1) - Aspettare il verdetto di un esame provoca
livelli d’ansia paragonabili a quelli di un responso sfavorevole
MILANO - L’ansia del responso medico dopo una biopsia può
giocare brutti scherzi e comportare qualcosa in più di una notte
insonne. Arrovellarsi nell’attesa di sapere se si è malati o no
può indurre alterazioni biochimiche nell’organismo tali da provocare
guai più seri, fino a compromettere il sistema immunitario e la
guarigione della ferita.
LO STUDIO - Per dimostrarlo, un gruppo di
ricerca di Boston è andato a cercare le prove nella saliva di 126
donne sottoposte a biopsia del seno e in attesa di conoscere la
diagnosi. In particolare, è stato misurato il livello di cortisolo,
spesso chiamato anche «ormone dello stress», dato che la sua concentrazione
aumenta in risposta a stimoli stressanti.
I dettagli dell’indagine sono riportati sul numero di marzo della
rivista Radiology. Alle partecipanti è stato prelevato un campione
di saliva il giorno della biopsia e ciascuno dei quattro giorni
successivi. In quest’arco di tempo, 16 donne hanno saputo di avere
un tumore, 37 una lesione benigna e 73 sono rimaste senza una risposta
certa (o perché ancora in attesa dell’esito o perché il risultato
incerto ha richiesto ulteriori esami).
ANSIA E CATTIVE NOTIZIE: STESSO STRESS -
E proprio in quest’ultimo gruppo di pazienti i livelli di cortisolo
nella saliva sono apparsi analoghi a quelli delle donne che sapevano
di avere un cancro e molto diversi da quelli di chi, invece, aveva
potuto tirare un sospiro di sollievo.
Le cattive notizie e l’incertezza dunque producono una risposta
simile nell’organismo, che merita attenzione, spiega Elvira Lang,
primo autore della ricerca e docente di radiologia all’Università
di Harvard: «Il cortisolo ci aiuta a combattere lo stress acuto,
regolando la pressione del sangue, i livelli di zuccheri e la risposta
immunitaria quando è necessario.
Ma quando lo stress diventa cronico, la secrezione di cortisolo
o va in sovraproduzione continua oppure si estingue, lasciando in
ogni caso il sistema immunitario e altre funzioni dell’organismo
in condizioni di vulnerabilità».
CHE FARE – Questi risultati, sperano gli
autori del lavoro, devono stimolare i medici a velocizzare le analisi
e la comunicazione dei risultati delle biopsie. Elvira Lang, che
da tempo si occupa della gestione dell’ansia nelle pazienti e che
ha studiato anche l’uso di terapie dolci come l’ipnosi, aggiunge
qualche suggerimento per le pazienti: «Le donne dovrebbero chiedere
chi comunicherà loro i risultati e quanto tempo ci vorrà.
Quindi dovrebbero, se possibile, programmare la biopsia insieme
al medico tenendo conto di eventuali ritardi legati a fine settimana
o vacanze. Per gli operatori sanitari – conclude Lang - non è più
così semplice guardare agli effetti delle lunghe attese e liquidarli
con un «Oh, è solo un po’ di nervosismo».
Donatella Barus (Fondazione Veronesi) 25 febbraio
2009
2) Tumore mammario: gravidanza ritarda diagnosi
La diagnosi ed il trattamento del tumore mammario risultano spesso
ritardati quando esso si sviluppa durante la gravidanza: ne deriva
che la sopravvivenza potrebbe venirne compromessa. Gli effetti della
gravidanza sulla mammella potrebbero mascherare i sintomi del tumore
mammario, rendendolo più difficile da identificare.
La principale raccomandazione per migliorarne la diagnosi precoce
consiste nel ricordare la distribuzione bimodale di questi tumori:
la maggior parte dei medici sono consapevoli dell'aumento del rischio
con l'avanzare dell'età, ma non sono a conoscenza del picco che
si osserva fra i 30 ed i 40 anni, e quindi anche se il tumore mammario
è la più frequente neoplasia associata alla gravidanza, esso non
si trova fra le più frequenti diagnosi differenziali.
Le forme associate alla gravidanza comunque non differiscono dalle
altre per quanto riguarda recidive locoregionali a 10 anni, metastasi
a distanza e sopravvivenza complessiva: ciò probabilmente si deve
dall'ampio uso della terapia neoadiuvante nel campione considerato
dopo il primo trimestre di gravidanza.
Tale pratica rappresenta dunque lo standard per le pazienti con
tumore mammario in gravidanza: essa è sicura ed efficace se somministrata
dopo il termine del primo trimestre onde consentire il completamento
dell'organogenesi fetale. Oltre al trattamento tempestivo, si raccomanda
anche una valutazione diagnostica più aggressiva dei sintomi mammari
durante la gravidanza, tramite l'ecografia o, con le adeguate protezioni
del caso, la mammografia.
(Cancer online 2009, pubblicato il 9/2)
3) Carcinoma duttale in situ : utili chirurgia
e radioterapia
Una revisione della letteratura conferma i benefici derivanti dall'aggiungere
la radioterapia alla chirurgia conservativa nel trattamento delle
donne con carcinoma duttale in situ: questa strategia infatti riduce
in modo sostanziale il rischio di recidiva.
Quanto riscontrato conferma le attuali raccomandazioni della maggior
parte dei medici per queste pazienti. La maggior parte dei medici
raccomanda oggi la chirurgia conservativa per questi tumori, ma
comunque gli studi in materia dimostrano che maggiore è il ruolo
della paziente nel processo decisionale, maggiore è la probabilità
che in ultima analisi si ricorra alla mastectomia: ciò si deve al
fatto che la maggior parte delle cognizioni delle pazienti, derivanti
eminentemente da internet, riguardano i tumori mammari invasivi,
e non il carcinoma duttale in situ.
In realtà, in quest'ultimo caso, la differenza in termini di sopravvivenza
fra i due interventi è minima. In pratica, a prescindere dal trattamento
scelto, nei 15 anni successivi all'intervento il rischio di mortalità
per altre cause supera quello da tumore mammario.
(Cochrane Database Syst Rev online 2009, pubblicato il 5/2)
4) - Le donne tendono a richiedere una mastectomia
profilattica in caso di BRCA+
Le donne portatrici di mutazione BRCA tendono a vedere la mastectomia
come il miglior modo di ridurre il rischio di tumore mammario e
la propria ansia riguardante la malattia. Nonostante la disponibilità
di opzioni meno drastiche, la maggior parte delle pazienti sembrano
tendere di più verso la chirurgia. Si tratta di una decisione molto
personale, che implica diversi fattori, fra cui la sessualità, la
propria immagine personale ed il timore di sviluppare tumori. A
volte in presenza di una mutazione BRCA si potrebbe ricorrere allo
screening nella speranza di trovare lesioni in fase precoce, ma
spesso questo potrebbe rivelarsi solo una misura interlocutoria
che conduce all'adozione di strategie preventive. (Cancer online
2009, pubblicato il 9/3)
5) - Resi noti i primi risultati sui test di prevenzione
del cancro alle ovaie
Bisognerà aspettare il 2015 per i dati definitivi. La rivista britannica
Lancet Oncology ha pubblicato una prima analisi dei dati del programma
sui test di prevenzione del cancro alle ovaie in corso dagli anni
Ottanta e che dovrebbe concludersi nel 2015, quando verranno pubblicati
i risultati definitivi.
Si avvicina dunque l'obiettivo di introdurre un test di controllo
a livello nazionale, in quanto l'analisi iniziale sembrerebbe dimostrare
che i due tipi di test fin qui messi a punto, il livello della proteina
Cas125 nel sangue e uno scan a ultrasuoni, sono efficaci e possono
salvare delle vite.
Con un campione che riguarda 200.000 donne dai 50 ai 74 anni di
età, metà delle quali trattate con uno dei due test, si tratta del
piú esteso studio randomizzato mai effettuato.
Con il test proteinico sono stati rilevati 87 tumori o neoplasie,
metà dei quali negli stadi iniziali, mentre in 13 casi a un risultato
negativo è seguito l'insorgere di un tumore entro un anno. Non sono
infine mancati i falsi positivi: il test a ultrasuoni ha infatti
indicato 845 casi di "anormalità" e solo 45 sono effettivamente
risultati tumori.
6) - Bianco o rosso per lei è uguale: il vino
fa male al seno
MILANO - Alla fine Lambrusco o Barbera non sono meglio di
un Vermentino o di uno Chardonnay. Almeno, non per la salute del
seno. Vino rosso e bianco, infatti, contribuiscono in egual misura
ad aumentare il rischio di tumore mammario per le donne che ne consumano
quantità anche modeste.
LO STUDIO - A sferrare l’ennesimo colpo
al mito del vino che fa buon sangue è una ricerca americana condotta
dagli esperti del Fred Hutchinson Cancer Research Center e pubblicata
sul numero di marzo della rivista Cancer Epidemiology, Biomarkers
and Prevention . «Volevamo indagare gli effetti del vino rosso sul
rischio di cancro al seno - ha spiegato Polly Newcomb, responsabile
del programma di prevenzione oncologica del centro statunitense
-.
Sappiamo che in generale il consumo di alcolici aumenta le probabilità
di ammalarsi, ma ci chiedevamo se il vino rosso in particolare non
potesse essere collegato a qualche beneficio, anche perché precedenti
studi sulle malattie cardiovascolari e sul tumore della prostata
avevano suggerito la possibilità di effetti protettivi».
NESSUN VANTAGGIO PER IL ROSSO - I ricercatori
hanno coinvolto 6.327 donne fra i 20 e i 69 anni con un tumore al
seno e altre 7.558 senza la malattia. Sono state considerate le
loro abitudini al consumo di alcolici (non solo vino, ma anche birra
e liquori) e altri fattori di rischio per le neoplasie mammarie,
come l’età alla prima gravidanza, la storia familiare e l’uso di
terapia ormonale sostitutiva in menopausa. E, alla fine, non è emersa
alcuna differenza tra vino rosso o bianco in relazione al rischio
di cancro al seno.
SOLO QUESTIONE DI GUSTO - «Se una donna
beve, dovrebbe farlo con moderazione, non più di un bicchiere al
giorno. E se sceglie il vino rosso, dovrebbe farlo solo perché le
piace, non perché crede che faccia meno male» ha commentato Polly
Newcomb. Il team di ricerca ha appurato che le donne che consumano
ogni settimana almeno 14 bicchieri di vino bianco, rosso o birra
risultano esposte ad rischio di tumore del seno aumentato del 24
per cento rispetto alle astemie.
BIANCO O ROSSO? MEGLIO VERDE - Molti studi,
negli anni, hanno segnalato una minore incidenza di alcune malattie
croniche fra i consumatori leggeri di vino e spesso questo vantaggio
è stato attribuito alle sostanze antiossidanti contenute nel nettare
di Bacco. Mancano però prove scientifiche definitive e l’interpretazione
potrebbe essere più complessa, come suggeriscono gli esperti dell’Inran,
l’Istituto nazionale di ricerca per gli alimenti e la nutrizione,
all’interno delle Linee guida sull’alcol: «Il vino, e in misura
ridotta la birra, potrebbero esercitare i loro effetti protettivi
anche perché, nel rispetto della tradizione mediterranea, vengono
in genere consumati durante i pasti: questo fa sì che oltre al rifornimento
di sostanze antiossidanti, si abbiano anche picchi alcolemici più
bassi». E nello stesso documento i nutrizionisti ricordano, se ce
ne fosse bisogno, che non è il caso di darsi all’alcol per cercare
effetti protettivi: basta consumare frutta e verdura in quantità
per fare il pieno di antiossidanti senza intossicarsi con l’etanolo.
TUMORI, NESSUNA ATTENUANTE –In ambito oncologico,
il verdetto sull’alcol appare unanime: basta anche un bicchiere
al giorno per cambiare i livelli di rischio e si vanno sommando
le prove di una correlazione fra alcol e varie forme di tumore.
Fra i dati più recenti, quelli raccolti dai laboratori del Lombardi
Comprehensive Cancer Center della Georgetown University, secondo
cui un paio di drink al giorno, di qualunque genere, aumentano del
22 per cento il rischio di sviluppare un tumore al pancreas.
Donatella Barus 10 marzo 2009
7) - Seno: terapie su misura se la malattia colpisce
a 30 anni
MILANO - Le giovani donne che si ammalano di tumore del seno
sono una netta minoranza sul totale delle pazienti colpite questa
forma di cancro. I numeri però da qualche anno tendono ad aumentare
e all’età meno elevata si associa un maggior rischio di recidiva.
Dunque, come trattare adeguatamente la malattia?
In maniera più aggressiva? La ricerca è ancora a caccia di risposte
e chi ha la responsabilità di curare giovani pazienti è a caccia
di un giusto punto di equilibrio fra l’efficacia e la tollerabilità
delle cure. Il tutto tenendo sempre presente che si tratta di una
malattia che colpisce donne ancora pienamente attive in famiglia,
in coppia, al lavoro e in società, con una lunga aspettativa di
vita, che magari sono madri o che vorrebbero poterlo diventare.
LA RICERCA - Ora uno studio americano
ha rilanciato il tema. Un gruppo di esperti dell’M.D. Anderson Cancer
Center di Houston (Texas) ha esaminato i dati di 652 donne colpite
da cancro al seno quando avevano meno di 35 anni, in un periodo
compreso fra il 1973 e il 2006.
Lo scopo era confrontare i risultati di diversi schemi terapeutici
(chirurgia conservativa, mastectomia da sola o mastectomia seguita
da radioterapia) andando a confrontare i tassi di ricadute nei 10
anni successivi alle cure.
L’analisi, descritta sull’International Journal of Radiation Oncology
, ha innanzitutto confermato che effettivamente le donne più giovani
hanno tassi di recidiva più alti. Poi ha rilevato che un buon controllo
del rischio è possibile, soprattutto con un approccio aggressivo,
ossia l’asportazione dell’intera mammella e la radioterapia, nei
casi di malattia più estesa. Secondo gli autori anche la chemioterapia
ha portato dei benefici alle giovani pazienti.
«NON CONTA SOLO L’ETA’» - Dunque, di fronte
ad una malata sotto gli «anta» si opta per una cura più aggressiva,
si dice addio al «bisturi leggero»? No, o almeno non per forza,
secondo Oreste Gentilini, vicedirettore della divisione di Senologia
dell’Istituto europeo di oncologia (Ieo) di Milano: «La data di
nascita non è un motivo sufficiente per decidere, ad esempio, di
ricorrere ad una mastectomia invece di una quadrantectomia.
Magari ci fosse la certezza di risolvere tutto con la rimozione
dell’intera mammella… Occorre studiare a fondo la malattia e, se
dopo tutti gli accertamenti, si ritiene fattibile una chirurgia
conservativa, la si fa. Esattamente come accade per le pazienti
più anziane.
Allo stesso modo, per una 25enne non si sceglie a priori di fare
chemioterapia, ma si valutano tutte le opzioni terapeutiche, compresa
la terapia endocrina».
E’ un approccio fedele alla filosofia del minimo trattamento efficace
invece del massimo trattamento tollerabile.
UNA BIOLOGIA DIVERSA - I tumori che colpiscono
mammelle più giovani hanno delle caratteristiche biologiche particolari,
spiega ancora Oreste Gentilini: «Mediamente hanno una velocità di
proliferazione maggiore e un minor grado di differenziazione, oltre
ad essere più frequentemente di tipo non ormonoresponsivo.
Tutti dettagli che si traducono in un aumento del rischio di ricaduta,
su cui influisce anche il tempo, per fortuna molto lungo, che una
giovane donna ha in genere davanti a sé».
DUE MALATE SU 100 HANNO MENO DI 35 ANNI
- «Oggi – prosegue Gentilini - circa due casi su cento di tumore
del seno si verificano in donne con meno di 35 anni, e la tendenza
sembra essere in aumento. Anche nel nostro istituto, sette o otto
anni fa incontrare una paziente trentenne era un’evenienza rara,
oggi è una cosa che vediamo con una certa regolarità.
Certo, può essere che le giovani pazienti siano più propense a rivolgersi
ai centri di riferimento, ma in generale si osserva un abbassamento
dell’età media di insorgenza del tumore». I motivi? «Non si conoscono,
ma è giustificato pensare a un insieme complesso di concause ambientali
e genetiche».
DIAGNOSI PRECOCE INNANZITUTTO - E la risposta
al rischio, gli oncologi ne sono sempre più convinti, passa attraverso
due parole-chiave: personalizzazione e screening. «Da un lato si
va verso cure sempre più ritagliate su misura, progettate per una
specifica malattia in una particolare donna, giovane o matura che
sia - afferma Gentilini -.
Dall’altro non si possono chiudere gli occhi di fronte ai dati epidemiologici
ed è giusto abbassare l’età dei primi controlli: aldilà degli screening
organizzati (gratis e su invito ogni due anni per le donne fra i
50 e i 69 anni, ndr) è bene che dai 25 anni in poi le ragazze facciano
ogni anno un’ecografia e una visita annuale».
IN ITALIA GUARIGIONI ELEVATE - L’argomento,
in ogni caso, tiene desta l’ attenzione degli oncologi, dato che,
ricorda l’Istat, nelle ragazze e giovani donne fra i 15 e i 39 anni
i tumori della mammella sono di gran lunga la forma neoplastica
a più elevata incidenza (2.420 nuovi casi in un anno, oltre un quarto
di tutte le nuove diagnosi di cancro).
Negli anni sono aumentate le diagnosi ma anche i successi, fino
a raggiungere in Italia una sopravvivenza a cinque anni dell’84
per cento, un valore superiore a tutti gli altri Paesi.
Donatella Barus (Fondazione Veronesi) 06 marzo
2009
8) - I VEGETARIANI SONO MENO SOGGETTI AI TUMORI
I risultati di uno studio pubblicato sull'American Journal of Clinical
Nutrition Uno studio, che ha seguito 53.700 tra uomini e donne,
conferma che la dieta vegetariana aiuta a tenere lontani i tumori.
A sorpresa pero', lo studio ha mostrato, tra i vegetariani, un piu'
alto tasso di cancro colonrettale, un tumore di solito collegato
al consumo della carne rossa.
Il dato, secondo il team il cui studio e' stato pubblicato sull'American
Journal of Clinical Nutrition, meriterà di essere ulteriormente
analizzato. Il campione di volontari, di età compresa tra i 20 e
gli 89 anni, e' stato selezionato in Gran Bretagna negli anni '90,
in base alle preferenze alimentari.
I partecipanti sono stati divisi tra carnivori, vegetariani, mangiatori
di pesce, e veganiani, che non mangiano neanche pesce e uova. L'analisi
ha rivelato innanzitutto una minore incidenza di cancro nel totale
del campione rispetto alla media e una minore significativa incidenza
di tutti i tipi di cancro tra i vegetariani e fra quanti prediligono
il pesce.
Per saperne di piu' sulla maggiore incidenza di cancro colonrettale
occorrera' attendere i prossimi studi centrati sul collegamento
tra tipo di dieta e cancro, anche se, come avvertono i ricercatori,
il cancro e' una malattia complessa, sul quale incidono diversi
fattori.
9) - TERAPIA ORMONALE E RISCHIO
Rischio doppio con estrogeno-progesterone L'uso postmenopausale
di una combinazione di estrogeni e progesterone porta a più del
doppio il rischio di tumore mammario lobulare, e quasi raddoppia
quello di tumore mammario duttale, mentre la sola somministrazione
di estrogeni non aumenta il rischio.
Soltanto nelle donne più magre e nei casi di tumore duttale diagnosticato
allo stadio regionale/distale l'uso di soli estrogeni è risultato
associato ad un aumento del 50 percento del rischio di tumori lobulari
invasivi dopo averne fatto uso per 10 o più anni.
Quanto riscontrato suggerisce l'esistenza di una finestra di due-tre
anni affinché il rischio comportato dalla combinazione estrogeno-progesterone
divenga evidente dopo l'uso iniziale, e affinché si attenui dopo
la cessazione della terapia. (Cancer 2009; 115: 936- 45)
10) - Discordanza fra tumori mammari primari
e metastatici
Sussiste un tasso di discordanza sostanziale nei marcatori patologici
e molecolari fra i tumori mammari primari e le sospette lesioni
metastatiche della mammella: questa discordanza è prevalente al
punto di alterare le decisioni terapeutiche nel 20 percento dei
casi. L'importanza del fenomeno è in aumento per via dell'incremento
dell'uso delle terapie mirate, e la verifica dei tessuti dovrebbe
essere considerata una strategia standard nelle pazienti con segni
radiologici o clinici che lasciano pensare ad una metastasi e lesioni
passibili di biopsia.
Attualmente essa non è uno standard in nessun luogo, ma si tratta
di una pratica che sta divenendo sempre più comune alla luce dei
risultati di studi retrospettivi e prospettici.
