1) - Carcinoma duttale in situ, cure long-term
I risultati dello studio UK/Anz Dcis (Regno Unito, Australia e Nuova Zelanda
cancro mammario duttale in situ), pubblicato sul Lancet nel 2003 e condotto
da Joan Houghton, del dipartimento di Chirurgia della Royal free and university
college medical school, Londra, avevano mostrato come la radioterapia fosse
in grado di ridurre nuovi eventi mammari di carcinoma ipsilaterale invasivo
e duttale in situ, mentre non era emersa alcuna utilità ascrivibile al trattamento
con tamoxifene.
L'aggiornamento degli esiti della ricerca - coordinata da Jack Cuzick, del
Cancer research UK dell'università di Londra e pubblicata sempre sul Lancet
- dopo un follow-up mediano di 12,7 anni conferma il beneficio a lungo termine
della radioterapia ma riporta anche un beneficio di tamoxifen nel ridurre
nuovi eventi locali e controlaterali nelle donne con carcinoma duttale in
situ (Dcis) dopo chirurgia locale completa.
Fra maggio 1990 e agosto 1998, 1.701 donne sono state randomizzate a trattamento
con radioterapia e tamoxifen, solo radioterapia, solo tamoxifen o a nessun
trattamento adiuvante. Sono stati diagnosticati 376 tumori al seno (163
invasivi, di cui 122 ipsilaterali e 39 controlaterali; 197 Dcis, di cui
174 ipsilaterali e 17 controlaterali; 16 di invasività e lateralità non
conosciuta).
La radioterapia ha ridotto l'incidenza di tutti i nuovi tumori al seno (hazard
ratio, Hr: 0,41), diminuendo l'incidenza della neoplasia invasiva ipsilaterale
(Hr: 0,32) e del DCIS ipsilaterale (HR 0,38), ma senza alcun effetto sul
cancro mammario controlaterale (HR 0,84).
L'assunzione di tamoxifene ha ridotto l'incidenza di tutti i nuovi tumori
al seno (HR 0,71), diminuendo l'incidenza del DCIS ricorrente ipsilaterale
(HR 0,70) e dei tumori controlaterali (HR 0,44), ma senza alcun effetto
sulla neoplasia invasiva ipsilaterale (HR 0,95). Durante questo trial non
sono stati raccolti dati sugli eventi avversi, con l'eccezione della causa
di morte.
Lancet Oncol, 2011 Jan;12(1):21-9
2) Ssri, ( non è un ormone *), riduce vampate in menopausa
Nelle donne sane in menopausa, l'assunzione di 10-20 mg/die di escitalopram,
inibitore della ricaptazione della serotonina, riduce, rispetto al placebo,
la frequenza e la gravità delle vampate di calore dopo otto settimane di
follow up.
Sono queste le conclusioni di uno studio coordinato da Ellen W. Freeman,
del dipartimento di Ostetricia e ginecologia della university of Pennsylvania
school of Medicine, a Philadelphia, che ha voluto valutare le ragioni che
spingono sempre più donne ad abbandonare le "classiche" terapie ormonali
per scegliere trattamenti non ormonali, come appunto escitalopram.
Lo studio multicentrico, randomizzato, in doppio cieco e controllato con
placebo, ha coinvolto 205 donne, sottoposte per otto settimane all'assunzione
di escitalopram o placebo. La frequenza media giornaliera di vampate di
calore, al basale, era di 9,78.
Al raggiungimento dell'ottava settimana, la frequenza media giornaliera
si è ridotta di 4,60 nelle donne che assumevano il farmaco e di 3,20 in
quelle che ricevevano placebo, con una differenza media in termini di riduzione
di frequenza pari a 1,41. Il 55% delle donne nel gruppo escitalopram, rispetto
al 36% di quelle del gruppo placebo, ha registrato una diminuzione nella
frequenza di vampate di calore di almeno il 50% dopo otto settimane di trattamento.
