molto tempo a raggiungere
l’acqua. Chi al contrario parte dalla vetta del Monte
Bianco rimarrà ancora per molto tempo ad alta quota, pur
continuando a scendere. Lo stesso accade per la demenza
. Le capacità mentali diminuiscono a causa della morte
neuronale. Un gran numero di ricerche condotte sulle
varie forme di deterioramento neuronale dimostra che
inizialmente il soggetto non è consapevole del processo
di necrosi.
E’ possibile simulare
con strumenti digitali il funzionamento delle reti
neuronali (cellule nervose). Queste simulazioni
dimostrano oggettivamente che con la morte dei singoli
neuroni, le reti neuronali si comportano in maniera
completamente diversa, ad esempio, da un computer a cui
vengono a mancare elementi strutturali.
Quando un computer
smette di funzionare , si dice che è andato in crash. In
altre parole non si deteriora lentamente come il divano
di casa (nessuno direbbe “il mio divano è andato in
crash”), bensì si blocca improvvisamente da un momento
all’altro.
Nelle reti neuronali,
simulate al computer, le cose vanno diversamente.
Le reti continuano a
funzionare in maniera del tutto normale, anche quando si
riscontra una morte cellulare del 70%. Da qui poi il
funzionamento si deteriora, ma continua ad essere
presente anche con l’85% di neuroni in meno. Solo
quando la distruzione delle cellule nervose raggiunge il
90 %, la rete smette di funzionare.
Accade la stessa cosa
con i neuroni reali.
Come si previene la
demenza ? La capacità funzionale della mente, dipende,
come nel caso dei muscoli, dall’allenamento
(=apprendimento). L’allenamento mentale si esegue
automaticamente interagendo con l’ambiente. Con
l’apprendimento, le sinapsi (i legami tra i neuroni) si
modificano e le capacità del cervello aumentano.
A questo va aggiunto che
nell’ippocampo, la zona preposta alla memorizzazione dei
contenuti, crescono nuove cellule nervose che
sopravvivono quando vengono stimolate nel modo giusto .
L’allenamento non è utile solo ai neuroni già presenti,
bensì anche a quelli appena prodotti. Ecco perché la
nostra capacità mentale dipende da quanto teniamo in
allenamento la mente.
Perché i media digitali
e Internet hanno un effetto deleterio
sull’apprendimento ?
Da un lato portano,
effetto ormai riconosciuto, a una maggiore
superficialità, come si evidenzia già dai termini
utilizzati : in passato i testi venivano “letti”, ora
vengono “scorsi”, ovvero “sfogliati velocemente”.
Prima “si scavava” in un
argomento, oggi “si naviga in rete”, ovvero “si scivola”
sui contenuti. Lo conferma in una intervista il celebre
linguista Noam Chomsky “ Non è possibile comunicare
molto in un tweet o in un commento su Internet. Questo
porta necessariamente ad una maggiore superficialità “
Non si tratta di una
teoria gratuita. Se si trascina con un dito una parola
da A a B su un touchscreen (ovvero la sposto
semplicemente in un altro punto dello schermo), si
compie l’azione più superficiale, riguardo
all’apprendimento, che si possa fare con una parola.
Forse c’è un gesto ancora più superficiale : quello del
copia-incolla con un click del mouse, perché basato su
un movimento ancora più limitato. Essere costretti, pur
con un rallentamento dei tempi, a leggere le parole,
oppure trascriverle, rappresenta un percorso di
approfondimento (=apprendimento) maggiore, che i media
elettronici ostacolano o impediscono del tutto.
Conclusioni 1 :
La rete sta cambiando il
nostro cervello rendendoci più intelligenti come
sostiene ottimisticamente Howard Reingold oppure ha
ragione Manfred Spitzer che sostiene che l’uso
massiccio delle tecnologie di consumo stia mandando
il nostro cervello all’ammasso ?
E se come spesso accade
la verità la si deve cercare nella via di mezzo ?
Conclusioni 2 :
In parte, e non del
tutto, la rete ci rende più intelligenti. In parte e non
del tutto la Rete ci rende dementi.
E’
molto più probabile però che ci renda più stupidi
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