E' comunque difficile immaginare che essa divenga mai uno standard
vero e proprio, in quanto le biopsie richiedono un fortissimo supporto
interdisciplinare. Altri studi hanno suggerito che fra il tumore
mammario primario e le sue recidive possono emergere variazioni
del fenotipo molecolare che possono alterare significativamente
la risposta al trattamento: anche in questi casi, la biopsia della
recidiva andrebbe effettuata di routine per determinare le opzioni
terapeutiche ottimali.
(Ann Oncol online 2009, pubblicato il 18/3)
11) - Veronesi punta alla mortalità zero per
il tumore del seno
Arrivare alla mortalita' zero per i casi di tumore al seno identificati
grazie alle tecniche di diagnosi precoce, e non attraverso l'autopalpazione.
E' questa la sfida ambiziosa lanciata da Umberto Veronesi, direttore
scientifico dell'Istituto europeo di oncologia (Ieo) di Milano,
che su questo fronte ha presentato a Roma uno specifico progetto.
Il progetto reclutera' 10 mila donne sopra i 40 anni e senza precedenti
tumori. Su queste pazienti si eseguiranno due ecografie all'anno,
una ogni sei mesi, una mammografia bilaterale annuale e una risonanza
magnetica per i casi che presentano rischi piu' elevati.
Il reclutamento durera' due anni e partira' dall'autunno di quest'anno
e nel 2016 si avranno finalmente i primi dati. "L'idea di questo
progetto - spiega Veronesi - e' nata dall'osservazione di molti
casi pre-clinici, ovvero non scoperti tramite la palpazione personale,
operati negli ultimi anni.
Abbiamo preso in esame 964 casi curati tra il 2000 e il 2004, e
abbiamo visto che 957 donne erano ancora in vita, con un successo
quindi del 99,3%. Abbiamo quindi pensato che avremmo potuto raggiungere
la mortalita' zero intensificando notevolmente le tecniche diagnostiche
a nostra disposizione, migliorando la prevenzione a livelli altissimi.
Vogliamo quindi capire quanto riusciamo ad ottenere spingendo al
massimo gli esami classici".
12) - Staminali: ricostruzione del seno da tessuti
adiposi
E' possibile ingrandire il seno utilizzando cellule staminali ricavate
dai tessuti adiposi in eccesso rimossi dalla pancia o dalle gambe,
tramite liposuzione.
Questa è l'innovativa tecnica sperimentata con successo in Gran
Bretagna su alcune donne che hanno subito una mastectomia a causa
di un tumore. A darne notizia è stato un articolo pubblicato sul
Sunday Times. Si tratta di pochi casi trattati e quindi ancora siamo
lontani dal potere proporre il trattamento ad un pubbico più vasto.
Kefah Mokbel, chirurgo del Princess Gate Hospital di Londra, dal
prossimo maggio applicherà il nuovo metodo a altre 10 pazienti.
Quando lo avrà ulteriormente perfezionato, nel giro di qualche mese
spera di poterlo utilizzare anche su donne che richiedono l'intervento
solo per motivi estetici. Il costo si aggirerà sulle 6.500 sterline
(quasi 7 mila euro).
Il tessuto che si ricava da questo tipo di staminali secondo lo
specialista è l'ideale per questo genere di intervento.
"Ha la stessa consistenza di quello del seno - ha detto - e permette
di evitare l'inserimento di corpi estranei che per la donna rappresentano
sempre un rischio".
Il metodo al momento garantisce un aumento di volume modesto, secondo
il chirurgo, ma le ricerche in corso per migliorare questa tecnica
potrebbero portare anche ad altre possibilità. Mokbel ha precisato
che, una volta inserite le staminali, il processo di crescita del
seno durerà alcuni mesi.
13) - Tumore mammario: test predice metastasi
Un nuovo marcatore per i tumori mammari potrebbe portare al primo
test in grado di prevedere la probabilità di metastasi di questi
tumori dal sangue circolante.
Il marcatore, noto come microambiente tumorale di metastasi (TMEM),
risulta doppiamente denso nelle pazienti che sviluppano metastasi
rispetto a quanto riscontrato in quelle le cui lesioni rimangono
localizzate.
L'uso di questo marcatore potrebbe migliorare le attuali pratiche
di previsione delle metastasi da tumore mammario: esse tradizionalmente
si basano su dimensioni e differenziamento del tumore e diffusione
linfatica.
Benché si tratti di parametri utili, la densità del TMEM riflette
direttamente il meccanismo di metastasi tramite il flusso ematico,
e pertanto potrebbe rivelarsi più specifico e direttamente rilevante.
Si tratta di un marcatore immunoistochimico che analizza le cellule
tumorali invasive, i leucociti perivascolari e le cellule endoteliali
dei vasi sanguigni: se la sua utilità clinica venisse confermata,
sarebbe possibile stratificare le pazienti per il trattamento risparmiando
costi e tossicità, considerando anche che il 40 percento delle pazienti
va incontro a recidive o metastasi. (Clin Cancer Res online 2009,
pubblicato il 24/3)
14) - Gene "scudo" contro metastasi
Si chiama p63 il gene capace di funzionare da 'baluardo' contro
la diffusione metastatica delle cellule tumorali.
È il risultato di uno studio italiano pubblicato su 'Cell', condotto
dai gruppi guidati da Stefano Piccolo, docente del Dipartimento
di biotecnologie mediche dell'università di Padova, e Silvio Bicciato
(ex ricercatore dell'ateneo patavino) del Dipartimento di scienze
biomediche dell'università di Modena e Reggio Emilia.
Il processo metastatico - attraverso cui una cellula lascia il tumore
primario, entra nel sistema circolatorio per disseminarsi in altri
organi, ricordano gli esperti - è la principale causa di morte oncologica.
Come ogni processo biologico, anche la metastasi dipende dalla coordinata
accensione e spegnimento di decine, forse centinaia, di geni.
Questo programma non viene inventato dalle cellule tumorali, ma
fa parte del normale repertorio delle cellule embrionali che, normalmente
durante la costruzione degli organi, sono stimolate a migrare da
speciali segnali ormonali. Le cellule tumorali metastatiche hanno
semplicemente risvegliato questo 'programma'. Fino ad ora si pensava
che questo recupero di capacità embrionali fosse un 'superpotere'
ad appannaggio di pochissime cellule nel tumore primario.
Lo studio padovano segna invece una svolta: i ricercatori padovani
hanno scoperto che alterazioni genetiche comuni a molti tumori umani,
se combinate definiscono una propensione a un comportamento metastatico
già in stadi precoci della malattia.
Questo significa individuare fin da subito un tipo di tumore da
trattare in modo più aggressivo attraverso chirurgia o altre terapie.
In particolare, i ricercatori hanno compreso come gli stimoli oncogenici
erodono e progressivamente indeboliscono le proprietà antimetastasi
di p63. "
Questa è una proteina nota per svolgere un ruolo importante nelle
cellule staminali di molti organi - spiega Piccolo - Se p63 è persa
da una cellula normale, ciò non causa alcun danno, perché senza
p63 quella cellula muore. Ma se p63 è persa da una cellula staminale
tumorale, ovvero da una cellula potenzialmente immortale, allora
si apre la porta a un suo comportamento 'asociale', alla possibilità
cioè di un suo spostamento e alla conseguente metastasi".
15) - Screening mammografico: danni e benefici
Attualmente le informazioni che il pubblico riceve sullo screening
mammografico non sono bilanciate: i potenziali benefici sono eccessivamente
enfatizzati, ed i potenziali rischi raramente vengono discussi.
La procedura, iniziata intorno ai 50 anni di età, salva 1,8 vite
ogni 1000 donne nell'arco di 15 anni.
Il rischio assoluto di decesso da tumore mammario senza alcun tipo
di screening ammonta all'uno percento nello stesso periodo di tempo,
il che significa che la percentuale di sopravvivenza nelle donne
fra i 50 ed i 60 anni non sottoposte a screening è del 99 percento.
Questi dati statistici sulla mammografia sono in netto contrasto
con quanto si pubblicizza su questa forma di screening, in base
a cui la mammografia "salva la vita".
E' necessaria una presentazione equilibrata dei fatti alla paziente,
il che includerebbe far menzione dei benefici assoluti associati
allo screening e la discussione dei potenziali rischi, come falsi
positivi, ansia, biopsie non necessarie ed overdiagnosi, cosa che
oggi non accade.
E' ovvio che il principio dello screening consista proprio nell'applicare
un intervento ad un gran numero di soggetti sani per fare in modo
di beneficiare i pochi che hanno la sfortuna di sviluppare la malattia,
ma è giusto che il pubblico conosca le reali statistiche relative
alla procedura in modo da prendere decisioni informate sulla propria
partecipazione.
(BMC Med Inform Decis Mak. 2009; 9: 18, 19 e 20)
16) - Tumore al seno? Si sconfigge mangiando
le mele
Mangiare le mele puo' contribuire a sconfiggere il tumore al seno.
Almeno questo e' quanto ha dichiarato un gruppo di ricercatori dell'Institute
for Comparative and Environmental Toxicology della Cornell University
(New York) in uno studio pubblicato sulla rivista Journal of Agricultural
and Food Chemistry.
I ricercatori hanno infatti scoperto che un estratto della mela
e' stato in grado di rallentare la crescita dell'adenocarcinoma,
la principale causa di morte per cancro al seno, nei topolini. Piu'
mele sono state date alle cavie, piu' la crescita del tumore e'
stata inibita. Secondo i ricercatori, questo studio dimostrerebbe
l'importanza del ruolo dei fitofarmaci, conosciuti anche come 'flavonoidi',
nella dieta per via del loro potente effetto anti-ossidante.
Le mele sono una delle fonti principali di flavonoidi, come lo sono
le arance, l'uva, le fragole, le susine e le banane.
17) - La pillola può causare il cancro al seno
L'uso della pillola contraccettiva può favorire lo sviluppo del
tumore al seno: lo ribadisce una nuova ricerca pubblicata dall'American
Journal of Epidemiology.
Fino ad oggi, l'associazione tra cancro al seno e contraccettivi
orali si basava "per lo più su studi condotti prima del 1990", nota
l'equipe di ricercatori, diretta dalla dottoressa Lynn Rosenberg,
della Boston University.
Per la sua analisi, il team della Rosenberg ha usato invece dati
recenti, coinvolgendo donne che partecipavano al Case-Control Surveillance
Study.
I ricercatori hanno cercato di capire se l'uso della pillola contraccettiva
fosse legato al rischio di cancro al seno nelle pazienti cui era
stata diagnosticata la malattia tra il 1993 e il 2007 e, nel caso
l'associazione fosse valida, se il rischio variasse in base alla
razza o ai recettori ormonali del cancro al seno.
Lo studio ha coinvolto 907 donne con cancro al seno e 1.711 sane.
Le donne che avevano assunto contraccettivi orali per un anno o
più avevano il 50% o più di probabilità di ammalarsi rispetto alle
donne che non li avevano assunti o li avevano presi per meno di
un anno. Inoltre, l'assunzione della pillola per lungo tempo e l'appartenenza
alla razza nera aumentavano le probabilità di sviluppare il tumore,
mentre la presenza dei recettori ormonali del cancro al seno non
influiva sull'associazione tra contraccettivo orale e cancro al
seno.
"L'uso dei contraccettivi orali è molto diffuso ed è quindi importante
mettere in guardia le donne sui possibili effetti sulla salute",
conclude Rosenberg.
18) - Nuova teoria per bloccare cancro e sclerosi
multipla
I ricercatori dell'Universita' di Edimburgo (GB) hanno identificato
una sorta di 'freno genetico', che potrebbe rallentare o bloccare
malattie come sclerosi multipla e tumori.
In un articolo pubblicato su 'Nature Genetics' gli studiosi hanno
prospettato che la loro scoperta potrebbe portare a nuovi trattamenti
per queste patologie.
Mentre fino ad ora si pensava che un gruppo selezionato di geni
'master' fosse responsabile del controllo della crescita delle cellule
che possono causare queste patologie il team diretto da David Hume
del Roslin Institute ha scoperto centinaia di geni che interagiscono
fra loro con lo scopo di trovare i punti deboli necessari a bloccare
la crescita tumorale. Gli scienziati sono convinti che le variazioni
in questa rete genetica spieghino perche' è sia possibile sviluppare
queste malattie in modi tanto diversi.
19) - Uso di antinfiammatori riduce il rischio
di tumore al seno?
L'uso di farmaci antiinfiammatori non steroidei è correlato ad un
ridotto rischio di sviluppare un carcinoma mammario – Journal of
the National Cancer Institute Aprile 2009
20) - Il consumo di soia riduce il rischio di
tumore?
Il consumo di soia fin dall'infanzia riduce il rischio di sviluppare
un carcinoma mammario Cancer Epidemiology, Biomarkers and Prevention
Aprile 2009
21) - Consumo di alcool e aumento del rischio
di tumore al seno
Il consumo di alcolici è correlato ad un aumentato rischio di carcinoma
mammario, probabilmente attraverso meccanismi ormono-mediati
22) - Il consumo di tè riduce il rischio
In donne giovani, il consumo regolare di tè riduce il rischio di
sviluppare tumori mammary Cancer Epidemiology, Biomarkers and Prevention
Marzo 2009
23) - Obesità e iperinsulinemia aumentano il
rischio
L'iperinsulinemia, spesso correlata alla obesità, rappresenta un
fattore di rischio di carcinoma mammario in donne in postmenopausal
Journal of the National Cancer Institute –febbraio 2009
24) - Nelle noci una preziosa fonte di antiossidanti
per prevenire il tumore al seno
Antiossidanti, acidi grassi Omega-3, fitosteroli: preziosi composti
che riducono il rischio di numerose malattie e combattono i danni
cellulari e che sono contenuti in gran quantità nelle noci, protagoniste
di una recente indagine condotta dalla Marshall University School
of Medicine. Questo studio avrebbe dimostrato, infatti, che mangiare
regolarmente le noci (in media 56 grammi al giorno) riduce il rischio
di sviluppare il tumore al seno.
“E’ l’ennesima dimostrazione che la dieta gioca un ruolo fondamentale
nella prevenzione di numerose malattie croniche”, ha dichiarato
l’autrice della ricerca, Elaine Hardman che, insieme ai suoi colleghi,
ha analizzato gli effetti del consumo regolare di noci sulla salute
di alcuni topi.
La metà delle cavie è stata nutrita con una dieta ad alto contenuto
di noci, l’altra metà con la dieta abituale.
Ebbene le analisi hanno dimostrato che i topi che avevano assunto
l’equivalente umano di 56 grammi di noci al giorno sviluppavano
tumori mammari con minore frequenza e di minore grandezza. Analisi
molecolari hanno, inoltre, dimostrato che gli acidi grassi Omega-3
giocano un ruolo fondamentale in questo processo.
25) - L’allattamento al seno protegge le donne
dalle malattie cardiache
Allattare al seno potrebbe garantire una protezione dalle malattie
cardiache.
A esaminare i potenziali benefici dell’allattamento materno è stata
un’equipe di studio dell’Università di Pittsburgh che ha focalizzato
i loro studi su circa 140.000 donne in menopausa.
In media per queste donne erano passati 35 anni dall’ultima volta
che avevano allattato eppure i risultati della ricerca avrebbero
dimostrato un effetto protettivo che durerebbe per decine di anni.
Secondo quanto riferito sulla rivista specializzata Obstetrics and
Gynaecology, aver allattato anche solo per pochi mesi garantirebbe
una protezione da ipertensione, diabete e ipercolesterolemia. “
Abbiamo concluso che le donne che hanno allattato al seno per almeno
un anno sarebbero meno esposte del 10% al rischio di ammalarsi di
patologie cardiovascolari anche dopo molti anni”, ha spiegato Eleanor
Bimla Schwarz, autrice dello studio.
Non solo, l’allattamento avrebbe anche favorito una riduzione del
20% del rischio di colesterolo alto e diabete e del 12% di ipertensione.
In che modo l’allattamento proteggerebbe il sistema cardiovascolare?
L’ipotesi più plausibile è che aiuterebbe l’organismo a bruciare
grassi in eccesso a tutto vantaggio della salute di cuore e vasi
sanguigni.
Ma è anche probabile che l’effetto dell’allattamento sia molto più
complesso e che il rilascio di alcuni ormoni giochi un ruolo fondamentale.
26) - Mammografia: inutile sospendere terapia
ormonale
Potrebbe non essere necessario sospendere la terapia ormonale prima
di una mammografia. Si tratta di una pratica invalsa nell'uso comune
allo scopo di migliorare la performance dell'esame, ma senza alcun
reale dato basato sulla popolazione a sostenerla.
La terapia ormonale aumenta la densità della mammella, e le anomalie
ai mammogrammi di screening sono più comuni nelle donne con mammelle
più dense ed in quelle sotto terapia ormonale.
Una breve sospensione della terapia, tuttavia, non influenza significativamente
la densità mammaria ed i tassi di nuovi esami, a fronte della certezza
di effetti negativi sulla paziente derivanti dall'aumento dei sintomi
menopausali. Per quanto riguarda il rilevamento e la prevenzione
dei tumori mammari, è necessario accertare se le donne la cui densità
mammaria varia in funzione di elementi endogeni o esogeni possano
trarre benefici diversi da interventi volti a diminuire la densità
mammaria alla mammografia.
(Ann Intern Med. 2009; 150: 752-65)
27) - Sono troppo pochi i trial clinici sul cancro
effettuati sulle donne
Un nuovo studio che sara' pubblicato a meta' luglio sulla rivista
'Cancer' ha rilevato che i trial clinici sul cancro effettuati sulle
donne sono poco numerosi.
Un team di ricercatori americani ha passato sotto il microscopio
i piu' recenti studi oncologici pubblicati su otto importanti riviste
del settore nel 2006.
Secondo il team diretto da Reshma Jagsi dell'University of Michigan
(Usa), l'analisi di 661 studi oncologici prospettici, realizzati
su oltre un milione di persone attesta che le donne sono appena
il 38,8% dei pazienti arruolati in uno studio su un tumore che non
colpisca in modo specifico il sesso femminile. Secondo i ricercatori,
esistono delle barriere che scoraggiano la partecipazione delle
pazienti a queste ricerche.
Tali ostacoli sono dovuti sia ad una carenza di informazione mirata
che alla difficolta' nell'abbinare l'inclusione in uno studio con
l'esigenza di seguire famiglia e figli.
28) - Promettenti risultati nella cura dei tumori
con le staminali mesenchimali
Cellule staminali del midollo, ingegnerizzate geneticamente, si
sono rivelate promettenti come innovativo strumento per veicolare
al tumore proteine in grado di eliminarlo. Esperimenti in colture
cellulari e nel topo hanno infatti mostrato che cellule staminali
adulte, in particolare quelle mesenchimali, possono puntare in modo
preciso alle cellule cancerose e rilasciare contro di esse una proteina
letale che attacca solo il tumore e non danneggia il tessuto sano.
Sono questi i risultati della ricerca presentata da Michael Loebinger
dell’University College di Londra, al congresso dell’American Thoracic
Society svoltosi a San Diego. Loebinger ha spiegato di essere riuscito
a combinare due dati già noti al mondo della ricerca.
Il primo è l’innata capacità delle cellule staminali mesenchimali
di scovare i tumori presenti nell’organismo, e il secondo è l’abilità
della proteina killer del tumore – denominata TNF- related apoptosis-inducing
ligand o TRAIL – di uccidere solo ed esclusivamente le cellule tumorali.
Partendo da questi due elementi, i ricercatori hanno modificato
cellule mesenchimali staminali per far loro esprimere e produrre
la proteina TRAIL e hanno inoltre iniettato le cellule in topi a
cui era stato indotto il tumore alla mammella.
Dall’esperimento si è visto che queste cellule sono state in grado
di vagare per l’organismo, uccidendo le cellule tumorali incontrate
sul loro percorso e lasciando intatti i tessuti sani.
Con questo metodo ben il 38% dei tumori è stato completamente eliminato.
Si è poi visto che le cellule prodotte sono risultate "immunoprivilegiate",
nel senso che l’ organismo non le ha rigettate come estranee. Questo
ulteriore particolare rappresenta una svolta nel campo delle terapie
cellulari.
Grazie a questa proprietà le terapie a base di cellule mesenchimali
potranno essere prodotte in serie, anziché dover realizzare cellule
personalizzate per ogni paziente al fine di evitarne il rigetto.
Sulla base di questi dati promettenti i ricercatori sperano di poter
iniziare gli studi clinici nel giro dei prossimi due o tre anni.
29) - Scoperto legame tra contraccettivi e tumore
Ogni metodo contraccettivo puo' avere le sue conseguenze sulla salute
della donna, proteggendo da alcuni tumori, ma aumentando il rischio
di ammalarsi di altri.
Sotto la lente di ingrandimento tre sistemi: la pillola, la spirale
e la legatura delle tube di Falloppio (sterilizzazione tubarica).
