Narrare la malattia e curarsi con un blog Fuori di Seno
di Salvo Catania e Nadia Masi
Marzo 2015
Arthur W.Frank, sociologo e narratore del
proprio vissuto di malattia, nel saggio The wounded
storyteller (1995), rileva che quando una persona si ammala
gravemente è ferita non solo nel corpo, ma anche nella VOCE,
cioè rischia di non essere più capace di esprimersi
vivendo un senso di smarrimento , come se avesse perso la
bussola della vita, ogni riferimento, l’intera mappa che
fino a quel momento ne ha guidato l’esistenza.
2006
Mai come in questo periodo la medicina ha
subito la sua potenza tecnologica, e mai come ora ha
mostrato una crisi profonda di credibilità da parte dei
pazienti. Che cosa è accaduto del rapporto tra il medico e
il paziente? Che cosa rende l'incontro medico il luogo di un
dialogo frammentario e frustrante? Perché la medicina non
risponde alle domande più concrete che i pazienti pongono?
Il medico pretende di imporre la sua razionalità e di
catalogare le credenze della medicina popolare come
superstizione. Tuttavia, così facendo, impedisce di
comprendere la narrazione del paziente, le sue ragioni
profonde.
Anne Hunsaker Hawkins in “Reconstructing
illness.Studies in pathography “ (1999) definisce “patografie”,
le biografie dei vissuti dei pazienti , che narrano la loro
storia e le difficoltà incontrate . In tal modo finiscono
per raccontare come comprenderle e superarle. Le patografie
sono delle vere storie di avventura, perché la persona che
si ammala, viene strappata al proprio mondo, noto e
ordinario, per essere catapultata in quello straordinario,
ignoto e pieno di ostacoli, confuso e pieno di pregiudizi,
dove si lotta per la sopravvivenza.
Quanto fosse
importante la narrazione della malattia dalla parte del
paziente per la verità non ne ero ancora del tutto
consapevole neanche quando nel 1989 pubblicai con la
prefazione di U.Veronesi “il CARCINOMA MAMMARIO DALLA PARTE
DELLA PAZIENTE”, su centinaia di lettere indirizzate a me
dalle mie pazienti. Allora c’era la “condivisione” con il
medico, ma mancava quella con le compagne della stessa
devastante avventura e non mi resi conto di avere pubblicato
forse il primo documento in Italia di Medicina Narrativa.
Narrare
l’esperienza di malattia è una strategia che può aiutare il
paziente a rimettere insieme "i suoi pezzi", le parti di
quel sé che la malattia ha spesso prepotentemente
frammentato. L’atto narrativo, dalle preziose
potenzialità terapeutiche, è però reso possibile non solo
dal soggetto che racconta la malattia, ma anche da quello
che la ascolta: il medico, lo specialista o l’operatore
sanitario.
Allo scopo di
facilitare la diffusione di questi racconti e favorirne la
diffusione addirittura in tempi reali e con un numero
potenzialmente illimitato ed eterogeneo di persone, nel
2010 ho aperto questo forum, che attualmente conta quasi
6000 commenti con circa 700.000 visitatori
http://www.medicitalia.it/blog/senologia/44-calcola-rischio-tumore-seno.html
La narrazione
virtuale condivisa ha provocato una positiva ed
emozionante verifica ” del virtuale con il reale”, tramite
un convegno ( I° Incontro nazionale delle Ragazze
Fuoridiseno”), che si è tenuto a Milano il 21 Novembre
2013
http://www.senosalvo.com/ragazzefuoridiseno/menu_ragazzefuoridiseno.htm
La necessità di
confronti reali sarà seguita da altri incontri programmati
a breve per “ascoltare” dal vivo la narrazione condivisa
ed appresa da una vera e propria tecnica di BLOGTERAPIA.
Fortunatamente
le nostre iniziative non sono isolate dopo l’avvento della
rivoluzione digitale del terzo millennio.