Anche per quanto riguarda la severità delle vampate, i dati sono a netto
vantaggio del farmaco rispetto al placebo: -0,52 versus -0,30. L'interruzione
della terapia dovuta a eventi avversi si è attestata sul 4% (7 donne nel
gruppo escitalopram, 2 in quello placebo).
Tre settimane dopo la conclusione del periodo di trattamento, le donne che
assumevano l'inibitore della ricaptazione della serotonina hanno riportato
un aumento medio giornaliero di vampate di calore pari a 1,59 rispetto alle
donne che assumevano placebo. (*)
http://it.wikipedia.org/wiki/Escitalopram
JAMA, 2011; 305(3):267-74
3) Terapia ormonale sostitutiva per non più di 2 anni
e controindicata in presenza di familiarità.
Da una recente analisi dei dati, raccolti dal Million women study (Mws)
tra il 1996 e il 2001, è emersa una certa eterogeneità del rischio di tumore
mammario tra le donne in post-menopausa che assumono terapia ormonale sostitutiva.
In particolare, Valerie Beral, della University of Oxford, e il suo team
hanno rilevato che era più alto nelle donne che usavano la combinazione
di estro- progestinici rispetto a quelle che assumevano solo estrogeni ma
anche nelle pazienti che l'avevano iniziata subito dopo la menopausa.
L'incremento, infatti, era statisticamente significativo se la terapia era
stata avviata entro i primi cinque anni di post-menopausa, con un rischio
relativo di 2.04 con l'associazione di ormoni e 1,43 con i soli estrogeni,
rispetto alle pazienti che invece l'avevano iniziata dopo 5 anni dalla menopausa.
Inoltre, a prescindere dalla formulazione, la probabilità di tumore saliva
in modo marcato quando la terapia veniva assunta per più di cinque anni
(1,49) rispetto a periodi più brevi.
«L'aumento di rischio con terapia ormonale sostitutiva è già noto da tempo:
il Million women study e il Women's health initiative, avevano già individuato
questa possibilità» ha commentato Nicola Surico, presidente della Società
italiana di ginecologia e ostetricia.
E sottolinea:
« L'indirizzo oggi seguito è quello di non prescrivere la Tos a tappeto,
ma solo in base alla valutazione di ogni singola paziente con esigenze ben
precise, ed è, per esempio, controindicata nelle donne con familiarità per
il tumore al seno. Inoltre, non va protratta per più di due o tre anni,
ai dosaggi efficaci più bassi possibile e scegliendo la formulazione ottimale.
Non ci sono evidenze scientifiche tali da giustificare un cambiamento alle
linee guida attuali» conclude
4) Fumo attivo e modesto incremento di cancro al seno
Il fumo di tabacco rilascia carcinogeni, sostanze che potrebbero aumentare
nella donna il rischio di sviluppare tumore al seno.
L'abitudine al fumo sembra però avere anche un effetto antiestrogenico,
determinando così una presunta riduzione del rischio di cancro mammario.
Lo studio prospettico di coorte condotto dall'équipe di Fei Xue, del dipartimento
di Ostetricia e ginecologia del Brigham and women's hospital, a Boston,
ha voluto chiarire le reali conseguenze del fumo di sigaretta sull'eventuale
comparsa di tumore al seno.
Il verdetto è che il fumo attivo, specialmente se si inizia prima della
nascita del primo bambino, può essere associato a un modesto incremento
del rischio di cancro mammario. La ricerca ha coinvolto, tra il 1976 e il
2006, 111.140 donne fumatrici appartenenti al Nurses' health study e, tra
il 1982 e il 2006, 36.017 donne non fumatrici ma esposte a fumo passivo.
Nel corso di un follow up pari a 3.005.863 anni-persona, si sono registrati
8.772 casi incidenti di tumore invasivo al seno. Dopo aggiustamento per
i potenziali fattori confondenti, il rapporto di rischio (Hr) tra fumatrici
e non fumatrici si è attestato sull'1.06%.