L'equipe del Dr. Xiao-Ou Shu del Vanderbilt University Medical Center
di Nashville, Tennessee, ha studiato 66.661 donne cinesi tra i 40
e i 70 anni per capire la connessione fra i tre metodi contraccettivi
e una serie di tumori.
Tra le donne analizzate, il 19,4% aveva usato la pillola contraccettiva
in qualche momento della sua vita, il 44,9% la spirale e il 12,4%
la legatura delle tube.
Nel corso del follow-up di circa sette anni e mezzo, 2.250 donne
si sono ammalate di cancro, come si legge sull'International Journal
of Cancer. E' risultato che la pillola aumentava il rischio di tumore
della cistifellea e, forse, del colon; tuttavia, cominciare a prendere
il contraccettivo orale prima dei 29 anni diminuiva il rischio di
cancro del seno.
E questo ultimo dato è sorprendente perché in contrasto con molti
altri studi. La spirale riduceva il rischio di cancro alla tiroide,
specialmente nelle donne giovani, ma legare le tube faceva salire
il rischio di tumore dell'utero e della cistifellea, pur riducendo
il rischio di cancro allo stomaco.
30) - Tumore mammario: chi non risponde alle
antracicline?
Le antracicline sono la pietra angolare della terapia adiuvante
del tumore mammario in tutto il mondo, ma non tutte le pazienti
ne traggono beneficio; alcuni degli ultimi studi in materia suggeriscono
che ciò accade in un'ampia maggioranza di pazienti che giunge anche
al 70-80 percento, tutti casi in cui sarebbe opportuno impiegare
trattamenti meno tossici. Si tratta comunque di dati ancora molto
dibattuti, e non idonei all'impiego nella pratica clinica.
La migliore risposta alle antracicline si ha nelle pazienti i cui
tumori contengono alterazioni nel gene TOP2A, che però rappresentano
solo il 18 percento dei casi.
E' stata segnalata anche un'ottima efficacia in caso di amplificazione
HER2, ma anche questa è limitata al 27 percento dei casi. Si tratta
di dati che, qualora trovassero conferme certe, invertirebbero l'attuale
pratica clinica che si basa su strategie quasi univocamente fondate
su questi farmaci. (J Natl Cancer Inst. 2009; 101: 615-8 e 644-50)
31) - Più frequenti i tumori “triplo negativo”
tra le donne di etnia nera Triple negative breast cancer and black
women - Breast Cancer Research
- Black women have 3-fold more triple negative breast tumours than
non-black women / Le donne di etnia nera hanno un rischio triplo
di sviluppare tumori mammari ER- , PR- e HER2-, a cattiva prognosi
32) - Nuova teoria per bloccare cancro e sclerosi
multipla
I ricercatori dell'Universita' di Edimburgo (GB) hanno identificato
una sorta di 'freno genetico', che potrebbe rallentare o bloccare
malattie come sclerosi multipla e tumori. In un articolo pubblicato
su 'Nature Genetics' gli studiosi hanno prospettato che la loro
scoperta potrebbe portare a nuovi trattamenti per queste patologie.
Mentre fino ad ora si pensava che un gruppo selezionato di geni
'master' fosse responsabile del controllo della crescita delle cellule
che possono causare queste patologie il team diretto da David Hume
del Roslin Institute ha scoperto centinaia di geni che interagiscono
fra loro con lo scopo di trovare i punti deboli necessari a bloccare
la crescita tumorale.
Gli scienziati sono convinti che le variazioni in questa rete genetica
spieghino perche' è sia possibile sviluppare queste malattie in
modi tanto diversi.
33) - La chirurgia nelle donne obese può ridurre
significativamente i rischi di tumore al seno
-Gli interventi chirurgici di restrizione gastrica potrebbero ridurre
del 42% il rischio che le donne obese - e non gli uomini - sviluppino
il cancro. Almeno questo è quanto emerso da uno studio della Sahlgrenska
University Hospital di Gothenburg pubblicato sulla rivista The Lancet
Oncology.
Diverse ricerche precedenti hanno dimostrato che l'obesità aumenta
il rischio di sviluppare il cancro, ma ora i ricercatori hanno scoperto
che la chirurgia può ridurre notevolmente le probabilità che una
donna si ammali di tumore. Per arrivare a queste conclusioni i ricercatori
hanno coinvolto nello studio un gruppo di poco più di 2 mila pazienti
svedesi che hanno subito un intervento per ridurre il loro peso
e un gruppo di altrettante persone obese che invece si sono affidate
a una semplice consulenza nutrizionale. I ricercatori hanno monitorato
per oltre 10 anni lo stato di salute di tutti i soggetti.
Ebbene, mentre non è stato trovato alcun collegamento tra l'incidenza
del cancro e i soggetti obesi che si sono affidati alla semplice
dieta,è stata invece registrata una riduzione del 42% del rischio
di sviluppare il cancro nei pazienti donna obesi sottoposti all'intervento
chirurgico. Questo perchè, secondo i ricercatori, l'intervento chirurgico
ha un impatto sugli ormoni femminili. In effetti, diversi tipi di
tumore sono associati agli estrogeni.
E probabilmente è per questo che non è stata riscontrata alcuna
riduzione del rischio negli uomini obesi che hanno subito l'intervento.
34) - La terapia ormonale sostitutiva associata
a tumore maligno della pelle
La terapia di sostituzione ormonale è stata a lungo associata a
tumori ginecologici e a eventi trombotici. Uno studio ha concluso
che le donne in terapia ormonale sostitutiva ( TOS ) per il trattamento
dei sintomi menopausali sono ad aumentato rischio di tumori cutanei.
Lo studio è stato condotto su 800 donne olandesi a cui era stato
diagnosticato un melanoma nel periodo 1991-2004, e su 4.000 donne
senza tumore ( gruppo di controllo ).
Le donne in trattamento con TOS per più di 6 mesi presentano un
rischio 2 volte più alto di sviluppare melanoma maligno. I Ricercatori
ritengono che l’aumentato rischio sia dovuto all’estrogeno contenuto
nella terapia ormonale sostitutiva. Precedenti studi avevano fornito
risultati contrastanti.
Negli Stati Uniti i risultati dello studio WHI ( Women’s Health
Initiative ) hanno evidenziato una varietà di effetti avversi associati
alla terapia ormonale sostitutiva.
La TOS, oltre ad aumentare il rischio di tumore dell’ ovaio e della
mammella, è coinvolta nell’aumento dell’incidenza di ictus. L’incidenza
di tumore mammario è scesa dell’8,6% tra il 2001 e il 2004 negli
Stati Uniti, parallelamente al declino dell’uso della terapia ormonale
sostitutiva.
Fonte: Annals of Oncology, 2009 da (XagenaHeadlines2009) Ho riportato
questi dati che sono smentiti per quanto riguarda il melanoma dal
dr. Natale Cascinelli su:
http://forum.corriere.it/sportello_cancro_il_melanoma/18-05-2009/effetti_della_terapia_ormonale_sostitutiva-1256570.html
35) -Scoperto il gene chiave del cancro infiamatorio
al seno
E’ stato scoperto un gene chiave nello sviluppo del cancro infiammatorio
al seno. I ricercatori del Cancer Institute alla New York University
Langone Medical Center hanno identificato un gene, l'eIF4G1, che
si esprime troppo nella maggior parte dei casi di cancro infiammatorio
al seno (IBC).
Il gene permette alle cellule di formare raggruppamenti molto mobili,
responsabili delle rapide metastasi che questo cancro sviluppa.
Il cancro infiammatorio al seno e' aggressivo e spesso mal diagnosticato,
ed e' tra i tumori piu' letali; spesso colpisce le donne giovani
e puo' essere mortale dai 18 ai 24 mesi. II Dottor Robert Schneider,
a capo dello studio che sara' pubblicato sulla rivista Nature Cell
Biology, ha spiegato che tale tipo di tumore non appare come un
classico nodulo ma sembra piu' un infiammazione ed e' quindi confuso
con un'infezione.
I ricercatori hanno rilevato che nonostante ci fossero altri geni
associati all’IBC l’ eIF4G1 e' il primo che agisce sulla formazione
delle strutture note come emboli tumorali.
Questi piccoli gruppi di cellule tumorali non sono stabili ma viaggiano
nel corpo rapidamente, e sono responsabili della formazione di metastasi.
Il prossimo obiettivo di ricerca, per Schneider, e' produrre farmaci
che agiscano su eIF4G1 senza danneggiare le cellule sane e scoprire
di piu' sulla regolazione genetica dell'IBC.
36) - Le carote sono anticancro se bollite intere
Sono anticancro se bollite intere prima di essere tagliate a rondelle.
A dimostrare la particolare proprieta' segreta delle carote e' uno
studio condotto dall'Universita' di Newcastle, presentato lunedi'
nel corso di una conferenza a Lille, in Francia, dal quale emerge
che le carote bollite intere contengono il 25% in piu' di falcarinolo,
una sostanza anticancro.
Anche gli zuccheri contenuti nell'ortaggio, inoltre, sono presenti
in concentrazioni piu' alte nelle carote bollite prima di essere
tagliate, col risultato che cosi' sono anche piu' gustose. Kirsten
Brandt, che ha guidatolo studio ha spiegato che quando le carote
vengono tagliate aumenta la loro superficie a contatto con l'acqua
e cosi' le sostanze nutritive, zuccheri e falcarinolo compresi,
tendono a disperdersi nell'acqua durante la cottura.
I benefici del falcarinolo vennero scoperti per la prima volta quattro
anni fa proprio da Kirsten Brandt, che in uno studio del 2005 mise
in evidenza che i topi alimentati con una dieta contenente carote
avevano un terzo di probabilita' in meno di sviluppare tumori rispetto
ai topolini del gruppo di controllo.
37) - Fanno bene le carote prima della menopausa
per ridurre il rischio di tumore
Prima della menopausa, le donne dovrebbero mangiare più carote per
essere sicure di ridurre il rischio di ammalarsi di cancro al seno.
E' quanto suggerisce una ricerca diretta dalla dottoressa Laura
I. Mignone della 'Harvard School of Public Health' di Boston. Secondo
l'equipe della Mignone, le donne in età precedente alla menopausa
che mangiavano ogni giorno verdure ricche di carotenoidi abbassavano
il rischio di sviluppare questa forma di tumore.
La ricercatrice nota che la maggior parte dei fattori di rischio
del cancro al seno sono ormonali e quindi non modificabili; tuttavia
il rischio dipende in parte anche dall'alimentazione e su questo
fattore si può agire. Il suo gruppo di ricerca ha esaminato il rapporto
tra assunzione di frutta e verdura ricca di carotenoidi e rischio
di cancro al seno in 5.707 donne con cancro al seno invasivo e 6.389
donne sane.
E' così emerso che alti livelli di vitamina A, beta carotene, alfa
carotene e luteina/zeaxantina nella dieta riducevano il rischio
di cancro al seno nelle donne in età precedente alla menopausa (ma
non in quelle dopo la menopausa). In cifre, mangiare almeno due
porzioni di verdure ricche di carotenoidi al giorno riduceva il
rischio del 17%. Secondo la Mignone la spiegazione può essere nel
fatto che i carotenoidi riescono a interferire con gli estrogeni
e hanno anche un forte effetto antiossidante.
La ricerca appare sull'International Journal of Cancer.
38) - Più di 40 mila nuovi casi di cancro al
seno ogni anno, con un aumento del 13,8% in 6 anni
Più di 40 mila nuovi casi di cancro al seno ogni anno, con un aumento
del 13,8% in 6 anni. A detta di alcuni autori, in Italia le cifre
reali del big killer al femminile sono "sorprendentemente maggiori"
rispetto ai dati ufficiali. In particolare, allarmano i dati relativi
alle donne under 45: in 6 anni si calcola un +28,6% di casi nella
fascia d'età 25-44 anni.
"Una popolazione generalmente esclusa dalle campagne di screening
mammografico", fa notare il coordinatore della ricerca Antonio Giordano,
presidente della Sbarro Health Research Organization di Philadelphia,
professore di anatomia e istologia patologica all'Università di
Siena e presidente del Comitato scientifico del Crom.
I dati dello studio, già pubblicato online sul 'Journal of Experimental
and Clinical Cancer Research',. Finora, ricorda il comunicato, le
uniche informazioni disponibili sui numeri del cancro al seno nella
Penisola si basavano su una metodica di stima indiretta, sviluppata
sulla base dei dati di mortalità Istat e dei dati sopravvivenza
dello studio Eurocare.
Giordano e colleghi - un'equipe multidisciplinare del Crom, dell'Istituto
tumori 'Fondazione Pascale' e della Seconda Università di Napoli,
composta da epidemiologi, chirurghi, radiologi, patologi clinici
e genetisti - hanno invece 'contato' i casi di tumore al seno nel
nostro Paese passando in rassegna "le schede di dimissione ospedaliera
del ministero della Salute -- conteggiando il numero esatto di interventi
chirurgici demolitivi (mastectomie) o conservativi (quadrantectomie)
realmente eseguiti nelle sale operatorie italiane dal 2000 fino
al 2005 (ultimo anno disponibile per la consultazione)".
"ciò impone indubbiamente la necessità di considerare un abbassamento
dell'età di esecuzione della prima mammografia, ma deve anche farci
interrogare sulle cause che stanno determinando un così sorprendente
aumento dei tumori al seno nelle donne più giovani". I fattori imputati?
"Probabilmente l'assunzione di estrogeni attraverso gli alimenti
o preparati farmacologici, il fumo di sigaretta, l'inquinamento
ambientale e in particolare quello da diossina (cancerogeno di classe
I che si deposita proprio nei tessuti grassi come il seno delle
donne)".
39) - Numeri controversi sul cancro al seno Risposta
dell’epidemiologo Franco Berrino
Numeri controversi sul cancro al seno Risposta dell’epidemiologo
Franco Berrino DoctorNews33, nel numero 118 dello scorso primo luglio,
ha riportato i dati di uno studio condotto dal Centro di ricerche
oncologiche di Mercogliano (Crom), che riportava evidenze di un
"drastico aumento del cancro al seno nelle donne under 45 sottostimato
dai dati ufficiali".
Ora a contestare i dati interviene Franco Berrino, epidemiologo
dell'Istituto nazionale dei tumori di Milano: "quando trova discrepanze
notevoli tra i suoi dati e quelli già disponibili, uno scienziato
dovrebbe per prima cosa controllare di non avere commesso errori
nella raccolta e nell'analisi dei dati", dice l'esperto che si fa
portavoce, insieme a Eugenio Paci, segretario nazionale dell'Associazione
italiana registri tumori (Airtum), di "molti epidemiologi che da
decenni si occupano di tumore del seno".
"Sono dati che non trovano alcun riscontro in quelli raccolti dalla
rete dei Registri tumori", Paci. "Secondo le nostre rilevazioni,
infatti, tra il 2000 e il 2005 non c'è stata alcuna variazione nell'incidenza
del tumore della mammella tra le donne italiane di età compresa
tra 0 e 84 anni che si è mantenuta stabile attorno alle 111 nuove
diagnosi ogni 100.000 donne (tassi standardizzati per la popolazione
europea)".
"Non si capisce perché gli autori dello studio non abbiano ritenuto
di confrontarsi con i dati Airtum - nota Berrino - visto che la
rete dei Registri tumori è la fonte più valida per quanto concerne
l'incidenza e gli andamenti delle malattie oncologiche".
Considerato, aggiunge Paci, "che gli aggiornamenti forniti periodicamente
dall'Airtum non si basano su dati stimati, ma sui casi 'osservati',
quindi contati uno a uno da personale specializzato. Certo, la rete
Airtum non copre tutto il territorio nazionale, ma riguarda più
del 30% della popolazione della Penisola, ed è largamente rappresentativa
delle realtà del Centro e Nord Italia".
40) - IL vino aiuta a tollerare meglio la Radioterapia?
Una sorprendente ricerca dell’Università Cattolica di Campobasso
mostra come un moderato consumo di vino può contrastare gli effetti
collaterali dannosi delle radiazioni usate per combattere il tumore
del seno. Le radiazioni usate per combattere il cancro colpiscono,
come è noto, anche i tessuti sani vicini, primo fra tutti la pelle
che devono attraversare, provocando molto spesso effetti collaterali
anche rilevanti. E’ in questo campo che il vino scopre un suo lato
nuovo ed inatteso: proteggere quei tessuti dalle radiazioni, senza
peraltro diminuire l’efficacia della radioterapia nel danneggiare
le cellule cancerose.
Questo effetto benefico non è tuttavia favorito dall’alcol ma da
altri componenti contenuti nel vino, primi fra tutti gli antiossidanti
della categoria dei polifenoli. La ricerca, condotta dall’Unità
Operativa di Radioterapia e Terapie Palliative del Dipartimento
di Oncologia e dai Laboratori di Ricerca dell’Università Cattolica
di Campobasso, ha preso in esame 348 donne malate di tumore al seno
e sottoposte a radioterapia nello stesso centro molisano nel periodo
che va dal febbraio 2003 al giugno 2007.
Oltre alle normali informazioni cliniche necessarie per l’inizio
della cura, ciascuna paziente aveva fornito informazioni sul suo
stile alimentare e sulle sue abitudini di vita, incluso il consumo
di bevande alcoliche e specificamente di vino.
Ciò che i ricercatori hanno esaminato è il danno che le radiazioni
potevano provocare nella pelle del seno, un tipo di lesione misurato
con una scala di gravità crescente. I risultati, pubblicati on line
sull’International Journal of Radiation Oncology Biology, Physiscs,
mostrano come le donne che avevano l’abitudine di bere moderate
quantità di vino abbiano presentato un livello di lesioni della
pelle significativamente inferiore rispetto a quelle astemie
41) - Ruolo protettivo dei raggi ultravioletti
nel carcinoma mammari
The Breast Journal - There is a protective effect of UVB irradiance
on risk of breast carcinoma /- I raggi ultravioletti B, correlati
alla esposizione solare, hanno un ruolo protettivo nei confronti
del carcinoma mammario
42) - La sindrome metabolica aumenta il rischio
di tumore al seno
Soprattuto nelle donne dopo la menopausa Da uno studio condotto
da un gruppo di ricercatori della Albert Einstein College of Medicine
di New York e pubblicato sulla rivista Cancer Epidemiology, Biomarkers
& Prevention risulta che la sindrome metabolica aumenta il rischio
di cancro al seno.
La sindrome metabolica, un gruppo di sintomi e fattori di rischio
che comprende obesita' addominale, alti livelli di glucosio e di
grassi e alta pressione sanguinea, puo' raddoppiare il rischio di
cancro al seno nelle donne che hanno superato la menopausa. Geoffrey
C. Kabat, ricercatore del dipartimento di epidemiologia e popolazione
dell'Albert Einstein College of Medicine di New York ha rilevato
che gli studi precedenti hanno rapportato singoli sintomi della
sindrome metabolica con il cancro al seno, ottenendo risultati inconcludenti
mentre questo e' il primo studio a valutare il rischio associato
alla sindrome metabolia nel suo complesso".
Le donne che avevano la sindrome metabolica dai 3 ai 5 anni prima
della diagnosi del cancro al seno mostravano un rischio doppio rispetto
al normale. Alcuni sintomi, in particolare un elevato tasso di glucosio
e trigliceridi nel sangue, hanno mostrato delle associazioni significative
con l'insorgenza del tumore. Un'alta pressione diastolica sanguinea,
invece, e' risultata ancora piu' legata al rischio.
43) - Il papilloma virus umano non gioca alcun
ruolo nel tumore del seno
Breast Cancer Research and Treatment - HPV does not play an important
role in breast carcinoma / HPV e carcinoma mammario - Il papillomavirus
umano non sembra giocare un ruolo significativo nella eziopatogenesi
del carcinoma mammario 2 Maggio / May 2008
44) - Con la terapia fotodinamica si opera il
tumore al seno senza bisturi
N.B. -La tecnica è ancora in fase di sperimentazione Il tumore al
seno potra' essere sconfitto da un semplice, potente raggio laser
al posto delle operazioni chirurgiche cruente, dolorose e spesso
neanche risolutive? Ne e' convinto un team di scienziati inglesi
del prestigioso Royal Free hospital a Londra, che ha inventato una
tecnica che potrebbe essere rivoluzionaria: la "Terapia fotodinamica".
Quest'anno gia' 20 pazienti saranno trattate con la nuova tecnica,
applicata per la prima volta sul cancro al seno mentre in precedenza,
il laser era stato usato solo per i tumori alla pelle e alla bocca.
La Terapia fotodinamica e' stata creata da Mo Keshtgar, chirurgo
al Royal Free Hospital. Durante il trattamento, viene iniettato
un farmaco nel sangue del paziente che rende le cellule tumorali
estremamente sensibili alla luce. Quando viene indirizzato un raggio
laser attraverso la pelle contro le cellule cancerose queste soffrono
la luce tanto da autodistruggersi.
