I paradossi chirurgici del 2000
Gemma Martino
già Direttore di Divisione Riabilitazione, INT Milano
Direttore del Centro Internazionale METIS - Medicina e Memoria, Milano.
Negli ultimi vent'anni, le strategie terapeutiche in senologia sono fortemente migliorate a favore di un maggior rispetto dell'integrità fisica della donna. La svolta in campo chirurgico avvenne negli anni '70 quando Umberto Veronesi, all'Istituto dei Tumori di Milano, propose il confronto sperimentale tra la mastectomia di Halsted (mastectomia totale) e il trattamento conservativo della ghiandola mammaria (o quadranctectomia), che si limitava ad asportare solo il quadrante malato. L'intervento conservativo abbinava lo svuotamento ascellare nei tre livelli linfonodali all'irradiazione della mammella residua. I risultati ottenuti da questo approccio dimostravano l'analoga efficacia curativa dei due metodi e fecero prediligere l'intervento conservativo, che offriva anche un buon risultato estetico. Tuttavia, nonostante gli evidenti progressi, in questo campo esistono alcuni comportamenti paradossali che devono essere osservati e corretti.
Le conseguenze della mastectomia
Una delle contraddizioni più evidenti dell'odierna senologia è che oggi si presta molta attenzione ai risultati estetici e poca agli esiti fisici e psicologici successivi alla diagnosi e all'intervento. Infatti, anche se con minore intensità e incidenza, le donne sottoposte a chirurgia conservativa presentano gli stessi esiti di quelle trattate con mastectomia di Halsted e di Patey (mastectomia totale che però conserva il muscolo pettorale). La causa principale dell'edema e degli altri esiti è la dissezione ascellare: alcuni oncologi sono convinti che la chirurgia conservativa abbia fatto scomparire le sequele e quindi sottovalutano una serie di vecchi e nuovi disagi.
Vent'anni fa, chi aveva subito un'asportazione radicale del seno, seguita da una pesante radioterapia, non si stupiva della comparsa di edema al braccio; oggi, la donna con il seno conservato e l'altro spesso rimodellato, difficilmente accetta di sentire un braccio pesante o disestesico e la spalla ipofunzionante o dolente (Figura 1). Inoltre, mentre da un lato si tende alla maggior conservazione del seno, dall'altro si registra un'ossessiva radicalità chirurgica ascellare.
Nonostante i progressi, la stasi linfatica interessa ancora il 15-20% delle donne operate con tecnica conservativa, anche se il danno è minore e l'arto è meno
ingrossato per il risparmio dei muscoli pettorali, per la diversa scelta dei campi di irradiazione e per il più precoce trattamento specifico. Una volta evidenziatasi, la stasi linfatica può essere ridotta, ma difficilmente può scomparire: solo una donna su 10 ottiene, con un trattamento precoce ed adeguato, la scomparsa della stasi e forse in questi casi si tratta di edema transitorio e non cronico.
Alle donne operate deve essere chiarito che l'edema è un esito cronico e come tale non scompare, nonostante i mezzi di comunicazione diffondano illusorie notizie di metodi "sicuramente" efficaci nell'eliminare la stasi. Gli interventi prescritti per il trattamento dell'edema - siano essi il linfodrenaggio manuale, ultrasonico, vibrazonale per gli edemi iniziali, o la terapia meccanica compressiva uniforme o segmentaria e il bendaggio per gli edemi tardivi - hanno più o meno tutti la stessa efficacia e comportano il rallentamento e la riduzione del progressivo
aumento di volume dell'arto, che ha gradini di stabilizzazione.
Negli interventi conservativi alcuni esiti come la fibrosclerosi, lo stupor del toracico lungo con scapola alata visibile in controresistenza e la sintomatologia dell'intercostobrachiale risultano frequenti quanto, se non più, della chirurgia demolitiva poiché il chirurgo, che tende a conservare, facilmente può strattonare le strutture muscolari, fasciali e nervose che restano in sede".
Come prevenire gli esiti
Dal momento che lo svuotamento ascellare causa le sequele sopra accennate e non migliora la prognosi oncologica, il professor Veronesi ha programmato da alcuni anni il modello sperimentale del linfonodo sentinella, che permette di individuare le situazioni in cui è possibile evitare lo svuotamento ascellare. Questa modalità permetterà di conservare là dove non è necessario asportare e terrà conto degli esiti cercando di prevenirli.
Quando non è possibile evitare lo svuotamento ascellare si cerca di migliorare ulteriormente la condotta chirurgica. E' a tutti noto come la lesione del nervo intercostobranchiale dopo l'intervento comporti in tutte le donne, con intensità variabile, una sensazione di morsa, dolore, anestesia, ipotesi nella zona dell'ascella, dell'avambraccio e a volte di tutto il braccio. Nelle donne con terreno ansioso-depressivo o con relazioni familiari complesse o con storia di complicanze chirurgiche non trattate precocemente e adeguatamente, la sintomatologia disestesica può diventare cronica e invalidante nel 3% dei casi. Non sappiamo ancora se questo nervo, scheletrizzato dal tessuto circostante, si manterrà trofico nel tempo ed eliminerà le fastidiose disestesie post-operatorie e la relativa cronicizzazione.