Tra queste mi
preme citare le iniziative di Giorgia Biasini (anche con
il libro “Scriverne fa bene “2013 ), e che io avevo
scoperto perchè tra le fondatrici di “Annastaccatolisa”, blog
che avevo seguito quasi ogni giorno sino alla morte di Lisa
Quanto ho
scritto è il punto di vista “dalla parte del medico”.
Sicuramente maggior valore acquista il
“parere dalla parte del paziente” e pertanto allego qui di
seguito quello di Nadia Masi, ragazza fuori di seno.
Narrare la malattia e curarsi
con un blog Fuori di Seno
di Nadia Masi
Approdare ad un blog che parla di tumore al
seno non è un passo così scontato, né un istinto primordiale
scatenato dallo scoprire di avere un cancro. C’ è un
momento, che forse sono giorni e a volte settimane in cui
tutto si ferma a quell’istante in cui realizzi solo questo,
solo l’istante distaccato dal passato e dal futuro, che poi
è già il domani. Lo stesso domani in cui magari hai
programmato una riunione di lavoro, una serata al cinema, o
semplicemente di fare un dolce per tuo figlio, mentre si
alterano i significati di una routine in cui tutto è
profondamente già cambiato.
Ma è davvero così?
Dopo aver preso “due schiaffi nel muso”
dalle cattive novelle, come si dice dalle mie parti in
Maremma, lasciata tramortita a decantare nella mia
disperazione, mi sono preparata per il lancio del paracadute
catapultandomi a ruota libera sul web, atterrando sul
portale Medicitalia con tanto di zavorra riempita di
terrorizzanti paure, su cui la mia fantasia aveva lavorato
per un po’, dopo l’istologico del secondo intervento.
Nella risposta alla richiesta di consulto, il
dott. Catania, sottolineava quanto fossero fuorvianti le
indicazioni che avevo dato, gravandomi di possibili
complicanze (metastasi) di cui non avevo ancora la minima
certezza. Era la prima volta che almeno in sede di
consulenza un medico perdesse tempo a spostare l’attenzione
su altro (cosa poteva esserci di più urgente che capire in
che direzione stavano andando le mie cellule?) e mi
proponesse di condividere la mia esperienza con altre donne
in uno spazio virtuale. Per la verità mi invitava a dare una
sbirciatina su un blog del portale chiamato “Ragazze fuori
di seno”, affinché, istologico a parte, diventassi cosciente
delle mie paure e di quanto esse (e non propriamente la
malattia) potessero essere le vere manipolatrici della mia
vita.
Sono entrata nel blog dal nome così audace,
come Alice nella buca della conigliera, scivolata giù senza
alcuna protezione, senza pensare alle conseguenze. L’ho
fatto nella consapevolezza che ormai l’informazione arriva
anche (o forse prima ) dalla rete oltre che dai medici,
spesso nel modo più rischioso, senza filtri e senza
controllo. Ma non è sempre così. Quando ho iniziato a
leggere i post del forum delle Ragazze fuori di seno ho
capito che non c’era niente di particolarmente deviante in
quello che provavo, che alla fine la vita scorreva nella sua
semplicità di sempre proprio mentre capitava di ammalarsi.