I ricercatori, che hanno annunciato la loro intenzione di iniziare
l'esecuzione di prove presso la Royal Society Summer Science Exhibition,
hanno detto che questa tecnica potrebbe anche offrire una alternativa
alla radioterapia per alcune donne. Il farmaco, chiamato agente
fotosensibilizzante, viene iniettato direttamente nelle pazienti
e trova da solo la sua strada nelle cellule epiteliali del seno,
cellule di rivestimento che possono diventare cancerose.
Il farmaco rende queste cellule altamente sensibili alla luce. Poiche'
i tumori sono ad alta attivita' metabolica e sono circondati da
una proliferazione di nuovi vasi sanguigni, il farmaco si accumula
nelle cellule tumorali in modo molto piu' massiccio rispetto alle
cellule sane. A questo punto, i chirurghi puntano un raggio laser
rosso a bassa potenza dritto sul tumore: la luce attiva una reazione
chimica che uccide le cellule dannose. Il farmaco perde la sua potenza
dopo un paio d'ore.
I pazienti sono tenuti in una luce fioca per 24 ore dopo il trattamento.
La tecnica, annuncia Keshtgar, potrebbe essere disponibile entro
sei anni, una volta che sia stata adeguatamente testata su volontari.
45) - Ulteriore ragione per favorire l’allattamento
al seno soprattutto per i nati prematuri
Il latte materno è ricco di acidi grassi Omega3 e può rivelarsi
una preziosa fonte di nutrienti fondamentali per lo sviluppo dei
piccoli nati pretermine.
Un gruppo di ricercatori dell’Università Federale di Rio de Janeiro
ha preso in considerazione 37 bambini nati pretermine e ha scoperto
che nutrirli con latte materno favorisce la crescita in termini
di peso, lunghezza e circonferenza cranica nei primi sei mesi di
vita.
Per garantire la giusta quantità di acidi grassi Omega3 nel latte,
le neomamme devono prestare particolare attenzione alla loro dieta:
pesci come salmone, sardine, tonno e pesce spada contengono elevate
quantità di questo prezioso componente ma spesso le donne in dolce
attesa non ne mangiano a sufficienza perché temono che possano contenere
eccessive concentrazioni di mercurio.
Eppure si tratta di alimenti importanti, spiega la studiosa Maria
G. Tavares do Carmo su 'Lipids in Health and Disease' di giugno,
che non dovrebbero mai mancare dalla tavola della neomamma che dovrebbe
mangiarne almeno due porzioni a settimana.
I grassi Omega3 sono fondamentali per garantire un corretto sviluppo
di cervello e occhi prima della nascita e nel primo anno di vita
e si rivelano, quindi, particolarmente importanti per i nati prematuri.
46) - Tumore al seno sovradiagnosticato? Vengono
diagnosticate e curate forme tumorali innocue?
Una ricerca destinata a far discutere, tant'è che sta già sollevando
polemiche sui programmi di screening per il cancro al seno.
I test per stanare uno dei nemici giurati delle donne salvano ogni
anno migliaia di vite, ma in circa un terzo dei casi - sostiene
lo studio pubblicato sul British Medical Journal e condotto in 5
Paesi, Regno Unito compreso - vengono diagnosticate forme tumorali
potenzialmente innocue.
Con il risultato che molte donne vengono operate e sottoposte a
chemioterapia benché non ne abbiano reale bisogno, poiché il tumore
identificato, stando almeno alla ricerca del Nordic Cochrane Centre,
in Danimarca, difficilmente potrebbe svilupparsi e minacciarne la
vita.
I sostenitori dei programmi di screening puntano il dito contro
lo studio, che rischia di generare diffidenza e dubbi su test salva
vita.
Nella sola Inghilterra, fanno notare sul sito della Bbc online,
questi programmi salvano ben 1.400 vite ogni anno, strappando dalla
morte quasi quattro donne al dì. Ma secondo i ricercatori danesi,
i risultati dello studio mostrano che gli screening possono condurre
a una "sovra-diagnosi" dei casi.
E lo stesso Gilbert Welch, un esperto del Dartmouth Institute for
Health Policy, in un editoriale che accompagna lo studio ammette
che, benché le mammografie aiutino senz'altro le donne, "possono
avere anche la conseguenza di portarne alcune a sottoporsi a trattamenti
nonostante non ne abbiano reale necessità.
E non si tratta - ricorda - di terapie leggere". Mentre a difendere
a spada tratta i test stana- cancro è Julietta Patnick, a capo proprio
del Programma di screening per i tumori del Servizio sanitario britannico
(Nhs), che con una nota polemica ricorda che "una donna su otto
sarebbe morta senza il test".
Commento all’articolo Difesa a spada tratta dei programmi di screening
per stanare il tumore al seno.
"Guai se non ci fossero", afferma Francesco Cognetti, responsabile
dell'Oncologia medica A dell'Istituto nazionale tumori Regina Elena
Irccs di Roma, commentando così lo studio apparso sulle pagine del
British Medical Journal, che getta qualche ombra sui test per stanare
il cancro al seno.
Un terzo delle diagnosi, secondo lo studio danese, riguarderebbe
forme tumorali potenzialmente innocue, inducendo tuttavia le donne
colpite a sottoporsi a terapie di cui potrebbero fare a meno."Non
conosco lo studio - precisa Cognetti all'ADNKRONOS SALUTE - ma quel
che è giusto sottolineare è che i programmi di screening, di fatto,
hanno diminuito del 30% la mortalità per cancro al seno", uno dei
big killer del gentil sesso.
"Per questo - aggiunge l'oncologo - bisogna continuare a investire"
nella diagnosi precoce e, anche se il dato dello studio danese corrispondesse
a realtà, "occorre ricordare - fa notare - che nei due terzi dei
casi restanti i test salvano la vita". In futuro, grazie ai progressi
della ricerca, si potranno poi evitare quelle cure a cui le donne
potrebbero non sottoporsi, perché colpite da una forma tumorale
che difficilmente potrebbe svilupparsi minacciandone la vita.
"Grazie ai progressi della biologia molecolare - sottolinea - oggi
già diffusamente usata nella fase di prognosi e scelta delle cure.
Ma ci vorrà ancora qualche anno prima che questa possa guidare la
prevenzione secondaria", schivando così cicli di chemio e interventi
evita
47) - Una dieta ad alto carico glicemico (pane
bianco, dolci, frutta secca, zucchero e miele) aumenta il rischio
di tumore al seno.
Secondo una ricerca svedese pubblicata dall'International Journal
of Cancer la quantita' di carboidrati che una donna consuma, insieme
al carico glicemico complessivo della sua alimentazione, possono
aumentare le probabilita' che si ammali di cancro al seno.
Il concetto di carico glicemico si basa sul fatto che i diversi
carboidrati provocano effetti diversi sul livello di zuccheri nel
sangue. Il pane bianco e le patate, ad esempio, hanno un alto indice
glicemico, che fa alzare rapidamente la glicemia.
Altri carboidrati, come i cereali ricchi di fibre o i legumi, fanno
alzare gli zuccheri nel sangue piu' gradualmente e hanno quindi
un indice glicemico inferiore.
La Dr.ssa Susanna Larsson del Karolinska Institute di Stoccolma
e i suoi colleghi hanno analizzato i dati di 61.433 donne che hanno
completato dei questionari sulla loro alimentazione alla fine degli
Anni Ottanta.
Nel corso di circa 17 anni, 2952 donne hanno sviluppato il cancro
al seno e secondo i ricercatori, il carico glicemico era significativamente
associato al rischio di ammalarsi.
Inoltre, secondo questo studio, il consumo di carboidrati, l'indice
glicemico e il carico glicemico sono risultati tutti fattori connessi
con il rischio di un preciso tipo di tumore del seno, quello Er-positivo/Pr-negativo.
Secondo l'equipe svedese, e' possibile che le diete troppo ricche
di carboidrati semplici aumentino il rischio di cancro al seno perche'
fanno salire le concentrazioni di insulina e ormoni sessuali nel
corpo.
I ricercatori consigliano quindi di privilegiare una dieta bilanciata,
che preveda carboidrati a basso indice glicemico e che riduca invece
dolci, pane bianco, patate, frutta secca, zucchero e miele.
48) - Dolore: studio inglese, le parolacce aiutano
a sopportarlo.
[* ero molto incerto se pubblicare un lavoro come questo per non
essere accusato di "induzione alla bestemmia" come terapia del dolore
(^__^ ) A tutti sarà capitato di dire qualche parolaccia in seguito
a una martellata sul dito.
Questa reazione comune potrebbe aver trovato una spiegazione ben
diversa dal semplice sfogo. Si tratta ovviamente di uno studio che
presta il fianco a qualche critica, ma tale è stata l'originalità
del lavoro che non ho potuto fare a meno di leggerlo e trasferirlo
anche a voi .E allora perchè no ? S.C.]
Uno studio della Keele University's School of Psychology (Gran Bretagna)
ha rivelato infatti che dire le parolacce aiuta a sopportare il
dolore fisico. Le persone che bestemmiano riescono infatti a sopportare
il dolore per il 50 per cento più a lungo rispetto a quelli che
non dicono parolacce in seguito ad un forte dolore. "Pensavamo che
le parolacce fossero un segnale di bassa sopportazione al dolore",
ha detto Richard Stephens, a capo della ricerca.
"Ma dopo aver svolto degli esperimenti su dei volontari - ha aggiunto
- abbiamo scoperto che invece hanno un effetto benefico". I volontari
hanno immerso le mani in acqua ghiacciata e ripetuto una parolaccia
a loro scelta in seguito alla reazione di dolore. In seguito hanno
ripetuto l'esperimento, ma non dovevano bestemmiare. "Se si dicevano
parolacce, si poteva sopportare il dolore provocato dall'acqua ghiacciata
per 2 minuti.
Senza bestemmiare, si resisteva solo per 1 minuto e 15 secondi",
hanno spiegato i ricercatori. "Probabilmente le reazioni 'aggressive'
di chi bestemmia aumentano la sopportazione del dolore fisico",
hanno concluso. Per gli scienziati, questo è il primo studio che
è riuscito a dimostrare gli effetti benefici della parolaccia.
"Spiegherebbe come mai la pratica di bestemmiare in reazione al
dolore si sia originata e sia diventata cosi' comune. Anche alle
persone piu' educate capita di farsene sfuggire una. In questi casi:
il nostro studio ne da' una ragione".
49) - Continua la disputa sui numeri cancro seno
under 45.
Botta e risposta tra ricercatori sui 'numeri' del tumore al seno.
La disputa scientifica era partita dal uno studio del Centro di
ricerche oncologiche di Mercogliano (Crom), affiliato alla Fondazione
Pascale di Napoli, secondo il quale sarebbero sottostimati i dati
ufficiali del cancro alla mammella tra le donne under 45.
Un'indicazione contestata da Franco Berrino, epidemiologo dell'Istituto
nazionale dei tumori di Milano e Eugenio Paci, segretario nazionale
dell'Associazione italiana registri tumori (Airtum), in una dettagliata
analisi sulla metodologia utilizzata dai colleghi. Altrettanto dettagliata,
in 5 fitte pagine a cui se ne aggiungono due di bibliografia, la
risposta degli autori dello studio - Incidence of breast cancer
in Italy: mastectomies and quadrantectomies from 2000 to 2005 (Journal
of Experimental & Clinical Cancer Research 2009, 28:86 (19 June
2009) - guidati da Antonio Giordano (presidente della Sbarro Health
Research Organization di Philadelphia, professore di anatomia e
istologia patologica all'università di Siena e presidente del Comitato
scientifico del Crom), che difendono la loro tesi: "in Italia ogni
anno i casi di tumore al seno sono molti di più di quelli riportati
dalle stime ufficiali".
"Fatta salva la libertà di 'sperimentare', ovvero la facoltà del
singolo o di un equipe scientifica di ricercare metodologie idonee
a studiare un fenomeno d'interesse anche attraverso percorsi parzialmente
o completamente diversi da quelli tradizionalmente utilizzati per
l'analisi dello stesso fenomeno - si legge nella lunga risposta
- gli autori dell'articolo vogliono precisare che i Registri Tumori
sono sicuramente il gold-standard per lo studio epidemiologico delle
neoplasie ed auspicano il concretizzarsi di opportunità di futura
collaborazione con gli esperti che da molti anni sono impegnati
nel settore".
Nessuna voglia di fare la 'guerra', dunque, dicono i ricercatori
napoletani che smentiscono l'accusa fatta da Berrino e Paci di non
essersi confrontati con i dati Airtum, sottolineando che la fase
di confronto è durata oltre un anno.
Ma ricordano anche che "ad oggi, nel nostro Paese i Registri Tumori
coprono solo il 30% della popolazione.
"Per fornire dei dati nazionali al ministero della Salute, la stessa
Airtum non può disporre di informazioni dettagliate derivanti da
Registri che coprano l'intero territorio nazionale e si trova costretta
a ricorrere a valori medi e a modelli statistici basati sulle schede
di mortalità Istat". Pertanto,"i dati nazionali forniti dall'Airtum
sono 'stime' statistiche".
A partire da queste considerazioni i ricercatori difendono anche
la metodologia basata sull'analisi delle schede di dimissione ospedaliera,
contestata dagli esperti Airtum, e spiegano nel dettaglio tutti
i criteri seguiti per un'analisi 'depurata' da fattori confondenti.
In base a questi criteri "non è possibile - scrivono - che lesioni
benigne siano state incluse nel nostro conteggio".
Piuttosto potrebbe esserci una sottostima del 10-15% dei tumori
maligni della mammella.
Disaccordo sui numeri a parte, i ricercatori si dicono convinti
che si debba puntare sulla collaborazione .
"Il gold standard per lo studio epidemiologico dei tumori - spiegano
- sarebbe quello di disporre per tutto il territorio nazionale di
Registri tumori in grado di incrociare diversi flussi informativi
(oltre le Sdo), inclusi i dati di anatomia patologica, come giustamente
sottolinea l'Airtum".
In definitiva gli autori auspicano, in uno spirito di collaborazione,
che anche l'Airtum possa considerare l'opportunità di utilizzare
maggiormente, per la stime di incidenza, un archivio ormai ben consolidato
quale le Sdo, come auspicato da Alleanza contro il Cancro e sulla
scorta della positiva esperienza della Regione Piemonte.
E per questo offriamo la nostra piena e fattiva collaborazione se
vorrà essere accolta".
50) - La curcuma protegge dal tumore al seno?
I ricercatori americani dell'Universita' del Missouri in uno studio
apparso su Menopause, la rivista della North American Menopause
Society affermano che la curcuma protegge le donne in menopausa
e sottoposte alla terapia ormonale sostitutiva dal tumore al seno.
I test sono stati condotti su cavie e hanno effettivamente dimostrato
che la popolare spezia indiana ha il potere di ritardare l'eventuale
insorgenza del cancro al seno, ne diminuisce l'incidenza e previene
il rischio di anormalita' morfologiche alle ghiandole mammarie.
La curcuma infatti blocca la produzione di una molecola chiamata
Vegf, che gioca un ruolo decisivo nello sviluppo dei tumori.
Salman Hyder, coordinatore dello studio ha spiegato che la curcuma
e altri composti anti-angiogenici dovranno essere ancora testati
come agenti dietetici chemio-preventivi nelle donne sotto terapia
ormonale sostitutiva a base di estrogeni e progestinici, nel tentativo
di diminuire o ritardare l'insorgenza del tumore al seno in questa
categoria di pazienti.
51) - Solo il 7% dei malati di cancro segue stili
di vita apprpriati
I risultati di uno studio condotto sugli over 65 statunitensi Solo
il 7% della popolazione statunitense oltre i 65 anni sopravvissuta
al tumore, pari a oltre 11 milioni di persone, segue le raccomandazioni
mediche dettate dalle linee guida nazionali.
E' quanto emerge da uno studio condotto da un gruppo di ricercatori
del Memorial Sloan-Kettering Cancer Center di New York City guidati
da Catherine Mosher che verra' pubblicato a settembre su Cancer,
secondo il quale la maggior parte degli over 65 sopravvissuti a
lungo termine al cancro hanno abitudini di vita molto meno sane
di quanto raccomandato.
Dallo studio, condotto su 753 anziani, e' emerso che ogni over 65
effettua esercizio fisico in media per 10 minuti a settimana, contro
i 150 minuti consigliati dalle linee guida nazionali e rispettati
solo dal 7%.
Dalla ricerca emerge anche che chi segue un'alimentazione equilibrata
e svolge movimento fisico ha una qualita' di vita migliore, mentre
sono gli obesi ad avere la peggio.
Mosher ha rilevato che i risultati indicano da un lato il potenziale
impatto negativo dell'obesita' e dall'altro l'effetto positivo dell'esercizio
fisico regolare e di una dieta sana sulla qualita' della vita degli
anziani sopravvissuti al cancro a lungo termine.
Tuttavia, secondo la studiosa, solo gli studi clinici randomizzati,
potranno rivelare se la modifica dello stile di vita migliora effettivamente
la condizione degli anziani sopravvissuti al cancro.
52) - Con SORAFENIB miglioramenti per il tumore
al seno
Sorafenib, molecola antitumorale orale, ha dimostrato di migliorare
la sopravvivenza libera da progressione della malattia in pazienti
colpite da tumore al seno.
I risultati emergono da uno studio di Fase II randomizzato, in doppio-cieco,
controllato verso placebo, che ha valutato il trattamento orale
a base di Sorafenib in combinazione con capecitabina in 229 pazienti
con carcinoma mammario localmente avanzato o metastatico HER-2 negativo.
La sicurezza e la tollerabilita' hanno rispettato le attese e non
sono comparse nuove tossicita'.
Jose Baselga, coordinatore dello studio e chairman e professor of
medicine all'Istituto Oncologico Vall d'Hebron di Barcellona ha
rilevato che tale risultato rappresenta un segnale positivo del
potenziale vantaggio offerto dalla combinazione alle pazienti con
carcinoma mammario avanzato e costituisce la prima dimostrazione
basata su riscontri statisticamente significativi dell'efficacia
di un inibitore tirosin-chinasico nel trattamento di questa malattia.
Uno degli obiettivi del trial era quello di valutare il successo
di un regime 'tutto orale', che puo' rappresentare un'opzione terapeutica
unica per le pazienti con carcinoma mammario'.
53) - Una nuova molecola distrugge le cellule
tumorali
Si tratta di una versione trasformata del 5-fluoracile I ricercatori
del Dipartimento di Chimica Farmaceutica dell'Universita' di Granada
in Spagna hanno sviluppato un nuovo tipo di molecole che si e' rivelato,
durante delle coltivazioni in vitro, altamente distruttivo contro
le cellule tumorali e con un bassissimo livello di tossicita' verso
le normali cellule del corpo umano.
In un articolo pubblicato sul sito ScienDaily si spiega che la nuova
molecola e' praticamente una versione trasformata di un farmaco
gia' utilizzato da tempo contro il cancro, il 5-fluoruracile.
I ricercatori hanno spiegato che fino ad oggi sono stati effettuati
molti tentativi per ottenere una molecola simile sostituendo chimicamente
delle componenti del 5-fluoruracile.
Grazie ai nuovi risultati ottenuti, la nuova molecola e' 10 volte
meno tossica per il corpo umano pur mantenendo la sua efficacia
contro il cancro.
54) - Il disagio psichico nei sopravvissuti da
cancro
Fare esperienza del cancro aumenta il rischio di andare incontro
a seri disturbi psicologici. Uno studio pubblicato su Archives of
Internal Medicine, prendendo in esame 4.636 pazienti oncologici,
ha permesso di stabilire che in individui affetti da patologie tumorali
il rischio di problemi mentali risulta raddoppiato (5,6%) rispetto
a quello ritrovato in 120mila persone sane (3%).
L'indagine ha riguardato pazienti sopravvissuti al tumore che, al
momento della diagnosi, avevano un età media di 50 anni e nei quali
l'accertamento diagnostico era avvenuto circa 12 anni prima del
reclutamento.
Alla luce di alcune valutazioni cliniche e sociali, gli autori hanno
stabilito che i pazienti maggiormente a rischio di grave distress
mentale sono quelli più giovani, non sposati, con un basso livello
di formazione scolastica, con difficoltà a svolgere le normali azioni
quotidiane e che soffrono anche di altre patologie.
Il 18% dei pazienti con seri disturbi ha dichiarato di non aver
ricevuto alcun sostegno psicologico nei primi anni della malattia.
«La nostra indagine ha permesso di identificare tutta una serie
di fattori clinici e sociodemografici associati a forme gravi di
distress psicologico in pazienti oncologici» ha dichiarato Karen
E. Hoffman del Brigham and Women's Hospital di Boston.
«Abbiamo ora a disposizione utili suggerimenti diagnostici e la
certezza di dover sviluppare adeguati strumenti per offrire un valido
supporto a questi pazienti» (L.A.).