Un altro controsenso della senologia moderna è la registrazione di una relativa alta positività linfonodale all'ascella in tempi di diagnosi precoce e di interventi chirurgici per noduli sempre più piccoli. In un campione di 6000 donne osservate per valutare la correlazione tra numero di linfonodi asportati, percentuale di positività e presenza di esiti chirurgici, abbiamo trovato linfonodi positivi nel 64% delle donne operate con Halsted, nel 60% di quelle operate con Patey e nel 35% con intervento conservativo di Veronesi. Questa percentuale inaspettata di linfonodi positivi in donne con tumori diagnosticati sempre più precocemente è dovuto alla miglior accuratezza del sezionamento e della lettura dei linfonodi asportati. L'evidenziazione dei linfonodi positivi e dei parametri biologici di rischio, porta a prescrivere più frequentemente di un tempo cicli di chemioterapia.
La donna e la malattia, un'entità sistemica complessa
La tendenza è quindi quella di trattare la malattia sempre più a livello sistemico e sempre meno a livello loco-regionale. Il passaggio successivo speriamo sia quello metodologico di considerare anche la donna - e non solo la malattia - come entità sistemica complessa. E questo potrà avvenire solo se i medici verranno formati in questo senso, a guardare cioè in modo globale, emozionale e personalizzato la donna e la sua malattia, senza nulla togliere alla logica razionale dei protocolli di ricerca, che ne verrebbero anzi arricchiti. È evidente come oggi esista un controsenso tra la tendenza a informare molto e a formare poco: sono pochi i giovani motivati, già responsabili di unità operative senologiche, che richiedono di partecipare ai corsi interattivi e formativi per ora proposti solo dalla Scuola Italiana di Senologia.
La reazione della donna alla terapia oncologica oggi è poco considerata. I risultati estetici ottenuti con la chirurgia conservativa non devono far pensare che la donna si senta liberata dal peso della diagnosi: lo svuotamento ascellare, la radioterapia, la possibile chemioterapia le ricordano che esiste la minaccia di una ripresa. Anche se vengono messe in atto strategie farmacologiche che comportano minori effetti collaterali, il significato di queste terapie è molto profondo ed evoca continuamente la presenza del tumore e della possibile morte. La donna sottoposta a un intervento conservativo è sicuramente felice delle conseguenze estetiche ridotte, ma quando si inizia a parlare dei programmi terapeutici le reazioni sono diverse e compaiono incredulità, negazione, ansia e depressione, rabbia repressa o aggressività, spostamento e fuga. Questi comportamenti si sommano a quelli del sistema familiare e spesso vengono ignorate, negate e banalizzate dai terapeuti per dei precisi meccanismi difensivi.
Per essere coerenti con i progressi raggiunti in campo senologico gli oncologi dovranno migliorare la loro capacità comunicativa ed affinare la capacità di osservare le reazioni delle donne e delle loro famiglie nel periodo compreso tra la diagnosi e la fine della terapia. Inoltre, dovranno prestare maggiore attenzione agli esiti funzionali ed algici e imparare a riconoscere le complesse alterazioni senso-motorie presenti in tutte le donne che hanno affrontato la diagnosi oncologica e i relativi trattamenti.
Nell'ambito dei progetti CNR-ACRO i nostri studi con esame clinico dinamico e sistemico delle donne senza sequele funzionali ed algiche hanno evidenziato l'alterazione di alcuni automatismi coordinativi. Essi sono visibili nella variazione dell'assetto gravitario e nella perdita - durante la deambulazione - della congruenza alto/basso, della sincronia braccio-gamba, della sincinesia dei movimenti pendolari: cambiamenti proprio- ed expropriocettivi e quindi emozionali, relazionali e simbolici.
La perdita di certi automatismi senso-motori non solo è la spia dell'alterata percezione del sé corporeo e gestuale, ma comporta a lungo andare alterazioni funzionali e strutturali sia a livello distrettuale che a distanza, finora poco valutate in campo clinico senologico. L'addestramento alle dinamiche senso-motorie porterà molti vantaggi ai clinici e alle donne: potranno essere diagnosticate ed affrontate con adeguate terapie le reazioni emozionali e le sequele fisiche in senso unitario; potranno essere differenziati i dolori da evoluzione da quelli disfunzionali a livello di spalla, anca e rachide; potranno essere meglio programmati gli interventi chirurgici demolitivi e soprattutto quelli ricostruttivi.
Il paradosso della chirurgia ricostruttiva
Un altro comportamento paradossale emerge nel campo della chirurgia ricostruttiva: oggi infatti gli interventi conservativi sono aumentati, ma sono più frequenti anche quelli ricostruttivi. Questo aumento degli interventi di ricostruzione con protesi sottomuscolari e ampie rotazioni dei lembi è dovuto al fatto che né i medici né le donne amano vedere seni mutilati, dimenticando che gli interventi di ricostruzione non sono esenti da sequele locali e funzionali a distanza. È quindi necessario aumentare il bagaglio delle conoscenze biomeccaniche e sistemiche per ottimizzare la scelta operativa e prevenire i possibili danni.
Le fasce e i muscoli non sono entità a sé stanti: ogni resezione crea un disequilibrio nel complesso significato della struttura corporea, un sistema dinamico e circolare costituito da forze gravitarie e sintropiche, circuiti alfa e gamma, razionalità ed emozionalità, individuazione e relazione.
I disequilibri senso-motori osservati nelle pazienti operate di tumore possono farci capire come le donne esprimano il loro disagio attraverso la modificazione dei gesti fondamentali della relazione, della tensione energetica e riorganizzino la percezione di sé e del mondo. Sta a noi non solo prevenire, conservare, proporre nuove terapie, ma anche captare - attraverso studi dinamici e sistemici - la complessità della realtà osservata, che include anche la nostra realtà di osservatori, e rendere congrui e sapienti i nostri comportamenti terapeutici e la nostra ricerca futura.
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