Il blog aveva già un numero consistente di post quando mi
sono inserita, 3165 per l’esattezza, ma al primo approccio
non ho avuto l’accortezza di leggerli uno ad uno, né la
pazienza…. A me interessava come prima cosa conoscere
particolari legati agli istologici per poterli paragonare
con il mio, capire quante chance potessi accaparrarmi
attraverso altre storie, neppure avessi a che fare con dei
cloni, ma soprattutto volevo esternare quelle maledette
paure per poter avere riscontro e smentire o confermare le
mie – ad oggi ne sono convinta- ossessioni. Un lavorone! Ero
niente più che meno una bocca da sfamare. Avevo notato che
gli utenti che partecipavano erano quasi sempre gli stessi,
prevalentemente donne con un vissuto di tumore al seno, ma
non solo. Con loro interagivano familiari ed anche
professionisti del mondo sanitario, comunque un numero
piuttosto contenuto, rispetto ai gruppi dei social
network dedicati alla malattia che frequentavo già da
diverso tempo sui quali impegnavo ore delle mie giornate
concluse puntualmente con degli effettivi bilanci in base a
quante storie di speranza o di condanna riuscivo a
ricostruire… Il che non è facile sui gruppi perché spesso i
post ti portano lontano del tema trattato, nella modalità
botta e risposta che ricorda le short answers della
lingua inglese. Tra le righe si insinuano in maniera
pericolosa, se non hai ancora imparato a gestirle, tutte le
sfumature della malattia, e capita di perdercisi così come
di perdere il focus dell’argomento. Il valore della
condivisione lo si percepisce anche nei frammenti di
scrittura, ma a volte nella velocità di un social non
si riesce a ruzzolare con la lentezza necessaria in quel
pozzo profondissimo scavato dalle emozioni e seppure
conservando l’impronta lasciata -che dir si voglia – da un
contatto umano si ha come la sensazione che quanto appreso
scivoli via insieme alla valanga di post di cui il giorno
dopo non trovi probabilmente neppure più la pagina.
Il forum ha invece le caratteristiche di un
ambiente virtuale creato come collettore e punto di incontro
non solo tra le donne che vivono e condividono i loro
percorsi di cura, con tutte le fasi connesse, ma anche tra
medici, psicoterapeuti ed altri professionisti sanitari che
dialogano per dare risposte, per confrontarsi, o
semplicemente per osservare e comprendere il senso del
proprio lavoro “…Ho trovato in
questo blog tanta umanità, in tutte le sue declinazioni. Ci
sono dentro tante emozioni, alcune più piacevoli, altre
molto dolorose. E, siccome siamo tutti sullo stesso Bus, ho
trovato anche tanti esempi in Persone che affrontano delle
grosse difficoltà, e che mi insegnano come si possa fare,
ognuna a modo suo. Per me è anche una grande occasione di
apprendimento, perché nessun libro o relatore potrà mai
insegnarmi quello che in questo annetto insieme sto
imparando da Voi. E qualcuna di voi sa anche che il vostro
modo di affrontare la vita (di cui l'esperienza oncologica è
un pezzetto) ha aiutato anche persone che non vivono la
stessa esperienza a sbloccarsi da situazioni difficili,
grazie al vostro esempio…”
Quella lentezza (FESTINA LENTE) l’ho dunque
trovata qui. E l’ho trovata assieme alla saggezza, alla
presenza e all’umiltà, all’attenzione per i dettagli dl un
presente, al quale se riesci a rimanervi ancorata, la paura
non può spingerti troppo oltre, se non a trovare una dimora
in te stessa.
Florence Nightingale,
la persona che ha dato più prestigio alla categoria degli
infermieri a metà del XIX secolo scrisse: ” Spesso i
pazienti soffrono di cose ben diverse da quelle indicate
sulla loro cartella clinica. Se si pensasse a questo, molte
loro sofferenze potrebbero essere alleviate”. Ecco, da
ex paziente posso dire che se c’è una cosa che ho capito
attraverso la straordinaria generosità delle Ragazze è che
Curare significa prima di tutto comprendere le parole che
spesso trovano così poco spazio nei colloqui con i medici e
sembrano rubare tempo alle spiegazioni più o meno esaurienti
delle terminologie. Parole che condannano, parole che
liberano, parole che salvano, ma ogni caso parole che
contano…oh se contano! Specialmente quando siamo in grado di
rivelarle a noi stessi.
Nel blog c’è un bisogno sottostante allo
scrivere ed è quello di diventare narratrici di una storia.