Archives of Internal Medicine 2009; 169: 1274-1281
55) - Nuove linee guida per la diagnosi del cancro
al seno HER2-POSITIVO
Sono state presentate le nuove linee guida che permetteranno di
ridurre al 5% - contro l'attuale tasso del 20-40% - gli errori nella
diagnosi del tumore al seno Her2-positivo, che ogni anno in Italia
colpisce dalle 8000 alle 10.000 donne.
I principi sono contenuti in un documento sottoscritto dalla Societa'
italiana di anatomia patologica e citopatologia diagnostica (Siapec-Iap)
e dall'Associazione italiana di oncologia medica (Aiom), e presentato
per la prima volta al Congresso nazionale Siapec-Iap a Firenze.
Gli obiettivi fondamentali del gruppo di lavoro sono stati la definizione
di requisiti minimi di refertazione, la standardizzazione della
refertazione e l'individuazione di percorsi diagnostico-terapeutici
integrati. I principi indicati nel documento saranno applicati subito
dopo il congresso di Firenze.
www.corriere.it
56) - Con il grasso da liposuzione si può ingrandire
il seno?
Riporto solo come “cronaca” questa notizia, perché nonostante l’enfasi
delle precedenti pubblicazioni evidentemente si tratta di una tecnica
ancora da mettere a punto e da validare prima di raccomandarla come
procedura routinaria.
E’ ora possibile ingrandire il seno con il grasso estratto tramite
la liposuzione?
Questo trattamento 'due in uno', dal costo di circa 9.000 euro,
sara' discusso al meeting annuale della BAAPS (British Association
of Aesthetic Plastic Surgeons).
Nigel Mercer, presidente della BAAPS, commentando la tecnica inizialmente
concepita sette anni fa, ha spiegato che questo trattamento permetterebbe
di ottenere i benefici di entrambe le tecniche in un'unica operazione.
Il grasso trasferito non dovrà infatti essere piu' sostituito a
distanza di anni a differenza delle protesi attuali e in più conferisce
al seno una forma piu' naturale.
Mercer ha tuttavia precisato che ci sono ancora delle preoccupazioni
per la salute e che ulteriori test vanno svolti per verificare la
correttezza scientifica dell'operazione.
57) - MICROMETASTES OR ISOLATED TUMOR CELLS AND
THE OUTCOME OF BREAST CANCER.
de Boer M, van Deurzen CH, van Dijck JA, Borm GF, van Diest PJ,
Adang EM, Nortier JW, Rutgers EJ, Seynaeve C, Menke-Pluymers MB,
Bult P, Tjan-Heijnen VC.
N Engl J Med. 2009 Aug 13;361(7):653-63
BACKGROUND: The association of isolated tumor cells and micrometastases
in regional lymph nodes with the clinical outcome of breast cancer
is unclear. METHODS: We identified all patients in The Netherlands
who underwent a sentinel-node biopsy for breast cancer before 2006
and had breast cancer with favorable primary-tumor characteristics
and isolated tumor cells or micrometastases in the regional lymph
nodes. Patients with node-negative disease were randomly selected
from the years 2000 and 2001. The primary end point was disease-free
survival. RESULTS: We identified 856 patients with node-negative
disease who had not received systemic adjuvant therapy (the node-negative,
no-adjuvant-therapy cohort), 856 patients with isolated tumor cells
or micrometastases who had not received systemic adjuvant therapy
(the node-positive, no-adjuvant-therapy cohort), and 995 patients
with isolated tumor cells or micrometastases who had received such
treatment (the node-positive, adjuvant-therapy cohort). The median
follow-up was 5.1 years. The adjusted hazard ratio for disease events
among patients with isolated tumor cells who did not receive systemic
therapy, as compared with women with node-negative disease, was
1.50 (95% confidence interval [CI], 1.15 to 1.94); among patients
with micrometastases, the adjusted hazard ratio was 1.56 (95% CI,
1.15 to 2.13). Among patients with isolated tumor cells or micrometastases,
the adjusted hazard ratio was 0.57 (95% CI, 0.45 to 0.73) in the
node-positive, adjuvant-therapy cohort, as compared with the node-positive,
no-adjuvant-therapy cohort. CONCLUSIONS: Isolated tumor cells or
micrometastases in regional lymph nodes were associated with a reduced
5-year rate of disease-free survival among women with favorable
early-stage breast cancer who did not receive adjuvant therapy.
In patients with isolated tumor cells or micrometastases who received
adjuvant therapy, disease-free survival was improved. 2009 Massachusetts
Medical Society
58) - I Parp inibitori sono efficaci contro più
forme di cancro
Una nuova classe di farmaci, i cosiddetti Parp-inibitori, si sta
dimostrando in grado di combattere piu' forme di tumore di quante
gli scienziati pensassero inizialmente.
Si tratta di farmaci testati originariamente contro i tumori legati
alle mutazioni del gene Brca, come alcuni casi di cancro al seno
e alle ovaie. Le ricerche condotte dalla Breakthrough Breast Cancer
in Gran Bretagna, suggeriscono che questa classe di farmaci puo'
uccidere anche le cellule cancerose che hanno un difetto nel gene
Pten, come accade in alcune forme di cancro della pelle, dell'utero
e del colon. Nello studio pubblicato sulla rivista Embo Molecular
Medicine gli scienziati hanno scoperto che le cellule con geni Pten
difettosi erano fino a 25 volte piu' sensibili ai Parp-inibitori
rispetto alle cellule con un Pten normale.
I difetti nel Pten sono responsabili del 30%-80% dei tumori di seno,
prostata, pelle (melanoma), utero e colon, sottolineano gli scienziati.
Il Professor Alan Ashworth, direttore del Breakthrough Breast Cancer
Research Centre presso l'Institute of Cancer Research, dichiara:
L'uso dei Parp-inibitori fa parte di un nuovo approccio di cura
al cancro chiamato "letalità sintetica". Una cellula con un difetto
nel Pten ha bisogno di una proteina chiamata Parp per preservare
dai danni il suo Dna.
I Parp-inibitori bloccano la Parp e, uniti al Pten difettoso, causano
la morte delle cellule tumorali e in tal modo il tumore si restringe
o smette di crescere. Proprio grazie a questo meccanismo, il farmaco
colpisce solo le cellule malate e non quelle sane, minimizzando
gli effetti collaterali.
59) - Carcinoma mammario controlaterale: rischi
da stili di vita (indice di massa corporea, alcool, fumo…).
Obesità, abitudine al fumo e consumo d'alcol rappresentano fattori
di rischio per lo sviluppo di carcinoma mammario controlaterale
in pazienti con tumori al seno positivi ai recettori estrogenici
(Er-positivi).
Presso il Fred Hutchinson Cancer Research Center di Seattle negli
Usa, uno studio caso-controllo ha comparato due gruppi di pazienti
con tumore al seno: 365 donne con forme invasive di cancro al seno
Er-positivo e carcinomi controlaterali e 726 affette solamente da
tumori primari.
La ricerca ha permesso di stabilire che l'incremento del rischio
di sviluppare tumori controlaterali risulta del: 40% in presenza
di un indice di massa corporea (Bmi) pari o superiore a 30, rispetto
a un Bmi inferiore a 25; 90% per un consumo di bevande alcoliche
pari o superiore a 7 alla settimana, rispetto alla non assunzione
di alcol; 120% nei fumatori assidui, rispetto a chi non fuma. Infine,
il rischio di carcinomi controlaterali presenta un odds ratio di
7,2 quando il consumo di alcol è associato a quello di sigarette
(L.A.). Journal of Clinical Oncology, 10.1200/JCO.2009.23.1597
60) - Scoperta sulle staminali tumorali responsabili
della moltiplicazione delle cellule tumorali.
I ricercatori italiani dell'Istituto europeo di oncologia (Ieo)
di Milano, diretto da Umberto Veronesi, hanno capito come si moltiplicano
le cellule 'bambine' che alimentano i tumori: il serbatoio che permette
al cancro di crescere e di colonizzare l'organismo. Lo studio, condotto
sui topi e in particolare su modelli animali di tumore al seno,
è pubblicato su 'Cell'. Dimostra che le staminali del cancro si
dividono in maniera simmetrica e che il tumore si espande quindi
in modo geometrico, ma che è possibile intervenire con particolari
farmaci. Molecole utilizzabili per ora solo in ricerca preclinica.
Il lavoro è firmato dal gruppo coordinato da Pier Giuseppe Pelicci,
direttore di Oncologia molecolare all'Ieo e professore all'università
degli Studi di Milano. Lo studio è stato condotto nei laboratori
del Campus Ifom (Istituto Firc di oncologia molecolare)-Ieo in collaborazione
con la Statale del capoluogo lombardo, ed è stato possibile grazie
ai finanziamenti dell'Associazione italiana per la ricerca sul cancro
(Airc), del ministero della Salute e della Comunità europea. Negli
ultimi anni - ricordano gli esperti - è stato scoperto moltissimo
su come si moltiplicano le cellule tumorali. Poco o nulla, invece,
si sapeva sulla moltiplicazione delle staminali del cancro. Queste
cellule, pur essendo pochissime all'interno dei tumori, sono quelle
responsabili della crescita della malattia e della sua diffusione
sotto forma di metastasi. Le baby-cellule del cancro rappresentano
dunque il 'cavallo di Troia' per sconfiggere il tumore dall'interno:
per bloccare la crescita della neoplasia bisogna riconoscere e colpire
le sue staminali, il vero bersaglio sono loro.
61) - Human papilloma virus is associated with
breast cancer.
Human papilloma virus is associated with breast cancer. Heng B,
et al School of Biotechnology and Biomolecular Sciences, University
of New South Wales, Sydney, Australia.
Background:There is increasing evidence that high-risk human papilloma
virus (HPV) is involved in cancers in addition to cervical cancer.
For example, it is generally accepted that HPV has a role in a significant
proportion of head and neck tumours, and it has long been hypothesised
that hormone dependent oncogenic viruses, such as HPV may have causal
roles in some human breast cancers.
A number of reports have identified HPV DNA in breast tissue and
breast cancer specimens, but these rely on standard polymerase chain
reaction (PCR), which is criticised for its propensity for contamination.Methods:We
have used two different technologies, in situ and standard PCR (with
sequencing), and histology based on light microscopy.
Results:We unambiguously demonstrate the presence of high-risk HPV
in the cells of breast cancer specimens and breast cancer cell lines.
In addition, we also show that the oncogenic characteristics of
HPV associated breast cancer are very similar to HPV-associated
cervical cancer. Specifically, that putative koilocytes are present
in some HPV associated breast cancers.Interpretation:The above observations
indicate a likely causal role for high-risk HPV in human breast
cancer and offer the possibility of primary prevention of some breast
cancers by vaccination against HPV.British Journal of Cancer advance
online publication, 1 September 2009 ; doi:10.1038/sj.bjc.6605282
www.bjcancer.com.
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J Clin Pathol. 2006 Dec; 59 (12):1287-92. Epub 2006 May 12.
Links Comment in: J Clin Pathol. 2007 Sep;60(9):1071. Presence of
mouse mammary tumour-like virus gene sequences may be associated
with morphology of specific human breast cancer. Lawson JS, Tran
DD, Carpenter E, Ford CE, Rawlinson WD, Whitaker NJ, Delprado W.
School of Public Health and Community Medicine, University of New
South Wales, Sydney, Australia.
lawson@unsw.edu.au BACKGROUND: Mouse mammary tumour virus (MMTV)
has a proven role in breast carcinogenesis in wild mice and genetically
susceptible in-bred mice.
MMTV-like env gene sequences, which indicate the presence of a replication-competent
MMTV-like virus, have been identified in some human breast cancers,
but rarely in normal breast tissues. However, no evidence for a
causal role of an MMTV-like virus in human breast cancer has emerged,
although there are precedents for associations between specific
histological characteristics of human cancers and the presence of
oncogenic viruses.
AIM: To investigate the possibility of an association between breast
cancer and MMTV-like viruses. METHODS: Histological characteristics
of invasive ductal human breast cancer specimens were compared with
archival MMTV-associated mammary tumours from C3H experimental mice.
The presence of MMTV-like env DNA sequences in the human breast
cancer specimens was determined by polymerase chain reaction and
confirmed by Southern hybridisation.
RESULTS: MMTV-like env gene sequences were identified in 22 of 59
(37.3%) human breast cancer specimens.
Seventeen of 43 (39.5%) invasive ductal carcinoma breast cancer
specimens and 4 of 16 (25%) ductal carcinoma in situ specimens had
some histological characteristics, which were similar to MMTV-associated
mouse mammary tumours. However, these similarities were not associated
with the presence or absence of MMTV-like gene sequences in the
human breast tumour specimens. A significant (p = 0.05) correlation
was found between the grade of the human breast cancer and similarity
to the mouse mammary tumours. The lower the grade, the greater the
similarity.
CONCLUSION: Some human breast cancer specimens, in which MMTV-like
env DNA sequences have been identified, were shown to have histological
characteristics (morphology) similar to MMTV-associated mouse mammary
tumours. These observations are compatible with, but not conclusive
of, an association between the presence of MMTV-like env DNA sequences
and some human breast cancers
62) - Meno linfedema con pentoxifillina e vitamina
E.
L'assunzione di pentoxifillina e vitamina E aiuterebbe a prevenire
lo sviluppo di linfedema da radiazioni in donne affette da cancro
al seno. Alla luce di precedenti evidenze sperimentali riguardanti
la capacità delle due sostanze di far regredire eventi fibrotici,
un trial svedese di fase II ha valutato i possibili benefici offerti
dal trattamento con pentoxifillina e vitamina E in circa 80 pazienti
con carcinoma mammario, sottoposte a intervento chirurgico e successiva
radioterapia.
La cura, iniziata dopo 1-3 mesi dalla fine della radioterapia, ha
previsto 12 mesi di assunzione di 400 mg di pentoxifillina tre volte/die
oppure di placebo, in aggiunta alla vitamina E (100 mg tre volte/die).
Mentre l'abduzione passiva della spalla (end-point primario) è migliorata
sia con la pentoxifillina sia con il placebo, l'incremento del volume
degli arti (end-point secondario) è stato molto più ingente nel
gruppo placebo rispetto a quello trattato con pentoxifillina ((1.04%
vs 0.50%) (L.A.). European Journal of Cancer 2009, 45, 2488-2495.
63) - Il Tamoxifene può provocare un cancro addirittura
più aggressivo?
Mi scrivono molte pazienti che assumono il Tamoxifene per alcune
notizie allarmistiche riportate da alcune testate (Ansa) su uno
studio recente americano
http://www.aamterranuova.it/article3750.htm
secondo il quale un trattamento di quattro o cinque
anni a base di Tamoxifene aumenta di ben quattro volte il rischio
di sviluppare un tumore al seno non dipendente dagli ormoni estrogeni
nel seno.
Purtroppo i giornalisti pompano molto le notizie che sembrano andare
in controtendenza ignorando invece tutte le ricerche che negli anni
invece confermano il beneficio di un farmaco, perchè la cosa non
fa più notizia! Nel caso specifico: il tamoxifene, è risaputo da
studi condotti su decine di migliaia di donne, riduce il rischio
di tumore ormonosensibile nella mammella controlaterale.
Ora emerge un dato che potrebbe essere molto relativo: infatti la
riduzione dei tumori ormonosensibili può dare tempo e spazio all'emergere
di tumori ormonoresistenti ma è tutto relativo.
Infatti mentre i secondi sembrano aumentare i primi diminuiscono
marcatamente e la bilancia pende sempre a favore di una diminuzione.
Basta solo dire che gli stessi autori della ricerca e dell'articolo
(Christopher Li, e collaboratori del Fred Hutchinson Cancer Research
Center, pubblicato il 25 agosto sulla rivista scientifica Cancer
Research) ribadiscono (parole testuali) che bisogna continuare a
raccomandare la terapia con tamoxifene in questi casi.
http://www.salutedomani.com/il_weblog_di_antonio/2009/08/breast-cancer-is-second-cancer-more-aggressive-with-tamoxifen.html
La storia del tumore dell'endometrio è ancora più
vecchia e speculare: molti tumori della mammella in meno in cambio
di qualche tumore dell'utero peraltro, grazie al follow-up specifico
su queste donne, riconoscibile quasi sempre in fase precocissima
ed eliminabile già nella fase di solo ispessimento dell'utero mediante
il cosiddetto "raschiamento".
64) - Danni cardiaci da antracicline (chemioterapia)
e cardioprotezione con dexrazoxano.
Le antracicline continuano a rappresentare un indispensabile presidio
terapeutico per il trattamento di pazienti con linfomi, carcinoma
mammario e altre neoplasie.
La cardiotossicità di questi agenti è ben nota e sono stati sviluppati
metodi per il monitoraggio, il controllo e la prevenzione. Un approccio
alla prevenzione della cardiotossicità da antracicline è quello
di impiegare agenti cardioprotettivi: la "cardioprotezione" è diventata
oggetto di studi clinici controllati con risultati favorevoli, soprattutto
con l'applicazione di dexrazoxano.
Una possibilità su cui si sta puntando negli ultimi anni per prevenire
danni cardiaci è quella di abbinare al trattamento antitumorale
la somministrazione di farmaci cardioprotettivi.
Tra le molecole testate finora in questo senso, soltanto dexrazoxano
ha fornito dati solidi e affidabili di sicurezza ed efficacia, riducendo
il rischio di scompenso cardiaco clinico e subclinico senza interferire
con i farmaci antineoplastici utilizzati.
65) - La terapia ormonale sostitutiva aumenta
il rischio di cancro al polmone?
L'ormonoterapia (Hrt) estroprogestinica aumenta il rischio femminile
di morte per cancro polmonare.
È quanto emerge da una nuova analisi di dati tratti dal Women's
health initiative trial su 16608 donne statunitensi in menopausa
di età compresa tra 50 e 79 anni, assegnate in modo randomizzato
ad assumere una volta al giorno compresse da 0,625 mg di estrogeno
equino coniugato e 2,5 mg di medrossiprogesterone acetato oppure
un placebo.
Dopo otto anni, 73 donne in Hrt e 40 del gruppo placebo erano decedute
per cancro polmonare. Ciò significa che le pazienti che assumevano
il farmaco avevano una probabilità superiore del 71% di morire per
la neoplasia.
Lo studio ha anche dimostrato che le donne in Hrt avevano il 28%
di probabilità in più di ricevere una diagnosi di tumore polmonare,
un dato peraltro non statisticamente significativo.
"Il trattamento con estroprogestinici nelle donne in menopausa accresce
il numero di decessi per cancro polmonare, in particolare non a
piccole cellule" concludono gli autori dell'UCLA Medical center.
"Questi risultati andrebbero introdotti in una discussione sul rapporto
rischio-beneficio dell'Hrt nelle donne ad alto rischio di neoplasia
polmonare, come le fumatrici o le ex-fumatrici con una lunga storia
di abitudine alla sigaretta". (A.Z.)
Lancet, 2009; epub ahead of printing;
66) - Brutte notizie sul fronte TOS (terapia
ormonale sostitutiva)
Dalla Francia arriva un contrordine: nel trattamento ormonale in
menopausa i tempi contano, ma non come si pensava. Il rischio di
cancro al seno infatti sembra maggiore nelle prime fasi che non
in seguito, anche per cure brevi.
E dagli Stati uniti giunge l'amara conferma di un sospetto che aleggiava
nell'aria già alla Consensus conference tenutasi a Torino più di
un anno...
67) - Ca mammario: artralgia con inibitori delle
aromatasi
L'impiego degli inibitori delle aromatasi in pazienti in postmenopausa
affette da carcinoma mammario, incrementerebbe il rischio sia della
sindrome del tunnel carpale sia di artralgia. Lo stabiliscono due
studi pubblicati su The Journal of Clinical Oncology.
Il primo, il trial Atac (Arimidex, Tamoxifen, Alone or in Combination)
ha mostrato un incremento del rischio di sindrome del tunnel carpale
maggiore con terapie a base di anastrazolo rispetto a quelle con
tamoxifen (2,6% vs 0,7%).
Il rischio è apparso più elevato, quando il trattamento con anastrozolo
ha fatto seguito a terapia ormonale o chemioterapia. Secondo i dati
riportati nel secondo studio, invece, circa il 32% delle pazienti
con carcinoma mammario, trattate con inibitori delle aromatasi,
svilupperebbe artralgia o vedrebbero aggravata una condizione artralgica
preesistente, soprattutto a livello dei legamenti del polso (70%),
del ginocchio (70%) e della mano (63%) (L.A.).
Journal of Clinical Oncology 2009.
