100 miles of Namib Desert
di Silvio Chierichetti
Semplicemente fantastica. Questa è la sintesi estrema della mia partecipazione alla 100 Miles of Namib Desert,
gara in 5 tappe e 4 giorni di circa 150 Km, corsa nella prima settimana di luglio '04 nel più antico e affascinante
deserto della terra: il deserto della Namibia, appunto. Ho corso su tutti i terreni: dagli acciottolati del greto
di fiumi che non vedono acqua da migliaia di anni, alle "sabbie portanti" cosparse di ciuffi di erbe secche che
se ne calci uno ti trapassa con le spine anche la suola delle scarpe, alle piste che al confronto gli sterrati della
nostra amata Montagnetta sembrano in tartan, alle dune sabbiose alte oltre 300 metri da scalare a quattro
zampe,ma che anche così fai tre passi avanti e due indietro. Per non parlare della di scesa che metterebbe in
difficoltà gli snowboardisti più spericolati.Ho provato di tutto: dalle vesciche (eufemismo) ai piedi, alla sete,
dal caldo- fortunatamente secco- al vento di oltre 40 nodi che con la sabbia ti smeriglia la pelle come nemmeno
la migliore delle estetiste sa fare con il peeling.Il tutto immerso in un paesaggio continuamente mutevole nella
sua immobile vastità, di una bellezza che puoi raccontare solo a chi ci è stato. E gli animali: gazzelle di tutte
le dimensioni che si cibano di quei ciuffi d' erba secca e spinosa che ti bucano le scarpe, che bevono quel 4-6%
di umidità che c'è nell'aria, che fanno urina solida per risparmiare sulla bolletta dell' acqua; gli struzzi che magari
ti camminano a fianco per qualche decina di metri, che scrutano con occhio ebete quel bipede colorato che
corre così goffamente e che, disgustati da quella vista, improvvisamente se ne vanno per la tangente ad una
velocità da cartone animato; serpenti, pochi ma pur sempre serpenti velenosi, che cercano in tutti i modi di non
attaccar briga con l' intruso e se ne vanno strisciando così velocemente che se vuoi calpestarli devi proprio
rincorrerli. E bacherozzi. Tanti, a migliaia, con vernice metallizzata dal nero, al verde, all' amaranto scuro,
così lucida da far invidia ai motociclisti che passano la vita a lucidare la moto. Sono coleotteri che vanno
come spie, in fila indiana e non ti spieghi il perché di tanto affanno. E la magia della notte con il suo gelo e con il suo cielo. Un cielo nero con una via lattea che capisci al volo perché l' hanno chiamata così e che pare a portata di mano; con una quantità di stelle che nemmeno immagini, più brillanti dei milioni di lampadine che adornano gli alberi di Manhattan in periodo Natalizio (e gli americani non badano a spese).
Già, la 100 miglia. Vero, L'ho fatta tutta. Eravamo in 29. Sono arrivato decimo.
In totale ci ho messo 12 ore e 52 minuti. Mi hanno detto che non è affatto male per uno alla sua prima esperienza in queste gare, ma soprattutto perché non sono esattamente di primo pelo. Ho, sfortunatamente, 62 anni. Per la verità nessuno, né tra i concorrenti, tutti veterani del deserto, né tra gli organizzatori (Adriano Zito della Zitoway e i suoi collaboratori sono stati semplicemente fantastici!) avrebbero scommesso un euro su di me. Poi hanno saputo che sono del Montestella e che mi alleno al 25 Aprile……e molte cose sono risultate meno misteriose.
Conclusione: dopo questa esperienza diventa difficile ritornare alla realtà fatta di maratone anche belle, in città splendide come New York, Parigi, Londra, Roma, Venezia e Firenze. Il virus del deserto mi ha contagiato, così come mi contagiò la prima maratona corsa a 50 anni suonati dopo una vita di ciclismo: lasciai il ciclismo per la corsa. La tentazione di passare al deserto e a imprese (quasi) estreme è fortissima. Nonostante l' età.
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