L'incidenza di tumore al seno è risultata associata a una maggiore quantità
di abitudine al fumo corrente e trascorsa, a una più giovane età di inizio,
a una più lunga durata dello stato di fumatrice e a un maggiore valore del
numero di pacchetti fumati al giorno moltiplicato per il numero di anni
in cui si è fumato (pacchetto-anni). Il fumo in età premenopausale è risultato
associato a un'incidenza leggermente maggiore di tumore al seno (Hr: 1,11
per ogni aumento di 20 pacchetti-anno), in particolare per il fumo prima
della nascita del primo figlio (Hr: 1,18 per ogni aumento di 20 pacchetti-anno).
Al contrario, l'associazione tra fumo in postmenopausa e tumore al seno
ha dato esito inverso (Hr: 0,93 per ogni aumento di 20 pacchetti-anno).
Il fumo passivo, sia nell'adolescenza sia nell'età adulta, non è risultato
associata al cancro mammario.
Arch Intern Med, 2011; 171(2):125-33
5) Linfonodo negativo, inutile la ricerca di metastasi
occulte
Le metastasi occulte nelle pazienti affette da cancro mammario con linfonodo
sentinella negativo alla valutazione iniziale rappresentano una variabile
prognostica indipendente; in ogni caso, l'entità della differenza dell'outcome
a 5 anni è piccola (circa 1,2%). Pertanto non vi è un beneficio clinico
da una valutazione addizionale - comprensiva di analisi immunoistochimica
- di un linfonodo sentinella inizialmente negativo.
È l'esito di uno studio americano, condotto da un gruppo di patologi, chirurghi
e biostatistici coordinato da Donald L. Weaver dell'università del Vermont,
a Burlington. Il team ha randomizzato le pazienti alla biopsia del linfonodo
sentinella più dissezione ascellare o alla sola biopsia del linfonodo sentinella.
I blocchi di paraffina contenenti i tessuti dei linfonodi sentinella ottenuti
da pazienti con esito negativo sono stati sottoposti a un esame molto più
accurato, a diversi livelli tissutali. I clinici che avevano in cura le
donne non sono stati messi al corrente dei risultati, i quali non sono stati
usati per le decisioni riguardanti il trattamento.
Su un totale di 3.887 pazienti, sono state rilevate metastasi occulte nel
15,9% dei casi. I test log-rank hanno indicato una differenza significativa
tra le pazienti in cui erano o non erano rilevate metastasi occulte in termini
di sopravvivenza globale, sopravvivenza libera da malattia e intervallo
libero da malattia a distanza.
I corrispondenti rapporti di rischio (Hr) per decesso, qualsiasi evento
dell'outcome e malattia a distanza si sono attestati, rispettivamente, su
1,40, 1,31 e 1,30.
Le stime a 5 anni, mediante Kaplan-Meier, della sopravvivenza globale delle
pazienti con o senza metastasi occulte rilevabili sono state, nell'ordine,
del 94,6% e del 95,8%.
Con questo studio prospettico randomizzato vengono dunque ridimensionate
le potenzialità prognostiche relative alle recidive e alla sopravvivenza
delle donne con cancro del seno attribuite alle metastasi occulte linfonodali
da precedenti studi retrospettivi e osservazionali.
N Engl J Med, 2011 Feb 3;364(5):412-21
6) RISCHIO TUMORI CON LE CELLULE STAMINALI EMBRIONALI
Le cellule staminali embrionali ottenute con la riprogrammazione genetica
di cellule adulte possono causare alterazioni del Dna potenzialmente in
grado di favorire l’insorgenza di tumori.
Lo dimostra uno studio pubblicato su Cell Death and Differentiation, frutto
della collaborazione di tre Istituti di ricerca italiani (Istituto Europeo
di Oncologia, IFOM, Istituto FIRC di Oncologia Molecolare e Istituto San
Raffaele Telethon per la Terapia Genica) con il Dipartimento di Biologia
Molecolare dell’Università di Ginevra e la École Polytechnique Fédérale
di Losanna.