68) - Carcinoma mammario: sì a vaccini anti-Her2/neu
Vaccini specifici per l'antigene Her2/neu somministrati in combinazione
con trastuzumab, in donne affette da carcinomi mammari metastatici
Her2 positivi, indurrebbero un'efficace nonché duratura risposta
immunitaria contro il tumore.
Come riportato dal Journal of Clinical Oncology, ricercatori del
Center for Translational Medicine in Women's Health dell'Università
di Washington hanno valutato l'efficacia della doppia azione di
vaccino anti-Her2/neu e trastuzumab in 22 pazienti con tumore al
seno allo stadio IV.
La risposta immunitaria, che in alcune donne risultava già piuttosto
soddisfacente per effetto del solo trastuzumab, è stata ulteriormente
potenziata e si è protratta per lunghi periodi in seguito alla somministrazione
del vaccino specifico.
In aggiunta, il vaccino ha mostrato un'elevata tollerabilità in
quasi tutti i casi trattati, infatti, solo nel 15% di essi è stata
registrata una riduzione asintomatica della frazione d'eiezione
ventricolare sinistra (L.A.).
Journal of Clinical Oncology 2009, 10.1200/JCO.2008.20.6789
69) - Tamoxifen reduces the risk of contralateral
breast cancer in premenopausal women: Results from a controlled
randomised trial.
Alkner S, Bendahl PO, Fernö M, Nordenskjöld B, Rydén L; South Swedish
and South-East Swedish Breast Cancer Groups.
Department of Oncology, Clinical Sciences, Lund, Sweden. BACKGROUND:
Adjuvant treatment with tamoxifen reduces the risk of contralateral
breast cancer in hormone-responsive postmenopausal patients, whereas
the effect in premenopausal women has not been fully elucidated.
We have therefore studied the effect of tamoxifen on contralateral
breast cancer in premenopausal women in a controlled randomised
trial.
PATIENTS AND METHODS: Premenopausal women (564) with stage II breast
cancers were randomised to 2 years of tamoxifen versus control irrespective
of oestrogen receptor (ER) and progesterone receptor (PgR) status.
The median follow-up for patients not developing a contralateral
cancer was 14 years. RESULTS: In the control group 35 women, and
in the tamoxifen group 17 women, developed a contralateral breast
cancer as a primary event.
Tamoxifen significantly reduced the risk of contralateral breast
cancer in all women regardless of age (hazard ratio (HR) 0.5, p=0.02).
In subgroup analysis the risk reduction was most pronounced in patients
<40 years of age (HR 0.09, p=0.02). A risk reduction was also seen
in women 40-49 years of age or 50 years of age, although in these
subgroups this did not reach statistical significance. The reduced
risk of contralateral breast cancer was persistent during the whole
follow-up time.
CONCLUSION: In this randomised trial, adjuvant treatment using tamoxifen
for 2 years reduced the incidence of contralateral breast cancer
by 50% in all premenopausal women, and by 90% in women <40 years
of age. Eur J Cancer. 2009 Sep;45(14):2496-502.
Epub 2009 Jun he effect of tamoxifen was not significantly dependent
on time
70) - Se il medico incoraggia, il placebo ha
più effetto.
Si tratta di uno studio eseguito con pazienti asmatici ma lo riporto
in attualità in senologia perché conferma quanto ho scritto in altri
articoli che “la fede nella terapia” aumenta la risposta al trattamento.
Avere grandi aspettative aumenta la risposta al placebo negli asmatici.
Lo sostiene uno studio, pubblicato su Journal of Asthma and Clinical
Immunology, secondo il quale l'ottimistica rappresentazione degli
effetti dell'antagonista leucotrienico montelukast, porta ad aumentata
percezione del controllo dell'asma nei soggetti placebo, ma non
ha beneficio aggiunto nei soggetti che assumono il farmaco.
"A conferma - sostiene il responsabile della ricerca Robert A. Wise
- che il modo con il quale un medico presenta un farmaco al paziente
può condizionare come si sente, persino se il farmaco non è attivo".
"Un fenomeno - aggiunge il ricercatore - già sperimentato per farmaci
contro il dolore, ma mai su farmaci per l'asma". Il trial ha coinvolto
601 pazienti con scarso controllo dei sintomi, divisi in cinque
gruppi: sottoposti a cure standard, a montelukast con messaggi di
incoraggiamento o senza alcun messaggio e placebo con o senza incoraggiamento.
A conferma dell'effetto sulla percezione del beneficio vale che,
a quattro settimane dall'inizio dello studio, non sono state riscontrate
differenze nel picco di flusso espiratorio tra i soggetti sottoposti
a montelukast o placebo con o senza messaggi di supporto.
Ma tra i soggetti placebo "incoraggiati" molti hanno percepito significativi
progressi. In entrambi i gruppi è stato riportato un aumento dell'8%-9%
dei casi di mal di testa. Un risultato associato dai ricercatori
alla possibilità di questo effetto collaterale, evocata da spot
televisivi visti dai partecipanti all'indagine. (M.M.)
Journal Asthma Clin Immunology 2009; 124: 436-444
71) - Latte materno: così induce il sonno nei
neonati
Il latte materno ha proprietà ipnoinducenti maggiori di notte rispetto
al giorno.
La conferma arriva da uno studio pubblicato su Nutricional Neuroscience
che ha dimostrato come alcuni componenti specifici del latte stesso
varino in maniera sostanziale nel corso della giornata.
In particolare, l'analisi della composizione del latte raccolto
da 30 donne spagnole, ha rilevato che i livelli di nucleotidi 5'AMP,
5'GMP, 5'CMP e 5'IMP seguono il ritmo circadiano, con i primi due
particolarmente elevati durante la notte e gli ultimi due durante
il giorno. Un altro nucleotide, il 5'UMP, pur non presentando la
stessa ritmicità è risultato anch'esso più abbondante di notte.
"Gli alti livelli di 5'AMP, 5'GMP e 5'UMP registrati di notte ci
hanno spinto a ipotizzarne, per la prima volta, un ruolo ipnotico"
ha dichiarato Cristina L. Sánchez del Department of Physiology,
Faculty of Science, University of Extremadura, Badajoz in Spagna.
"Poiché alcune sostanze nutritive potrebbero svolgere un ruolo fondamentale
nel favorire il sonno nei neonati, sarebbe auspicabile per le mamme
somministrarlo seguendo un ritmo fisiologico, evitandone la raccolta
e l'impiego in momenti differenti". (L.A.).
Nutritional Neuroscience 2009, 12, 1, 2-8
72) - Rischio di recidive per ca mammari invasivi
e giovanili
Forme altamente invasive ed età giovanile rappresenterebbero gli
unici fattori di rischio di recidive locali in pazienti con carcinomi
mammari di fase I e II sottoposti a terapie conservative.
In questi casi, inoltre, una radioterapia supplementare sembra in
grado di ridurre il rischio di recidive. Sono i risultati dello
studio Eortic (European Organisation for Research and Treatment
of Cancer boost versus no boost) in cui sono state randomizzate
pazienti che avevano subito irradiazione e asportazione completa
del tumore, a ricevere o meno addizionali dosi di radiazioni (16
Gy).
In sintesi, stadi molto aggressivi ed età giovanile sono risultati
associati sia a un elevato rischio di recidive locali (hazard ratio=
1,67 e 2,38 rispettivamente) sia a riduzione significativa del rischio
in seguito a dosi aggiuntive di radiazioni (dal 19,4% all'11,4%
e dal 18,9% e all'8,6%, rispettivamente) (L.A.).
Journal of Clinical Oncology, 10.1200/JCO.2008.21.5764
73) - L’ANALISI DELLE GHIANDOLE MAMMARIE PREDICE
IL RISCHIO DI CANCRO AL SENO?
E’ possibile predire la predisposizione al cancro al seno attraverso
l'analisi degli acini ghiandolari, piccole ghiandole del seno predisposte
alla produzione del latte presenti nei lobuli.
Sono queste le conclusioni a cui è giunto uno studio condotto dai
ricercatori della Mayo Clinc di Rochester e pubblicati sul Journal
of Clinical Oncology.
Lo studio dimostra che la percentuale di acini presenti a una certa
eta' in un lobulo indica il rischio di cancro. Secondo i ricercatori
questo metodo e' piu' preciso nel predire il rischio di tumore rispetto
al modello Gail, gia' conosciuto e utilizzato.
Gli studiosi hanno esaminato le strutture dei tessuti in 85 pazienti
con cancro al seno paragonandole alle biopsie mammarie delle stesse
pazienti prima che si ammalassero e hanno evidenziato che le donne
che avevano una maggiore probabilita' di sviluppare il cancro al
seno avevano lobuli piu' grandi e con un maggior numero di acini.
74) - Sempre stanchi? Svelata l’origine dell’affaticamento
cronico?
Già abbiamo trattato su questo sito la “sindrome da stanchezza persistente”
legata al cancro
http://www.senosalvo.com/La_fatigue_parte_I.htm
Sospettata di dipendere esclusivamente da problemi psicologici o
psichiatrici, la sindrome della stanchezza cronica (Cfs) ottiene
il patentino di vera e propria patologia con radici organiche.
Ulteriore prova a favore è lo studio pubblicato sulla rivista Scienze.
http://www.corriere.it/salute/09_ottobre_12/stanchezza-cronica-virus_ad610b00-b6f4-11de-b239-00144f02aabc.shtml
75) - Tumori: nuova tecnica “riconosce” il tessuto
tumorale già in corso di intervento.
Scriviamo subito che si tratta di una tecnica non ancora provata
sull’uomo ma che apre interessanti scenari perché utilizzata rispettando
le condizioni richieste per eseguire interventi chirurgici sull'uomo.
La tecnica sviluppata una tecnica potrebbe permettere ai chirurghi
di distinguere tra tessuto canceroso e tessuto sano in tempo reale,b
già ne corso dell’intervento chirurgico.
La nuova tecnica, descritta sulla rivista Angewandte Chemie International
Edition e sul notiziario europeo Cordis, potrebbe risparmiare ai
pazienti che soffrono di cancro, di essere sottoposti a ulteriori
interventi chirurgici necessari per rimuovere il tessuto tumorale
che non è stato asportato nel corso della prima operazione.
Nel trattamento del cancro è spesso necessario ricorrere alla chirurgia.
Il tessuto asportato durante l'operazione viene analizzato in laboratorio
per verificare che tutto il tessuto malato sia stato rimosso.
Attualmente occorrono vari giorni per esaminare il tessuto, e se
risulta che parte del tessuto malato non è stato rimosso, a volte
il paziente viene sottoposto a una seconda operazione.
Alla base della nuova tecnica c'è l'elettrochirurgia, la quale prevede
la sostituzione del bisturi tradizionale con l'elettrobisturi, che
impiega la corrente elettrica ad alta frequenza per realizzare il
taglio e rimuovere il tessuto. Un vantaggio dell'elettrochirurgia
è rappresentato dal fatto che durante il taglio si ostruiscono i
vasi sanguigni, arrestandone l'emorragia. Mentre viene eseguito
l'intervento, il tessuto interessato si surriscalda e viene in parte
vaporizzato. Inoltre, la corrente elettrica provoca la produzione
di molecole caricate elettricamente.
Tessuti diversi presentano profili molecolari diversi e il profilo
molecolare del tessuto canceroso ha un aspetto molto diverso da
quello del tessuto sano.
In questo studio, ricercatori tedeschi e ungheresi hanno inserito
sull'elettrobisturi tradizionale una pompa speciale che aspira le
molecole vaporizzate e le invia ad uno spettrometro di massa. Quest'ultimo
analizza il profilo molecolare del tessuto tagliato e fornisce i
risultati dell'analisi al chirurgo in tempo reale.
I ricercatori hanno battezzato la nuova tecnica 'REIMS' (Rapid Evaporation
Ionisation Mass Spectrometry). ''Con la tecnica REIMS l'analisi
del tessuto, compresa l'analisi dei dati, richiede meno di un secondo'',
ha spiegato Zoltan Takats dell'Università Justus Liebig in Germania.
"Durante l'intervento il chirurgo - ha continuato - riceve in tempo
reale tutte le informazioni sulla natura del tessuto che sta tagliando".
Il sistema èstato anche capace di informare sul fatto che si trattasse
di un tumore allo stadio iniziale o avanzato.
Benchè il sistema non sia ancora stato provato sull'uomo, i ricercatori
fanno notare che tutti gli esperimenti sono stati eseguiti rispettando
le condizioni richieste per eseguire interventi chirurgici sull'uomo.
Sono pertanto fiduciosi che presto la nuova tecnica sarà trasferita
nelle sale operatorie.
76) - Ancora sottovalutata la sofferenza fisica,
secondo un’indagine su donne con carcinoma del seno.
Sono le tante donne che hanno o hanno avuto un tumore al seno e
che continuano a provare dolore fisico. Sono più del 60 per cento
e spesso la loro condizione viene trascurata o affrontata con terapie
inadeguate.
http://www.corriere.it/salute/sportello_cancro/09_ottobre_08/dolore-tumore-seno_07baa85e-b3f8-11de-afa2-00144f02aabc.shtml
77) -TUMORI: COMBATTERE LA DEPRESSIONE AUMENTA
LA SOPRAVVIVENZA?
Tutto ancora da dimostrare che la depressione sia in relazione con
un aumento di mortalità, ma ormai è certo che uno «spirito combattivo»
migliora la qualità di vita dei malati
http://www.corriere.it/salute/sportello_cancro/09_ottobre_09/depressione-tumori-sopravvivenza_8f29dc62-b42d-11de-afa2-00144f02aabc.shtml
78) - Possibile la trasmissione del tumore da
madre a figlio?
Solo in rarissimi casi di deficit immunitario,il cancro può passare
da mamma al feto attraverso la placenta. Il bambino subito dopo
la nascita sviluppa un tumore «clone» di quello materno, ossia assolutamente
identico a quello della mamma da un punto di vista genetico, perchè
sono le cellule tumorali materne a crescere dentro il corpo del
neonato.
Si tratta di un evento molto raro, ma possibile. Negli ultimi 100
anni sono stati registrati solo 17 casi di madre e figlio che condividono
lo stesso tumore, per lo più una neoplasia del sangue o un melanoma
cutaneo.
L’ultimo caso è ora riportato da una equipe britannica sulla rivista
dell’Accademia Americana delle Scienze PNAS Sono anni che gli scienziati
si chiedono se una donna malata di cancro possa «contagiare» il
figlio che porta in grembo.
In teoria, le cellule tumorali possono riuscire ad attraversare
la placenta arrivando nel sangue del bebè, ma il sistema immunitario
del bambino le distrugge.
http://www.repubblica.it/2009/04/sezioni/scienze/tumori/trasmissione-feto/trasmissione-feto.html
79) - L'allattamento al seno non "trasmette"
al figlio il cancro.
Circolano i risultati controversi di una possibile correlazione
tra papilloma virus e cancro del seno che creano ansia e sconcerto
in molte lettrici
http://www.senosalvo.com/attualita_intro09.htm#43
http://www.senosalvo.com/attualita_intro09.htm#61
Questa confusione è sfruttata da colleghi, in questo
caso ciarlatani, anche di mia conoscenza , che sfruttano per interessi
personali questa informazione fuorviando la paziente sui problemi
VERI della prevenzione.
Allattare al seno resta SEMPRE consigliabile
http://www.corriere.it/sportello-cancro/articoli/2004/11_Novembre/12/allattamento.shtml?fr=correlati
80) - Seno protetto dall'esercizio intenso.
Ormai sono tanti gli studi che confermano l'importanza della attività
fisica nella prevenzione del tumore al seno.
Uno studio ha caratterizzato in modo specifico l'intensità e il
tempo dedicato all'attività fisica adeguati per ottenere un calo
del rischio di tumore al seno nel periodo postmenopausale.
Nel 1995 sono state selezionate 118.899 donne tra i 50 e i 71 anni
ed è stato loro chiesto di dettagliare le abitudini sul movimento
svolto in quattro periodi della loro vita: tra i 15 e i 18 anni,
tra i 19 e i 29 anni, tra i 35 e i 39 anni e negli ultimi 10 anni.
Nei sei anni e mezzo di follow-up, successivi a queste interviste,
ci sono state 4.287 nuove diagnosi di tumore al seno, di cui la
maggioranza (84%) era di tipo HER-positivo. Sovrapponendo i dati
è emerso che le donne che nei 10 anni precedenti l'arruolamento
avevano mantenuto un livello elevato di attività fisica, vale a
dire oltre sette ore di esercizio da moderato a sostenuto, presentavano
il 16% in meno di rischio (rischio relativo 0,84) di sviluppare
la neoplasia rispetto alle sedentarie.
L'associazione restava significativa anche con l'aggiustamento per
indice di massa corporea (0,87). Le caratteristiche del tumore non
influivano sull'associazione riscontrata, come pure non era influente
un'attività fisica moderata-intensa svolta nelle fasce di età considerate,
e nemmeno una blanda attività svolta in passato o di recente.
Tra le ragioni che possono spiegare questo legame va considerata
la capacità dell'esercizio fisico di ridurre i livelli di ormoni
sessuali endogeni, di modulare l'insulina e i fattori di crescita
insulino-simili, di aumentare l'immunità e di ridurre lo stato infiammatorio.(S.Z.)
BMC Cancer. 2009 Oct 1;9(1):349
81) - Ca mammario: genotipo Mpo influenza outcome.
Evidenziata una stretta correlazione tra genotipo della mieloperossidasi
(Mpo) e outcome(esito, efficacia) clinici di trattamenti di carcinomi
mammari.
Recentemente pubblicati su Journal of Clinical oncology, due studi
di popolazione indipendenti hanno dimostrato che varianti alleliche
molto attive del gene Mpo sono associate con periodi più lunghi
di sopravvivenza libera da malattia in pazienti con forme iniziali
di tumore al seno trattate con ciclofosfamide e altri chemioterapici
e, successivamente, con tamoxifene.
Sono stati valutati: un gruppo di pazienti non trattato, un secondo
gruppo sottoposto a regime chemioterapico Cmf (ciclofosfamide, metotrexato,
fluorouracile) e, infine, uno con chemioterapia Caf (ciclofosfamide,
doxorubicina, fluorouracile), a cui ha fatto seguito o meno la somministrazione
di tamoxifene. In sintesi, tra le donne sottoposte a chemioterapia
quelle con la variante G di Mpo hanno mostrato una significativa
riduzione di recidive (hazard ratio: 0,51 per genotipi GA e hr=
0,41 per genotipi GG).
L'effetto, paragonabile nei due regimi chemioterapici, è stato potenziato
dall'impiego di tamoxifene (hr pari a 0,28 e 0,19, rispettivamente
per genotipi GA e GG).
"Regolando l'espressione della mieloperossidasi si potrà incrementare
l'efficacia dei trattamenti chemioterapici del tumore al seno" ha
dichiarato Christine B. Ambrosone del Roswell Park Cancer Institute,
Buffalo di New York. (L.A.)
Journal of Clinical Oncology, 10.1200/JCO.2009.21.8669
82) - Scoperto un “interruttore” collegato allo
sviluppo del cancro alla mammella.
Si tratta di studio sperimentale sugli animali. Uno studio pubblicato
su 'Nature' dal team dell'Ohio State University (Usa) diretto dallo
scienziato uruguayano Gustavo Leone, ha individuato una sorta di
interruttore che opera nelle cellule del tessuto connettivo delle
ghiandole mammarie in grado di accelerare lo sviluppo del tumore
al seno.
La ricerca aiuta a mettere in luce i complessi legami tra i microambienti
tumorali e l'insorgenza del cancro.
Il team di Leone ha mostrato che la delezione del gene oncosoppressore
Pten nei fibroblasti delle ghiandole mammarie porta allo sviluppo
accelerato di tumori al seno nei topi e altre modificazioni nell'ambiente
cellulare, come la formazione di vasi sanguigni e l'infiltrazione
di cellule immunitarie.
La perdita del gene Pten e i cambiamenti determinati a cascata da
questo fenomeno nell'espressione genica possono essere osservati
anche nel tessuto connettivo dei tumori al seno umani.
E questo, scrivono i ricercatori, suggerisce che il sistema di segnalazione
messo in luce nei topi potrebbe funzionare nello stesso modo negli
esseri umani. Infine, l'influenza del gene studiato su un fattore
di trascrizione chiamato Ets2 si e' rivelata cruciale per le funzioni
oncosoppressive del gene stesso.
83) - Da Regione in Regione variano le regole
per approvare una nuova terapia. Così crescono le discriminazioni
fra i malati oncologici.
Denuncia degli oncologi
http://www.corriere.it/salute/sportello_cancro/09_ottobre_13/farmaci-cancro-discriminazioni-regionali_2b9bb494-b7cb-11de-9cba-00144f02aabc.shtml
84) - Più cancro con densità mammarie ridotte.
Alterazioni della densità mammaria in donne sottoposte a terapie
ormonali risultano associate a un incremento del rischio di carcinomi
invasivi della mammella.