Scrivere di sé, “scriverne” è un vero e proprio processo
evolutivo per l’opportunità che la scrittura offre di fare
chiarezza, per il senso di sollievo che dona la
condivisione, per la motivazione e l’orientamento nella
difficile impresa di dover affrontare un cancro perché le
persone malate sono ferite non solo nel corpo, ma anche
nella voce. “Salve a tutti, sono F.
ho concluso il mio percorso lunedì facendo l'ultima chemio,
dopo otto mesi duri duri duri sono arrivata finalmente in
vetta a quella che mi sembrava una montagna altissima da
scalare. Ora mi sono seduta per un attimo, ho riposato un
po’ ammiro il panorama... cosa vedo? ho deciso di scriverlo
qua visto che si parla di empatia e mi sento di dire che in
tutta la mia vicenda l'empatia, anzi io dico l'amore è stata
la cosa che ha lasciato una traccia profonda in me. Guardo e
rivedo la mia angoscia, la mia disperazione, mi sentivo
morta, ero già morta, sotto shock, incapace di occuparmi
della mia famiglia, dei miei due bimbi piccolissimi, non
capivo, cercavo spiegazioni e rassicurazioni. E’ stato un
periodo orribile. Mi sono aggrappata a questo che poi è
diventato un AMA (bellissima parola) , le esperienze delle
altre mi sono state preziosissime, soprattutto mi colpiva il
modo di affrontare un evento così drammatico con grande
dignità , mi è servito molto l'invito a vivere nel presente,
che è un pò quello che tutti , malati e non si dovrebbe
fare…”
Questa evoluzione sul blog è ben evidente
perché ha una sua cronologia e i post si susseguono con una
numerazione e con una data, un po’ come le giornate di un
diario. Una sorta di spazio integrativo ai luoghi di cura
fisici, ed in qualche modo più intimo, in cui condividere,
trovare conforto ma anche conoscere, apprendere, riflettere.
Ogni utente ha creato un suo avatar personalizzandolo a
propria immagine e somiglianza; non si pubblicano foto o
video personali (tranne qualche eccezione per eventi o
incontri ufficiali), c’è un forte senso della privacy che
comunque stimola di più l’immaginazione grazie alla quale
ognuno identifica nel blog un proprio luogo ed un
significato squisitamente personale. Si segue la vita nel
suo ordine caotico mescolando stati d’animo e riflessioni in
un unione apparentemente corale, ma in grado di conservare e
tutelare ciascuna individualità; un archivio di emozioni, di
storie, di nozioni e consulti medici a cui si può fare
riferimento in qualsiasi momento, sperimentando
conversazioni che diventano vere e proprie comunità
terapeutiche, ma anche metodi nuovi, credo, di comunicare
con i pazienti perché la condivisione e l'empatia si
sviluppano con una capacità elastica e si instaurano
quasi automaticamente divenendo un puntuale e gradito
appuntamento. “…. la solidarietà fra pazienti è senza
dubbio un fenomeno che esiste almeno da quando i "pazienti"
stessi esistono! :-) La novità sta in questo contesto e
nell'ampiezza della piattaforma attraverso la quale
esprimersi ... come una piovra con mille tentacoli ci
appropriamo degli spazi a disposizione quasi a voler segnare
il nostro territorio. Abbiamo fame di parole, sete di
solidarietà e di sorrisi, ...ci nutriamo di tutto ciò per
ri-trovare il piacere della vita quotidiana..”