I ricercatori hanno evidenziato l’ insorgenza di vari tipi di danno a carico
del Dna durante la generazione di cellule staminali a partire da cellule
della pelle o del tessuto mammario.
Uno dei quattro geni usati per la riprogrammazione, c-Myc, sembrerebbe il
principale responsabile.
L'attenzione che bisogna dedicare all'esame della integrità genomica di
queste cellule prima di utilizzarle nelle terapie, diventa prioritaria.
Per approfondimenti
http://www.nature.com/cdd/journal/vaop/ncurrent/abs/cdd20119a.html
7) SCOPERTO UN GENE RESPONSABILE DI UNA FORMA AGGRESSIVA
DI CANCRO AL SENO
Un gruppo di ricercatori inglesi e canadesi ha individuato un oncogene responsabile
di una forma aggressiva di tumore al seno.
L'oncogene ZNF703 e' il primo individuato negli ultimi 5 anni. Nella ricerca,
pubblicata su Embo Molecular Medicine, e' stata osservata l'attivita' dei
geni coinvolti in oltre mille casi di tumore al seno e si e' rilevato che
l'oncogene ZNF703 era iperattivo.
Secondo gli autori e' un notevole passo avanti nella conoscenza dello sviluppo
del tumore al seno.
Per approfondimenti
http://www.news-medical.net/news/20110218/5474/Italian.aspx
8) Ca mammario metastatico: superflua dissezione completa
Nelle pazienti con cancro mammario metastatico limitato al linfonodo sentinella
trattate con terapia sistemica e trattamento conservativo, la sola dissezione
del linfonodo sentinella (Slnd) rispetto alla dissezione completa dei linfonodi
ascellari (Alnd) non determina una sopravvivenza inferiore.
È la conclusione di un trial di fase III dell'American college of surgeons
oncology group, condotto in 115 centri Usa, dal 1999 al 2004, da Armando
E. Giuliano, del John Wayne cancer institute at Saint John's health center
di Santa Monica, e collaboratori.
Le pazienti selezionate presentavano un cancro mammario invasivo T1-T2,
senza adenopatia palpabile, e 1 o 2 linfonodi sentinella contenenti metastasi.
L'arruolamento previsto era di 1.900 donne, con analisi finale dopo 500
decessi; lo studio, però, è stato terminato in anticipo, a causa del tasso
di mortalità più basso dell'atteso. Tutte le pazienti sono state sottoposte
ad asportazione del tumore e a irradiazione tangenziale dell'intera ghiandola.
Le donne con metastasi linfonodali identificate mediante Slnd sono state
randomizzate ad Alnd (10 o più linfonodi) oppure a nessun ulteriore trattamento
ascellare. La terapia sistemica è rimasta a discrezione del medico.
Le caratteristiche cliniche e tumorali erano simili tra le 445 donne randomizzate
all'Alnd e le 446 assegnate alla sola Slnd. A un follow-up mediano di 6,3
anni, la sopravvivenza globale a 5 anni si è attestata sul 91,8% con la
Alnd e sul 92,5% con la sola Slnd, mentre la sopravvivenza libera da malattia
a 5 anni è risultata di 82,2% e 83,9%, rispettivamente, con la Alnd o la
sola Slnd. Il rapporto di rischio, Hr, per la sopravvivenza globale correlata
al trattamento è risultata di 0,79 e 0,87, rispettivamente, senza e dopo
aggiustamento per età e terapia adiuvante.
JAMA, 2011; 305(6):569-75
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/21304082
9) ASSUNZIONI ELEVATE DI VITAMINA D CONTRASTANO IL CANCRO
AL SENO
I ricercatori della Università della California, della San Diego School
of Medicine e della Creighton University School of Medicine di Omaha hanno
riferito che un’assunzione elevata di vitamina D è necessaria per raggiungere
livelli ematici che possono prevenire o ridurre sensibilmente l’incidenza
di cancro al seno e di molte altre grandi malattie.