Queste le evidenze sperimentali del trial Women's Health Initiative
Estrogen + Progestin, in cui donne in postmenopausa sono state randomizzate
a ricevere quotidianamente estrogeni equini coniugati (0,625 mg)
e medrossiprogesterone acetato (2,5 mg) oppure placebo. Con cadenza
annuale, le partecipanti sono state sottoposte a controlli mammografici
ed esplorazioni cliniche della mammella.
Dopo 12 mesi, diminuzioni della densità mammaria sono state evidenziate
soprattutto nelle donne trattate con terapia ormonale rispetto a
quelle che hanno ricevuto placebo (36,1% vs 11,8%).
In aggiunta, nel gruppo trattato con estrogeni e progestinico, il
rischio di cancro al seno è risultato significativamente maggiore
per densità alterate della mammella rispetto a quelle normali (hazard
ratio= 1,48). Nel gruppo placebo non è stata, invece, osservata
alcuna associazione tra rischio di cancro e densità mammaria.
(L.A.) Archives of Internal Medicine 2009, 169, 1684 - 1691
85) - Ca mammario: ruolo prognostico di Her2
Forme iniziali di tumore al seno e senza coinvolgimento dei linfonodi
presenterebbero, dopo l'asportazione, un basso rischio di ripresa
della malattia. Risulterebbe, tuttavia, più elevato quello di recidiva
locale se si tratta di carcinomi Her2-positivi.
L'evidenza arriva da uno studio italiano coordinato da Giuseppe
Curigliano, vice direttore della Divisione di Oncologia medica dell'Istituto
europeo di oncologia (Ieo), che ha riguardato 2.130 donne operate
per tumore al seno di diametro inferiore al centimetro e con linfonodi
sani.
"Il nostro studio offre un contributo importante alla gestione dei
carcinomi mammari perché chiarisce che la sopravvivenza non cambia
sostanzialmente tra le pazienti che esprimono Her2 e quelle che
non lo fanno, ma che carcinomi Her2-positivi hanno un rischio maggiore
di recidiva locale" ha spiegato Curigliano.
"Si tratta ora di scegliere se somministrare l'erceptina in tutti
i casi di tumore Her2-positivo e superiore ai 5 mm, come proposto
da alcuni ricercatori americani, oppure decidere caso per caso,
in base alla situazione di ogni paziente e alla luce del bilancio
fra rischio e beneficio individuale".
(L.A.) Journal of Clinical Oncology, 2009, ahead of print Nov 2
86) - Prima dell'impianto dell'embrione asportato
il gene che provoca il cancro al seno. Bambina nata "senza rischio".
Nel 2006, l'Autorità britannica per la fertilità umana e l'embriologia
(Hfea) ha dato il via libera anche ai test sui cosiddetti geni suscettibili,
come il Brca1. Tutti gli esseri umani portano una versione di questi
geni - la proteina del Brca1, quando funziona correttamente, contribuisce
a impedire la formazione di tumori - ma alcune variazioni aumentano
enormemente la possibilità di sviluppare il cancro.
È nata nei giorni scorsi in Gran Bretagna la prima bambina testata
prima dell'impianto dell'embrione nel grembo materno per essere
certi che non avesse una alterazione genetica che provoca all'80%
il cancro al seno.
Ovviamente, portare il difetto genetico non significa la certezza
di avere la malattia da adulti: tuttavia, la famiglia voleva sbarazzarsi
di questo rischio dopo che la nonna, la madre, la sorella e la cugina
del marito sono state colpite dal cancro al seno L'eredità duratura
di questa operazione è lo sradicamento della trasmissione di questa
forma di cancro che ha devastato queste famiglie per generazioni.
La diagnosi genetica pre-impianto (Pgd) prevede il prelievo di una
cellula di un embrione nello stadio in cui è composto da 8 cellule,
tre giorni dopo la sua formazione.
Ma se i medici esultano, non manca qualche critica.
Fonte
http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplrubriche/scienza/grubrica.asp?ID_blog=38&ID_articolo=1102&ID_sezione=243&sezione=
87) - Cancro del seno: densità mammaria marker
di recidiva
Dopo chirurgia conservativa di forme invasive di cancro alla mammella,
la densità mammaria costituisce un fattore predittivo di rischio
di recidive locali.
E ciò risulterebbe vero soprattutto per le pazienti non sottoposte
a radioterapia. I risultati si riferiscono a uno studio pubblicato
su Cancer da alcuni ricercatori del Women's College Hospital, University
of Toronto.
In particolare, 335 pazienti sono state suddivise in tre gruppi
sulla base della classificazione di Wolfe della densità mammaria:
bassa (<25%), intermedia (25-50%) ed elevata (>50%).
In sintesi, il rischio di recidive locali a dieci anni è risultato
superiore nel gruppo con densità elevata rispetto a quello con densità
bassa (21% vs 5%, rispettivamente) con un hazard ratio di 5,7.
In aggiunta, il ruolo prognostico del grado di densità mammaria
appare maggiormente significativo nelle donne non sottoposte a radioterapia
(40% vs 0% per pazienti con densità >50% e <25%, rispettivamente)
(L.A.).
Cancer 9 nov 2009, early pubblication
88) - Presentato il manuale della sicurezza in
sala operatoria
Operare il paziente preparandolo e posizionandolo in modo corretto;
prevenire i danni da anestesia garantendo le funzioni vitali; prevenire
le infezioni del sito chirurgico e il tromboembolismo post-operatorio.
Sono queste alcune delle 16 raccomandazioni contenute nel Manuale
per la Sicurezza in sala operatoria messo a punto dal ministero
della Salute. Per rendere piu' sicuro l'intervento chirurgico e
la sala operatoria, il ministero ha approntato il Manuale con la
checklist elaborata dall'Oms e costruito nella logica del miglioramento
di qualità e sicurezza, per cui, "assume particolare rilevanza la
sua adozione e le conseguenti azioni di monitoraggio da parte di
Regioni, Province Autonome e Aziende sanitarie".
Fazio dopo aver inquadrato "la tematica del rischio clinico in quella
piu' generale del governo clinico, al centro di un ddl", ha definito
"la sicurezza in chirurgia, una priorita' di sanita' pubblica in
quanto le prestazioni chirurgiche richiedono azioni e comportamenti
pianificati e condivisi, finalizzati a prevenire l'occorrenza di
incidenti perioperatori e la buona riuscita degli interventi".
Un'attenzione particolare e' stata posta su una questione: l'identificazione
corretta del paziente. Anche se "l'errata identificazione" dei pazienti
o del sito chirurgico e' "un evento avverso, si legge nelle raccomandazioni,
poco frequente, quando si verifica puo' provocare gravi conseguenze
al paziente e compromettere seriamente la fiducia dei cittadini
nei confronti dei professionisti e dell'intero sistema sanitario".
Quindi, le direzioni aziendali devono adottare, "una politica aziendale
proattiva - recita il manuale - per la corretta identificazione
dei pazienti, del sito e della procedura".
La strategia aziendale per la "corretta identificazione" dei pazienti,
del sito e della procedura deve essere "formalizzata dalla direzione
aziendale con procedura scritta e comprendere il monitoraggio dell'implementazione,
anche tramite verifica della documentazione clinica o di sala operatoria".
Per quel che riguarda la sala operatoria, il manuale pone come raccomandazioni:
il numero di persone e professionalita' coinvolte, le condizioni
acute dei pazienti, la quantita' di informazioni richieste, l'urgenza
con cui i processi devono essere eseguiti, l'elevato livello tecnologico,
la molteplicita' di punti critici del processo che possono provocare
gravi danni ai pazienti.
Nel 2007 sono stati dimessi, in Italia, 4,6 milioni di pazienti
di cui quasi 3 milioni sono stati eseguiti in regime ordinario e
poco piu' di 1,6 milioni in day surgery: i volumi di attivita' chirurgica
rappresentano il 40,6% del totale dei ricoveri per acuti. Anche
se mancano dati per l'Italia, il tasso di mortalita' nelle sale
operatorie, in altri Paesi, e' compreso tra lo 0,4 % e lo 0,8 %
e circa la meta' degli eventi avversi sono considerati prevenibili.
89) - Meno decessi con ricostruzione post-mastectomia
Ricostruzioni immediate della mammella dopo mastectomia risultano
associate a riduzione della mortalità.
L'evidenza è stata pubblicata su Cancer da ricercatori canadesi
che hanno, inoltre, evidenziato che a beneficiare di quest'approccio
sono soprattutto le donne giovani.
In particolare, gli autori utilizzando dati contenuti nel registro
Seer (Surveillance, epidemiology and end results) dell'Us National
Cancer Institute, hanno riscontrato una più elevata sopravvivenza
in pazienti che dopo la mastectomia hanno subito repentinamente
ricostruzione mammaria rispetto a quelle con sola mastectomia (hazard
ratio= 0,74). I migliori risultati sono stati, inoltre, ottenuti
nelle donne di età inferiore a 50 anni (hr= 0,47).
Allo stesso modo, ricostruzioni autologhe sono associate a un aumento
della sopravvivenza in pazienti con meno di 50 anni (hr=0,58) e
di età compresa tra 50 e 69 anni (hr= 0,61).
"Riteniamo che l'associazione tra ricostruzione mammaria post-mastectomia
e decremento della mortalità sia principalmente attribuibile alla
presenza di fattori socioeconomici differenti e alla diversità nell'accesso
alle cure piuttosto che a inadeguate valutazioni delle caratteristiche
e della severità del tumore" ha dichiarato Michael Bezuhly della
Dalhousie University, Halifax in Canada. (L.A.)
Cancer 2009, 115, 4648-4654
90) - Dolore cronico, in alcuni casi anche di
entità grave, dopo gli interventi di carcinoma mammario.
Dopo terapia chirurgica in donne affette da carcinoma mammario,
la presenza di dolore persistente e di alterazioni sensitive possono
rappresentare problemi clinicamente significativi.
Queste le conclusioni pubblicate su The Journal of the American
Medical Association di alcuni ricercatori danesi alla luce di quanto
riferito in specifici questionari da circa 3.800 pazienti sottoposte
a chirurgia tra il 2005 e il 2006. In particolare, il 47% delle
intervistate ha riportato dolore, di cui il 13% di entità grave,
il 39% moderata e il 48% lieve.
I fattori associati con dolore cronico sono risultati età comprese
tra 18 e 39 anni (Odds ratio= 3,62) e radioterapia adiuvante (Or=
1,50) ma con chemioterapia (Or= 1,01).
In aggiunta, la dissezione linfonodale ascellare è apparsa associata
a probabilità più elevata di dolore rispetto alla rimozione dei
linfonodi sentinella (Or= 1,77).
Il rischio di disturbi sensitivi è risultato correlato a età giovanili
(Or= 5,00) e a dissezione linfonodale ascellare (Or= 4,97). Infine,
è stata riscontrata anche una significativa correlazione tra dolenzia
in altre regioni corporee e aumento del rischio di dolore nell'area
sottoposta a chirurgia. (L.A)
Jama 2009, 302, 18, 1985-1992
91) - Chemioterapia, meno vomito e nausea con
casopitant.
Un trial di fase 2, pubblicato su Cancer e coordinato da Steven
M. Grunberg presso la University of Vermont, Burlington, ha verificato
l'efficacia dell'aggiunta di casopitant a terapie con ondansetron
e desametasone nel prevenire episodi di vomito e nausea, conseguenti
a chemioterapia.
Oltre 700 pazienti sottoposti a chemioterapia sono stati randomizzati
a ricevere placebo oppure casopitant alle dosi di 50, 100 e 150
mg/giorno (1°-3° giorno) in aggiunta a ondansetron (1°-3° giorno)
e desametasone (1° giorno).
In sintesi, tutte le dosi di casopitant hanno fatto aumentare la
percentuale di pazienti con risposta completa (Rc), ossia assenza
di vomito, senso di disgusto e sospensione della terapia, rispetto
al gruppo controllo (Rc= 80,8; 78,5 e 84.2%, con 50; 100 e 150 mg,
rispettivamente vs 69,4%).
In aggiunta, con l'impiego di casopitant, l'incidenza di eventi
di vomito nei primi 5 giorni dall'inizio del trattamento chemioterapico
si è ridotta dal 23 al 10-16%. Infine, il farmaco ha mostrato un
buon grado di tollerabilità con un numero di eventi avversi paragonabili
al controllo (L.A.).
Cancer 15 oct 2009, early online pubblication
92) - Ca mammario: dubbi su screening a partire
dai 50 anni.
Lo screening mammografico per diagnosi precoci di cancro al seno
non andrebbe effettuato prima dei 50 anni.
Questa la principale raccomandazione contenuta nel recente aggiornamento
delle linee guida Uspstf (Us preventive services task force).
Fanno, però, eccezione le donne a elevato rischio di carcinoma mammario,
per le quali è consigliato di valutare, caso per caso, la necessità
di indagini prima di questa data.
Altrettanto innovativo un secondo punto contenuto nelle nuove linee
guida, secondo cui i controlli mammografici devono avere cadenza
biennale e non più annuale.
Alla notizia la comunità scientifica si è divisa in due schieramenti:
da un lato chi ritiene che, pur mantenendo gli stessi vantaggi diagnostici,
portando a 50 anni il momento in cui incominciare periodici controlli
mammagrafici, si ridurrebbero soprattutto ansia e risvolti psicologici
negativi conseguenti ai falsi-positivi e, dall'altro, molti oncologi
secondo cui le raccomandazioni Uspstf farebbero aumentare il rischio
di non diagnosticare in tempo molti casi di tumore al seno. "In
numerosi studi scientifici è stato dimostrato che lo screening mammografico
riduce significativamente l'incidenza di morte per carcinoma della
mammella nelle donne di età compresa tra i 40 e i 74 anni" ha commentato
Daniel B. Kopans, professore di Radiologia presso la Breast Imaging
Division del Massachusetts General Hospital di Boston.
"Le nuove indicazioni Uspstf, ignorando tutto ciò, faranno compiere
un passo indietro, di oltre 20 anni, rispetto ai progressi raggiunti
nell'ambito della salute femminile" (L.A.).
Annals of Internal Medicine 2009, 151, 10, 716-726
Sullo stesso tema allego un link utile per l’approfondimento
http://www.corriere.it/salute/sportello_cancro/09_novembre_17/mammografia-polemica-usa_95702d22-d397-11de-a0b4-00144f02aabc.shtml
93) - Folati e polimorfismi Mthfr responsabili
di Ca mammario.
Elevati livelli plasmatici di folati incrementerebbero il rischio
di cancro al seno in donne in cui è presente la variante allelica
677T del gene Mthfr (folate-metabolizing enzyme methylenetetrahydrofolate
reductase).
A stabilirlo è uno studio pubblicato su American Journal of Clinical
Nutrition che ha, per la prima volta, valutato l'influenza del contenuto
plasmatico di acido folico sul rischio di carcinoma mammario alla
luce di specifici polimorfismi del gene Mthfr.
L'indagine coordinata da Ulrika C. Ericson della Lund University
di Malmoe in Svezia ha previsto il reclutamento di 313 pazienti
affette da cancro al seno e di 626 donne sane, di età compresa tra
55 e 73 anni.
In breve, la concentrazione plasmatica di folati è risultata significativamente
più bassa in presenza del genotipo Mthfr 677TT, rispetto a quello
Mthfr 677CC. In donne con Mthfr 677T, alte concentrazioni di folati
sono associate a un aumento del rischio di tumore mammario (P=0,03).
In aggiunta, gli autori hanno osservato una correlazione positiva
tra livelli di folati e rischio di tumore mammario anche in donne
con genotipo Mthfr 1298AA, ma solo in presenza dell'allele 677T.
(L.A.) American Journal of Clinical Nutrition 2009, 90, 1380-1389
94) - Le donne che si ammalano di tumore rischiano
di essere abbandonate dai partner molto più degli uomini.
Si tratta di uno studio condotto negli Stati Uniti: si spera che
in Italia la situazione possa essere del tutto diversa.
Non è un risultato edificante per il genere maschile, quello emerso
da uno studio nordamericano: le donne che ricevono una diagnosi
di tumore o di sclerosi multipla vengono lasciate dai loro mariti
o compagni immediatamente dopo la diagnosi con una frequenza fino
a sei volte superiore rispetto agli uomini.
La ricerca è frutto di un’indagine promossa da Marc Chamberlain,
direttore del programma neuro-oncologico della Seattle Cancer Care
Alliance e professore presso la Scuola di Medicina della University
of Washington, e conferma prima di tutto un dato già emerso in studi
recenti: il tasso di divorzio per i pazienti oncologici è pari all’11,6%.
Si tratta di un dato nella media se si guarda anche al resto della
popolazione e che non desta, quindi, particolare interesse, ma se
si analizza una “differenza di genere” allora balza all’occhio una
disparità davvero sorprendente: il 20,8% delle donne che si ammalano
viene lasciato dal compagno, contro il 2,9% dei pazienti di sesso
maschile.
“Essere una donna è il più forte fattore predittivo di separazione
o divorzio dei gruppi di pazienti studiati” ha dichiarato Chamberlain
sulla rivista scientifica Cancer.
Lo studio ha anche evidenziato che quanto più lungo è stato il matrimonio
tanto più forte è il legame che resiste tra i coniugi in caso di
malattia
95) - IL 30% DEI PAZIENTI IN CHEMIOTERAPIA CONTRAE
UN’INFEZIONE
Il rischio di infezioni neutropeniche costituisce una minaccia in
più per i pazienti affetti da cancro e sottoposti a chemioterapia
in un momento in cui le energie fisiche e psichiche del paziente
dovrebbero essere dirette alla lotta contro la malattia primaria.
Secondo i risultati di un’ indagine paneuropea che ha coinvolto
pazienti ed infermieri, quasi un terzo dei pazienti (30%) ha riportato
un'infezione nel corso della chemioterapia, il 46% delle quali associate
a neutropenia o neutropenia febbrile.
Dall'indagine Preventing Febrile Neutropenia - Staying on Track
with Chemotherapy, è emerso che il 37% dei pazienti con un'infezione
deve ritardare o modificare la chemioterapia.
Per nove infermieri su dieci (92%) intervistati la prevenzione della
neutropenia febbrile e delle infezioni è molto importante per gestire
al meglio la chemioterapia dei pazienti.
Alla domanda relativa a quali fattori possono influire sulla chemioterapia,
quasi tutti gli infermieri (96%) hanno risposto che l'infezione
neutropenica può provocare un ritardo nel trattamento, con interruzioni
della chemioterapia e conseguenti ripercussioni sull'efficacia generale
della stessa (63%).
Sei infermieri su dieci ritengono che le probabilità di riuscita
di un trattamento oncologico possono risultare inferiori se la chemioterapia
deve essere modificata a causa di una neutropenia febbrile o di
un’infezione neutropenica, e più della metà degli infermieri concorda
sul fatto che riducendo la dose si può compromettere l'esito del
trattamento, anche se la dose viene corretta o aumentata in seguito
(56%).
L'indagine è stata condotta dall’EONS (European Oncology Nursing
Society) in nove paesi europei per conoscere gli orientamenti e
le problematiche relative a terapia oncologica e infezioni, nello
specifico neutropenia/neutropenia febbrile (NF).
"I pazienti oncologici spesso vengono sottoposti a una chemioterapia
intensa e frequente, e questo li rende vulnerabili a una neutropenia
grave o febbrile e alle sue conseguenze, tra le quali l'infezione.
I risultati dell'indagine indicano che il rischio di neutropenia
e le conseguenze che può avere sulle cure cliniche e sulla qualità
di vita dei pazienti devono essere considerati ancora più seriamente
- ha dichiarato Kay Leonard, membro del comitato direttivo dell’EONS
(European Oncology Nursing Society) - Nonostante l'ampia disponibilità
di trattamenti profilattici, un numero significativo di pazienti
continua a soffrire di neutropenia e delle sue conseguenze" ha aggiunto.
Per neutropenia si intende un livello eccessivamente basso di neutrofili
nell'organismo e rappresenta un effetto collaterale, comune e potenzialmente
pericoloso di alcune chemioterapie, che espone i pazienti oncologici
a un maggiore rischio di infezioni, talvolta fatali.
Per i casi ad alto rischio di neutropenia grave e neutropenia febbrile
è necessario il ricovero ospedaliero, mentre un normale trattamento
chemioterapico è programmato e avviene in day hospital: circa un
paziente su 10 ricoverato per neutropenia febbrile muore a causa
di questa patologia.
Un effetto secondario della neutropenia febbrile può essere un ritardo
nella somministrazione della chemioterapia prevista, che impedisce
ai pazienti di sottoporsi alla dose completa al momento giusto con
una potenziale compromissione dell'esito del trattamento.
96) - Tumore della mammella, trastuzumab poco
utile dopo antracicline.