Scrivere su uno spazio condiviso richiede di
intraprendere un percorso a cui si accede da strade diverse,
prodotto di una scelta per cui sai di giocare alcuni aspetti
della tua esistenza, ma anche di quella di chi ti sta
vicino. Si incontrano altre vite e si sceglie di conoscerle
o non conoscerle, di viverle a pieno o di rimanerne
distaccati; si guadagna del tempo e così facendo anche della
salute dicendosi cose che, forse, fuori dalla malattia, non
ci saremmo mai detti con un senso di responsabilità e di
fiducia nutrite dalla speranza ma anche dal dolore. Per
esprimere questo concetto uno psicologo del blog si rivolge
a delle donne appena iscritte con queste parole: "Educarsi
a non aver paura" è un obiettivo per persone MORTE. I morti
non hanno paura, non soffrono, non sono tristi. Noi siamo
VIVI. Voi siete VIVE. Lo hanno espresso molto meglio di me
le Donne Straordinarie ("Ragazze fuori di seno", RFS) che vi
hanno accolto a braccia aperte sul nostro Bus. E noi VIVI
abbiamo paura, siamo tristi, ci arrabbiamo, sbagliamo,
abbiamo brutti pensieri, ricordi dolorosi, e facciamo
previsioni negative. E altre volte ci rassicuriamo, siamo
allegri, sereni, prendiamo decisioni sagge, pensiamo belle
cose, ricordiamo momenti intensi ed importanti, costruiamo
il nostro presente (e quindi il nostro futuro)”.
Per quanto mi riguarda in questa esperienza
vissuta nel ruolo di utente blogger rendo merito alla
capacità introspettiva donata dalla malattia che mi ha
permesso di lavorare su alcune cose in sospeso utilizzando
lo strumento che più mi è familiare da quando sono bambina:
la scrittura. Attraverso essa ho corso rischi inimmaginabili
ripercorrendo tappe della malattia, ma soprattutto della mia
vita, andando, talvolta, tanto a fondo da aver timore di
rompere l’equilibrio di speranza di coloro che avrebbero
letto. Non so se sia mai successo, ma di sicuro in ciascuna
testimonianza c’è una memoria che si conserva permettendo
anche nella drammaticità degli eventi di ripercorrerla per
intervenire sulla nostra vita, lavorando sulla complessità
del pensiero e modificando la percezione di noi stessi per
non pretendere di più di quello che siamo in grado di avere,
ma con il coraggio di chi prova a cambiare il pezzetto di
mondo che gli è dato .
“ Noi siamo le storie….. Siamo il
prodotto di tutte le storie che abbiamo ascoltato e vissuto,
e delle tante che non abbiamo sentito mai. Hanno modellato
la nostra visione di noi stessi, del mondo e del posto che
in esso occupiamo” citava Daniel. Taylor, ma
nessuno, conosce il significato della salute come chi è
stato malato. Nessuno, nemmeno i medici. La scienza non può
descrivere l’essenza che siamo, né quello che sentiamo. Le
persone sì’. Nel momento in cui si perde di vista la
destinazione, le emozioni ci riconducono a noi. Le emozioni
dunque, le nostre e quelle che percepiamo da e attraverso
gli altri sono una bussola per ritrovarsi. E questo può
accadere anche virtualmente consentendoci di assorbire tutto
quello che di più tangibile abbiamo intorno. E le storie lo
sono indipendentemente dalla modalità con cui vengono
apprese, lette, ascoltate. La medicina istituzionale non
può non tener conto di questi nuovi strumenti di come un
rapporto asimmetrico come quello tra medico e paziente possa
allo stesso tempo favorire una simmetria di pensiero
attraverso un flusso di emozioni che passa al di fuori del
tempo, del luogo (anche se virtuale) e del ruolo che
rivestiamo fino a diventare una realtà obiettiva che
rivoluziona la stessa relazione. In un rapporto vissuto in
“lontananza”, i meccanismi che sviluppano empatia ci portano
a semplificare molto quello che la scienza cerca di spiegare
con teorie ed esperimenti, ma è pur certo che le parole
scritte da uno sconosciuto assumono valore tanto grande
quanto è soggettivo l’ambito della condivisione. Le parole
restano e anche se scatenassero le “paure più paurose
“ oppure i “sollievi più sollevanti”, per riprendere
una simpatica citazione di uno psicologo del blog, avremmo
a che fare con qualcosa che smuove le nostre singole realtà.
Anche su internet.
Nadia Masi, alias Nadine, Ragazza fuori di seno