I risultati sono stati pubblicati il 21 febbraio sulla rivista Anticancer
Research.
“Abbiamo trovato che l’assunzione giornaliera di vitamina D da parte degli
adulti nel range di 4000-8000 UI è necessaria per mantenere i livelli ematici
dei metaboliti della vitamina D al livello necessario per ridurre di circa
la metà il rischio di diverse malattie – il cancro della mammella, il cancro
del colon, la sclerosi multipla e il diabete di tipo 1 “, ha detto Cedric
Garland, del San Diego Moores Cancer Center.
“Sono stato sorpreso di scoprire che le assunzioni necessarie per mantenere
lo stato della vitamina D per la prevenzione della malattia siano stati
così alte. Di molto superiore al minimo dell’assunzione di 400 UI / die
che era necessaria per sconfiggere il rachitismo nel 20° secolo”.
Lo studio riguarda un sondaggio di diverse migliaia di volontari che hanno
assunto supplementi di vitamina D nel range di dosaggio da 1000 a 10.000
UI / die. Sono stati condotti studi sul sangue per determinare il livello
di 25-vitamina D – la forma in cui quasi tutta la vitamina D circola nel
sangue.“
La maggior parte degli scienziati che stanno lavorando attivamente con la
vitamina D ora sostiene che 40-60 ng / ml è la concentrazione di destinazione
appropriata di 25-vitamina D nel sangue per prevenire le maggiori carenze
di vitamina D correlate a malattie gravi e si sono uniti in una lettera
su questo argomento “, ha detto Garland.
“Purtroppo, secondo uno studio recente della National Health and Nutrition
Ezamination Survey, solo il 10 per cento della popolazione degli Stati Uniti
ha livelli in questo campo, soprattutto le persone che lavorano all’aperto.
”Mentre la commissione dell’OIM afferma che 4000 UI / die è un dosaggio
sicuro, la razione minima giornaliera consigliata è di 600 UI / die.“Con
questi risultati, diventerà comune per quasi tutti gli adulti assumere 4000
UI / die», ha detto Garland. Ha aggiunto che le persone che possono avere
controindicazioni dovrebbero discutere i loro bisogni di vitamina D con
il loro medico di famiglia.
10) Ca mammario metastatico: per Nice no a bevacizumab
Lo scorso mercoledì, il National institute for health and clinical excellence
(Nice) britannico ha emanato una direttiva contraria all'uso di bevacizumab
in combinazione con chemioterapia nel trattamento del Ca mammario metastatico.
Secondo Andrew Dillon, chief-executive del Nice "non vi sono evidenze sufficienti
di efficacia del farmaco nel prolungare la sopravvivenza e nel garantire
una migliore qualità di vita alle pazienti rispetto ai trattamenti esistenti".
In una nota, Roche esprime disappunto per la decisione confermando come
"bevacizumab rappresenti una valida opzione di trattamento in combinazione
con la chemioterapia, consentendo un rallentamento ulteriore della crescita
del tumore per una media di 5,5 mesi".
http://www.nice.org.uk/newsroom/pressreleases/AvastinBevacizumabNotRecommended.jsp
11) Ca mammario, benefici di trastuzumab a 4 anni
Nelle pazienti con cancro mammario precoce Her2-positivo, il trattamento
con trastuzumab in adiuvante per un anno dopo la chemioterapia si associa
a un significativo beneficio clinico a un follow-up mediano di 4 anni.