In donne affette da cancro al seno con linfonodi ascellari positivi,
la somministrazione di trastuzumab al termine di chemioterapia adiuvante
a base di antracicline non produce significativi vantaggi in termini
di riduzione del rischio di recidive.
/> È quanto hanno pubblicato su Journal of Clinical Oncology ricercatori
francesi dell'Institut Gustave Roussy di Villejuif. Oltre 3mila
pazienti con carcinoma mammario operabile sono state randomizzate
a ricevere terapie chemioterapiche con antracicline con o senza
docetaxel.
Le pazienti affette da tumori Her-2 positivi sono state sottoposte,
in un secondo momento, a un regime terapeutico con trastuzumab (6mg/kg,
ogni 3 settimane) per un anno oppure semplicemente a osservazione
(gruppo controllo).
Al termine del follow-up durato 47 mesi, la somministrazione di
trastuzumab è risultata associata a una riduzione non significativa
del rischio di recidive pari al 14% (hazard ratio= 0,86).
É stata registrata, inoltre, un'incidenza di mortalità libera da
malattia a tre anni pari al 78% nel gruppo controllo e all'81% nelle
pazienti trattate con trastuzumab.
(L.A.) Journal of Clinical Oncology 2009, 16 november, early online
pubblication
97) - PEPE NERO E CURCUMA NELL PREVENZIONE DEL
TUMORE AL SENO
I composti contenuti nelle spezie potrebbero aiutare a prevenire
il cancro al seno. Nel pepe e nella curcuma, infatti, sono presenti
sostanze capaci di limitare la riproduzione delle cellule staminali,
che alimentano la crescita del tumore.
E' quanto hanno scoperto i ricercatori dell'University of Michigan
Comprehensive Cancer Center, che hanno posizionato la piperina e
la curcumina, rispettivamente derivate dalla pianta del pepe nero
e da quella quella della curcuma, in una coltura di cellule del
seno.
I ricercatori hanno osservato una diminuzione del numero di cellule
staminali nella coltura mentre le cellule normali non hanno subito
alcun effetto. Madhuri Kakarala, primo autore dello studio pubblicato
sulla rivista Breast Cancer Research and Treatment, ha rilevato
che si tratta della prima volta che un componente della dieta potrebbe
dimostrarsi capace di prevenire potenzialmente il cancro al seno
limitando il numero di cellule maligne.
Per prevenire il cancro al seno, vengono infatti di solito somministrati
il tamoxifene o il raloxifene anche se non tutte le donne scelgono
di assumere questi farmaci a causa dei costi o dell'alta tossicita.
Inoltre, questi farmaci sono progettati per intervenire sugli estrogeni,
fattori implicati in molti, ma non tutti, i tipi di cancro al seno.
Limitando invece il numero di cellule potenzialmente in grado di
alimentare il cancro al seno si può ridurre il rischio di insorgenza
senza disturbare il normale processo di differenziazione cellulare.
98) - Il cancro uccide meno
Nuove analisti sui tumori in Europa, sulla base dei dati dell’Organizzazione
Mondiale della Sanità, mostrano un costante declino della mortalità
tra il 1990-1994 e il 2000-2004.
I tassi di mortalità per tutti i tumori nell’Unione europea (Ue)
in questo periodo sono diminuiti del 9 per cento negli uomini e
dell’8 per cento nelle donne, con un forte calo soprattutto tra
le persone di mezza età.
Questo è quanto risulta da uno studio pubblicato sulla rivista scientifica
Annals of Oncology, che ha evidenziato come la percentuale nei 27
Stati membri dell’Ue sia passata, negli uomini, da 185,2 decessi
ogni 100mila abitanti/anno (periodo1990-1994) a 168 nel 2000-2004
e, nelle donne, da 104,8 a 96,9.
http://www.corriere.it/salute/sportello_cancro/09_dicembre_03/cancro-uccide-meno_02885b24-df63-11de-9ac1-00144f02aabc.shtml
99) - Più attenzione ai denti dopo le cure anticancro
La salute della bocca degli ex bambini malati va protetta dagli
effetti a lungo termine di radio e chemiotera. Le persone sottoposte
a radio e chemioterapia, infatti, hanno un rischio consistente di
incappare in problemi alla salute della bocca, specie se le cure
anticancro sono state ricevute da piccoli di meno di cinque anni.
Secondo una ricerca coordinata dai medici del St. Jude Children's
Research Hospital di Memphis, negli Stati Uniti, per gli ex bambini
malati di tumore aumenta il rischio di avere denti troppo piccoli
(microdonzia), mancanti (ipodonzia), con radici o smalto alterati,
denti che cadono oppure gengiviti e secrezione eccessiva di saliva
(xerostomia).
Nello specifico, i guai alla bocca sembrano associati a un’esposizione
a dosi di radiazioni almeno pari a 20 Gray e a farmaci antineoplastici
della famiglia degli agenti alchilanti. I risultati dello studio,
che ha confrontato i dati su 9.300 adulti sopravvissuti a forme
pediatriche di cancro e 2.951 controlli, sono stati pubblicati sulla
rivista Cancer .
100) - Integratori e steroidi anabolizzanti
per sviluppare i pettorali possono favorire anche la ginecomastia
e i tumori di mammella e prostata.
La crescita anomala del seno nell’uomo (la cosiddetta ginecomastia)
non è pericolosa, ma normalmente si osserva nei maschi adolescenti
o nelle persone che assumono specifici farmaci, come i gastroprotettori
o quelli prescritti nelle cure ormonali anticancro.
Negli adulti sani, queste crescite potrebbero invece essere il segnale
di qualche malattia più seria, come il tumore ai testicoli. O come
quello al seno, che seppure molto raramente, può colpire anche gli
uomini.
http://www.corriere.it/salute/sportello_cancro/09_dicembre_14/body-building-rischio-tumore-mammella-maschile_acef0d6c-e7d1-11de-8657-00144f02aabc.shtml
101) - IL GAMMA-TOCOFEROLO DEI PISTACCHI RIDUCE
IL RISCHIO DI CANCRO
- La frutta secca e' una potente alleata della salute non solo per
i benefici che apporta al cuore ma anche per la capacita' di tenere
lontano il cancro.
I pistacchi, in particolare, consumati ogni giorno, sarebbero in
grado di proteggere da alcuni tipi di tumore, soprattutto quello
al polmone, come dimostra uno studio statunitense condotto dalla
Texas Woman's University su un piccolo gruppo di volontari.
Nel corso dello studio, 36 volontari divisi in due gruppi hanno
seguito diete diverse: in un caso sono stati introdotti 68 grammi
di pistacchi nel menu quotidiano, nell'altro caso l'alimentazione
abituale, simile a quella del primo gruppo ma senza frutta secca,
non ha subito cambiamenti.
L'effetto positivo dei pistacchi, valutato nell'apporto di gamma-tocoferolo,
e' stato visibile gia' dalla terza settimana di controllo. Il gamma-tocoferolo
e' contenuto in altri alimenti, come noci, noci pecan, germogli
di soia e olio di mais.
I ricercatori hanno tenuto a puntualizzare che una dieta 'arricchita'
di frutta secca non mette necessariamente a rischio la linea: con
55 grammi al giorno di pistacchi, infatti, si ha un apporto di gamma-tocoferolo
che puo' aiutare a tenere lontano il cancro senza modificare significativamente
il peso corporeo.
102) - Tumori: spray alla cannabis riduce il
dolore nei malati di cancro.
Spray alla cannabis riduce di un terzo i livelli di dolore nei pazienti
malati di cancro. E' quanto emerge da uno studio condotto da un
gruppo di ricercatori dell'Università di Edimburgo e pubblicato
sulla rivista Journal of Pain and Symptom Management.
I ricercatori hanno testato lo spray su 177 pazienti. Hanno così
scoperto che i livelli di dolore sono scesi del 30% rispetto ai
malati di cancro che non hanno usato lo spray, nonostante non avessero
assunto altri farmaci come la morfina.
Lo spray è stato sviluppato in modo da non influenzare lo stato
mentale dei pazienti. Inoltre, i ricercatori hanno però detto di
non giustificare chi fuma la cannabis in quanto essa può aumentare
il rischio di cancro.
Lo spray agisce attivando le molecole nel corpo, chiamate recettori
dei cannabinoidi, che possono fermare i segnali nervosi inviati
al cervello dal sito del dolore. Lo spray alla cannabis chiamato
'Savitex' è già stato prescritto per dare sollievo ai pazienti con
sclerosi multipla.
"Questi primi risultati sono molto promettenti e dimostrano che
i farmaci a base di cannabis possono fornire un trattamento efficace
per le persone con forti dolori", ha detto Marie Fallon dell'Università
di Edimburgo. "La prescrizione di questi farmaci - ha concluso -
può essere molto utile nella lotta contro il dolore debilitante,
ma è importante capire la differenza tra l'uso medico e quello ricreativo".
103) - Per donne che bevono alcol rischio recidiva
cancro al seno.
Bere anche solo tre bicchieri di vino a settimana aumenta del 30%
il rischio di sviluppare un cancro al seno dopo averne avuto uno
già prima.
Al contrario le donne che hanno limitato il consumo di alcol hanno
meno probabilità di svilupparne un altro. Almeno questo è quanto
emerso da uno studio condotto da un gruppo di ricercatori del Kaiser
Permanent Division of Research di Oakland (in California) in uno
studio presentato negli USA in occasione del Simposio Santo Antonio
sul cancro al seno.
Le donne in sovrappeso e in post-menopausa sono particolarmente
sensisibili agli effetti dell'alcol sulle recidive. ''Le donne a
cui è stato precedentemente diagnosticato un cancro al seno - ha
detto Marilyn Kwan, scienziata che ha partecipato allo studio -
dovrebbero prendere in considerazione di limitare il consumo di
alcolici a meno di tre porzioni alla settimana soprattutto le donne
in post menopausa, in sovrappeso o obese''.
Per arrivare a queste conclusioni i ricercatori hanno esaminato
1.897 pazienti sopravvissuti al cancro al seno diagnosticato nelle
sua prima fase di sviluppo tra il 1997 e il 2000.
I ricercatori hanno poi confrontato l'eventuale ritorno del tumore
al seno nelle donne che hanno bevuto alcolici e nelle donne che
si sono astenute.
In pratica, i soggetti hanno compilato un questionario dove sono
state invitate a scrivere le loro abitudini di consumo di vino,
birra e altri alcolici nell'ultimo anno. Sono state poi controllate
tutte le cartelle cliniche.
Negli otto anni in cui sono state monitorate le pazienti, i ricercatori
hanno registrato ben 349 recidive del cancro al seno e 332 decessi
per cancro o altre cause. Tra le 'bevitrici' - che costituivano
il 50% di tutte le pazienti coinvolte - il vino è stata la bevanda
alcolica più scelta per il 90%. Il liquore è stato scelto invece
dal 43% e la birra dal 36%.
Ebbene, dall'analisi dei dati è emerso che le donne che hanno bevuto
tre o quattro drink a settimana - insieme a quelle in post-menopausa,
in sovrappeso o obese - avevano un 30% di rischio in più di sviluppare
di nuovo il tumore.
Il tipo di bevanda alcolica scelta non sembra aver influenza le
percentuali di recidiva.
Il consumo di alcol non è stato però associato al rischio di morte.
''Questi risultati - ha concluso Kwan - possono aiutare le donne
a prendere decisioni più consapevoli sulle scelte di stile divita
dopo una diagnosi di cancro al seno''.
104) - Ca mammario, tamoxifene più efficace
con antracicline.
In donne in postmenopausa affette da carcinoma mammario endocrino-responsivo
e con linfonodi positivi un approccio terapeutico basato su chemioterapia
Caf (ciclofosfamide, doxorubicina, fluorouracile) e tamoxifene risulterebbe
più vantaggioso rispetto a quello con solo tamoxifene.
È quanto emerso da un trial apparso su Lancet. L'indagine ha riguardato
1.477 pazienti sottoposte al trattamento con tamoxifene; con chemioterapia
Caf seguita da tamoxifene (Caf-T) oppure Caf e tamoxifene (Caft).
Dopo 13 anni di follow-up, 637 hanno mostrato episodi di sopravvivenza
libera da malattia (tamoxifene: 179 eventi in 361 pazienti; Caf-T:
216 eventi in 566 pazienti; Caft, 242 eventi in 550 pazienti).
In sintesi, terapie di combinazione antracicline-tamoxifene sono
risultate più vantaggiose rispetto a quelle con solo tamoxifene
in termini di sopravvivenza libera da malattia (hazard ratio= 0,76)
e solo marginalmente per la sopravvivenza totale (hr= 0,83). In
aggiunta, l'approccio Caf-T è apparso superiore a quello Caft anche
se non statisticamente significativo, sia in termini di sopravvivenza
libera da malattia (hr= 0,84; p=0,061) sia di sopravvivenza totale
(hr= 0,90; p=0,309).
Neutropenia, stomatiti, tromboembolismo, scompenso cardiaco e leucemia
sono risultati più frequenti con la terapia di combinazione rispetto
al solo tamoxifene (L.A.).
The Lancet, 2009, 374, 9707, 2055 - 2063
105) - LE ATTIVITÀ ANTI-CANCRO DELLA CURCUMA
Per lunghi anni la ricerca sulla prevenzione dei tumori tramite
la dieta è stata considerata una scienza minore, sospetta di essere
indotta più dalle convinzioni ecologiche che da evidenze scientifiche.
Non tutte le critiche erano prive di fondamenti. Affermazioni come:
“gli indiani hanno meno tumori al seno, deve essere la dieta“ confondono
la correlazione con la causa. E’ vero infatti che gli indiani seguono
una dieta diversa dalla nostra, ma sono anche più poveri, vanno
meno in macchina, non fanno le ferie e molte altre cose ancora.
E non è facile passare da queste osservazioni all’individuazione
delle cause della ridotta incidenza tumorale. Per fortuna il lavoro
duro, lontano dai riflettori dell’interesse pubblico di molti scienziati
seri ha finalmente portato evidenze chiare sul rapporto tra dieta
e prevenzione dei tumori. Ne stiamo cogliendo i primi frutti (bisogna
dire proprio così …) ora che per molte sostanze contenute nella
dieta si stanno accumulando dati scientifici che ne evidenziano
il meccanismo d’azione.
La prima lezione che abbiamo imparato da questi studi è che una
via maestra della prevenzione dei tumori è l’attività anti-infiammatoria
di molte delle sostanze testate. L’infiammazione cronica o ripetuta
genera un microambiente favorevole alla crescita tumorale e contribuisce
addirittura alla formazione delle metastasi. La continua assunzione
di sostanze con attività anti-infiammatorie può quindi ridurre il
rischio di sviluppare tumori, ne può rallentare la crescita e bloccare
la disseminazione delle cellule maligne. Un esempio per quest’attività
è dato dalla Curcumina, sostanza gialla contenuta in un tubero indiano
(la radice gialla) che viene usato nel Curry.
La Curcumina sembrerebbe la più forte tra le sostanze dietetiche
con attività anti-infiammatorie ed anti-tumorali. Studi molecolari
hanno evidenziato che la Curcumina blocca l’attivazione di un fattore
presente nelle nostre cellule che scatena la reazione infiammatoria.
Lo stesso fattore, che prende il nome di Nuclear Factor Kappa B
(NF?B), è anche responsabile di bloccare il programma di suicidio
della cellula. Cellule severamente danneggiate o mutate dovrebbero
subire morte programmata, un meccanismo di difesa contro la degenerazione
delle cellule, ma l’NF?B blocca il programma permettendo la proliferazione
di cellule maligne. Inibendo l’NF?B, la Curcumina porta le cellule
maligne al suicidio e blocca l’infiammazione.
Nei nostri laboratori presso l’Istituto Nazionale per la Ricerca
sul Cancro di Genova in collaborazione con la Professoressa Beatrice
Bachmeier dell’Università di Monaco in Baviera, abbiamo recentemente
dimostrato che questa doppia attività, pro-suicidio e anti-infiammatoria,
riduce significativamente la formazione di metastasi da cellule
di carcinoma mammario nel topo.
Questi studi, finanziati dal Minstero della Salute e dalla Regione
Liguria nonché dalla Fondazione CARIGE, hanno anche permesso di
individuare i meccanismi molecolari a valle del famoso fattore NF?B
applicando le più avanzate tecnologie che ci permettono di studiare
l’effetto di una sostanza sulla totalità dei nostri geni. Le più
recenti analisi “genomiche” indicano però che anche la Curcumina,
come tutti i farmaci anti-tumorali trova un limite nella resistenza
della cellula tumorale.
In un lavoro appena accettato per la pubblicazione sulla rivista
Molecular Cancer dimostriamo che esistono cellule resistenti agli
effetti anti-suicidio della Curcumina. La resistenza è data dal
gene ABCA1 che produce una proteina la cui funzione è di espellere
il colesterolo dalla cellula. Facendo tacere (o silenziando, come
si dice in gergo tecnico) il gene ABCA1 le cellule diventano nuovamente
sensibili agli effetti della Curcumina. La conoscenza del meccanismo
di resistenza ci permette di valutare il potenziale beneficio che
un paziente può avere dalla terapia.
I ricercatori oncologici si sono resi conto che la lotta ai tumori
richiede terapie individualizzate, tagliate sulle caratteristiche
molecolari del tumore e sulle caratteristiche genetiche del paziente.
Possiamo allora estendere il concetto anche alla prevenzione con
sostanze dietetiche: avranno un effetto se impiegate per una prevenzione
mirata.
106) - SCOPERTO UN MODO DEI TUMORI PER BLOCCARE
IL SISTEMA IMMUNITARIO
Uno studio dei ricercatori dell'ospedale San Raffaele di Milano,
pubblicato sulla rivista biomedica 'Nature Medicine', ha evidenziato
che i tumori riescono a inibire il funzionamento del sistema immunitario
anche attraverso alcune molecole derivate dal colesterolo.
La scoperta, realizzata da una equipe guidata da Vincenzo Russo
dell'Unita' di terapia genica dei tumori dell'istituto con il contributo
del gruppo di Catia Traversari di Molmed e di ricercatori dell'universita'
di Milano e del Karolinska Institutet di Stoccolma, potrebbe aprire
la strada a nuove terapie contro i cosiddetti 'big killers', i quattro
tumori responsabili ogni anno del maggior numero di decessi.
La scoperta di questa ulteriore modalita' con cui i tumori paralizzano
le 'sentinelle' del corpo umano ha permesso di individuare anche
le procedure terapeutiche che, bloccando questo meccanismo, ripristinano
il funzionamento del sistema immunitario, che di per se' e' in grado
di riconoscere ed eliminare le cellule neoplastiche.
Nello specifico, gli scienziati hanno scoperto che molti tumori
crescono indisturbati grazie alla produzione di ligandi di 'Lxr',
molecole derivate dal colesterolo, che imprigionano alcune cellule
del sistema immunitario, impedendo loro di attivare il processo
di eliminazione delle cellule cancerose. La ricerca ha identificato
delle molecole, utilizzate in medicina per diminuire il colesterolo
plasmatico, che sono in grado di bloccare la produzione di metaboliti
del colesterolo, consentendo la cura di alcuni tumori nel modello
animale.
I ricercatori hanno successivamente verificato che l'utilizzo di
questi farmaci permette di riattivare in modo regolare la risposta
del sistema immunitario, impedendo anche ai tumori di inibire il
sistema immunitario.
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Comment
- A history of smoking increases a woman's risk for
developing breast cancer" - Ivana T. Croghan, Mayo
Clinic College of Medicine, Rochester, Minnesota, USA
"Our study demonstrates that a history of smoking increases a woman’s risk for developing breast cancer. The difference between this study and many other previous studies is our definition of smoking. Most previous studies have assessed smoking status only at the time of breast cancer diagnosis. As a result, former smokers may have been misclassified as never smokers and cigarette exposure underestimated. Our study assessed any history of smoking prior to or at the time of the breast cancer diagnosis allowing us to estimate lifetime cigarette exposure. It has been theorized that smoking affects breast cancer development via the estrogen metabolism cycle. The findings from our study provide new evidence that avoidance of smoking or stopping smoking as soon as possible may reduce breast cancer risk. All women who smoke should be advised to stop smoking and provided behavioral and pharmacologic treatment in accord with clinical practice guidelines"
(Comment on:
Croghan IT et al.: "The role of smoking in breast cancer development: an analysis of a Mayo Clinic cohort", Breast J. 2009 Sep-Oct;15(5):489-95)
Clinical Guidelines
- "Updated NCCN Guidelines for Breast Cancer Discourages Prophylactic Mastectomy in Women Other Than Those at High Risk" - The National Comprehensive Cancer Network, USA -
www.nccn.org
- "Screening for Breast Cancer: U.S. Preventive Services Task Force Recommendation Statement" - Ann Intern Med Nov 17, 2009 151:716-726 - U.S. Preventive Services Task Force
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