Grand raid de la Reunion

« la diagonal des fous »

21 ottobre 2006

 di Paolo Bertini

             « La Reunion è la Francia ai Tropici, è un vulcano in mezzo all’Oceano Indiano, è spiaggia e lagune, è città e villaggi di montagna, è un gioiello nel mare turchese a qualche centinaio di chilometri dalla costa orientale del Madagascar e a 10.000 km da Parigi” questo è quello che le agenzie dicevano di quest’isola ma l’unico motivo per il quale io mi trovavo qui, dopo mesi di duro e costante allenamento e grandi perplessità era un altro: il Grand Raid de la Reunion meglio conosciuto come la Diagonal des Fous, si, perché solo dei folli possono pensare di attraversare quest’isola di corsa, da sud a nord, valicando un vulcano attivo a 2400m di quota, in mezzo alla giungla per 143km e 8700m di dislivello totale!

            E’ considerata la più lunga corsa in montagna del mondo che oramai da 14 anni porta migliaia di atleti provenienti da tutti i paesi a condividere paesaggi stupendi in continua mutazione, una vegetazione lussureggiante, i pascoli, le strade forestali ma anche le pietraie scoscese ed i dirupi.

            Le ore che precedono una gara sono le più stressanti ma qui in più c’è l’incertezza, la montagna, il freddo, il caldo, l’avventura. E’ tutto il giorno che preparo con una precisione maniacale i tre sacchi contenenti l’abbigliamento che l’organizzazione mi farà trovare lungo il percorso, è un continuo togliere da una parte per mettere nell’altra…starò facendo la cosa giusta? Sono le 23:00, tutto è pronto ed insieme ad altri concorrenti che alloggiano nello stesso albergo mi sposto verso la partenza.

            Lo stadio di Cap Mechand è un brulicare di concorrenti in assetto di gara, 2500 persone con zaino, camel back, lampada frontale e tutto l’occorrente per affrontare la gara, si scattano le ultime foto, la tensione è alta, qualche goccia di pioggia ma è solo una nuvola passeggera, il cielo è pieno di stelle, giocolieri fanno roteare clave infuocate nell’aria mentre ritmi di percussioni scandiscono il tempo, conto alla rovescia, è l’una di notte…si parte. Il 34% non vedrà mai l’arrivo allo stadio de La Redoute a St. Denis, si saprà due giorni dopo, distorsioni, tendiniti, crampi, vomito, fatica generale. Il Direttore di gara Danis Boullè ci tiene a precisare che il percorso 2006 è il più duro di tutti gli anni precedenti e che solo una gestione accurata delle energie ci potrà fare arrivare in fondo.

            La prima parte del percorso è su strada asfaltata per meglio sgranare il gruppo, poi il serpentone luminoso sale in mezzo alle canne da zucchero poi nel bosco; il sentiero si inerpica ripido, ci si aggrappa a tutto ciò che le lampade frontali illuminano, rami, radici, pietre sporgenti. Il fondo inizia ad essere sempre più viscido, si cammina in fila indiana, in silenzio.

            Intorno a quota 2000m la vegetazione diventa sempre più bassa e rada, si corre sulla lava, oramai il cratere centrale è vicino. Sul mare, all’orizzonte, le prime luci dell’alba; poco alla volta il paesaggio si illumina assumendo colori che fino a qualche minuto prima non si coglievano. Il giallo delle ginestre fiorite, si staglia sul nero della lava mentre una leggera bruma rende tutto ovattato ed irreale. Arrivo al primo ristoro, quello che chiamano della Route du Volcan, a quota 2320m, 31km, un po’ di brodo caldo,  dell’uva secca, un bicchiere di coca e riparto. Qui il sentiero è più largo, si corre bene, leggeri saliscendi, poi la picchiata ai 1600m di Mare à Boue, km 50, prendo il sacchetto che l’organizzazione ci ha portato fino a qui, cambio le calze e la maglia, avrò davanti una giornata che si prospetta bella calda, quindi roba leggera.

            Carico un po’ di acqua, sciolgo il pacchettino di maltodestrine che mi sono preparato, mangio un cubetto di grana, tre datteri e riparto.

            La salita al Kerveguen è dura, ma ancora di più la discesa verso Cilaos, 1000m di dislivello in 8km, un sentiero scivoloso, pieno di pietre, con scale a pioli nei punti più ripidi.         Qui bisogna usare la massima cautela. Raggiungo vari gruppi che mi lasciano passare, arrivo a Cilaos, km 67 alle 13:30. Prendo il sacco e mi dirigo sotto le scalinate dello stadio dove è possibile fare una doccia, mi cambio completamente, metto anche delle scarpe più leggere, la parte più bagnata e fangosa dovrebbe essere finita. Un bel massaggio alle gambe, rifornimento e trotterellando esco dallo stadio, 30 minuti in tutto ma che mi fanno sentire molto meglio, rigenerato. Scendo fino al fiume, lo attraverso e qui inizia la lunga salita del Taibit, 1200m.

            La discesa verso Marla la faccio insieme ad Olivier, lui è alla sua seconda esperienza al Grand Raid e vanta un bel 30:34 nell’edizione del 2004 che però era 20km più corta. Stare con lui mi da sicurezza, oramai siamo scesi nel Cinque du Mafate, un enorme cratere considerato da tutti il punto del non ritorno per la mancanza di alcun tipo di strade che lo collegano con l’esterno. Abbiamo lo stesso passo, lui tira in salita, io in discesa e in breve arriviamo a Marla.        Breve sosta e ripartiamo per approfittare degli ultimi minuti di luce, fa freddo, la temperatura è intorno ai 5 gradi e forse è questo che ci fa correre forte e recuperiamo diverse posizioni ma questa sorta di incitamento reciproco dura poco, un piede in fallo fa letteralmente volare il mio compagno con la faccia verso la parete della montagna. Lo aiuto a sollevarsi ma ha il naso rotto e una profonda ferita sulla fronte. Poco più sotto vicino al fiume una luce indica, fortunatamente, un punto di soccorso. Saprò il giorno dopo che nonostante le ferite Olivier ha terminato solo tre ore dopo di me.

            La discesa a Deux Bras è infinita, sono le 3 di notte, fa freddo, la stanchezza inizia a farsi sentire ma quello che rende tutto più pesante da sopportare è il fatto che mancano ancora almeno 8 ore alla fine e 2000m di dislivello in salita! Continuo ad inciampare, non è prudente continuare così, fra poco sarà chiaro e sarebbe assurdo fermarsi a dormire una volta che è giorno. Trovo una pianta che ha perso tutte le foglie creando a terra un soffice materasso pronto ad accogliermi. Mi infilo la calzamaglia, il micropile, il kway, zaino sotto la testa ed entro nel mondo dei sogni! Non so quanto è durato questo sonno, meno di un’ora comunque, mi sveglio in preda ai brividi di freddo, infilo lo zaino e riparto. Ho energie nuove, in breve arrivo al fiume che supero saltando tra enormi sassi tondeggianti. E’ l’alba, spengo la luce frontale, al punto di controllo di Deux Bras non prendo neppure il sacco della roba per cambiarmi, bevo del brodo caldo, un bicchiere di coca e su per il Dos d’Ane mille metri più in alto.ù in alto.

            Incontro altri corridori che supero senza fatica, il paesaggio è incantevole, uccelli rossi e gialli svolazzano tra i cespugli, corro sul filo di cresta fino ad arrivare ai 1500m del Piton Batard, il nome è un programma ma è bellissimo. Continuo a superare gente, sono pervaso da una sorta di euforia che mi da energie insperate dopo più di 30 ore di gara, saprò all’arrivo che in questo tratto ho guadagnato ben 52 posizioni! Ancora 10km di saliscendi in mezzo ad una vegetazione lussureggiante, un tunnel di 30-40 cm di larghezza scavato nei Ficus mi porta al Colorado, balconata a 1000 metri sopra l’arrivo. La vista che si gode da quassù è stupenda è mezzogiorno e la discesa è tutta a nord con il sole a picco, siamo nell’altro emisfero. Mentre scendo sento la musica salire dallo stadio de La Redoute, ancora qualche tornante, poi un lungo traverso a sinistra, è finita, le transenne mi incanalano verso l’ingresso dello stadio, i microfono scandiscono il mio nome mentre taglio il traguardo: 34ore 33minuti 12secondi il mio tempo e 177esimo assoluto su 2500 partenti, i miei occhi pieni di lacrime si fermano, dimenticano il dolore e la fatica perché qui non ci sono solo le gambe ma c’è anche il cuore e come recita la scritta sulla maglietta gialla che una ragazza creola mi porge: “FIERO DI ESSERE SOPRAVVISSUTO ALLA DIAGONALE DEI FOLLI”