È l'esito di una ricerca condotta da un team internazionale coordinato da
Luca Gianni, del dipartimento di Oncologia medica dell'Ospedale San Raffaele
di Milano, su dati del trial Hera. Quest'ultimo è uno studio multicentrico,
randomizzato, in aperto, di fase 3, in cui si valutano gli effetti della
somministrazione di trastuzumab per 1 o 2 anni con osservazioni effettuate
dopo terapia neoadiuvante standard, chemioterapia adiuvante, o uso di entrambi
i metodi in donne con ca mammario precoce Her2-positivo; dopo un follow-up
mediano a 1 anno con risultati positivi per trastuzumab, alle pazienti senza
eventi del gruppo osservazione è permesso di passare a quello in trattamento
con il farmaco biologico. Complessivamente sono state inserite 1.698 pazienti
nel gruppo osservazione e 1.703 in quello trastuzumab 1 anno.
L'analisi intention-to-treat della sopravvivenza libera da malattia ha mostrato
un beneficio significativo in favore delle donne del gruppo trastuzumab
1 anno (sopravvivenza libera da malattia a 4 anni: 78,6%) rispetto all'altro
(72,2%; rapporto di rischio, Hr: 0,76).
L'analisi intention-to-treat della sopravvivenza globale non ha mostrato
differenze significative nel rischio di morte (sopravvivenza globale a 4
anni: 89,3% vs 87,7%, rispettivamente; Hr: 0,85). In tutto, 885 pazienti
(52%) su 1.698 del gruppo osservazione sono passate a ricevere trastuzumab
e hanno iniziato il trattamento a una mediana di 22,8 mesi dalla randomizzazione.
A un confronto non randomizzato, le pazienti nella coorte del crossover
selettivo verso il gruppo trastuzumab hanno avuto outcome migliori rispetto
a quante rimaste nel gruppo osservazione (Hr: 0,68). Eventi avversi severi
di grado 3 o 4 sono stati più frequenti con trastuzumab rispetto all'altro
gruppo, e comunque sono occorsi sempre in meno dell'1% delle pazienti.
Lancet Oncol, 2011 Feb 24. [Epub ahead of print]
12) Tumori, negli Usa si registra un calo significativo
Secondo un report pubblicato dal Journal of the National Cancer Institute,
la mortalità complessiva per tumori negli Stati Uniti ha continuato a calare
tra il 2003 e il 2007 e la mortalità per tumore polmonare tra le donne è
scesa per la prima volta negli ultimi quattro decenni.
Il report, che ha utilizzato i dati provenienti da diversi registri e dal
programma di sorveglianza del National Cancer Institute, ha riscontrato
un calo delle nuove diagnosi di cancro dell'1% annuale, mentre la frequenza
di mortalità è scesa dell'1,6% all'anno nel periodo preso in esame.
Ma il dato più rilevante riguarda i tumori polmonari che rappresentano la
principale causa di morte, il cui calo è stato del'2,5% tra gli uomini e
dello 0,9% tra le donne.
Ma i dati positivi non si fermano qui, visto che una riduzione è stata osservata
anche per il tumore alla prostata e per quello della mammella. Oltre a una
riduzione nel numero complessivo di fumatori, gli specialisti imputano un
simile risultato ai progressi nel campo della diagnostica e nelle migliori
opzioni terapeutiche.
Non mancano, peraltro, i dati negativi: tra questi l'aumentata incidenza
del melanoma, del tumore del pancreas e del rene sia negli uomini sia nelle
donne, in leggero rialzo (0,6%) anche le diagnosi di tumori infantili.
Un dato che secondo Eugenie Kleinerman, a capo della divisione pediatrica
del Md Anderson Cancer Center, può essere legato al mancato accesso della
fascia pediatrica alle terapie antitumorali target, utilizzate con successo
negli adulti.
13) Fino al 70% delle macchine per mammografia da rottamare
«In Italia, il 65-70% dei macchinari per le mammografie sono obsoleti e
sarebbero da rottamare. C'é solo un 20-25% di centri mammografici in grado
di dare una risposta adeguata».
Lo ha affermato l'oncologo Paolo Marchetti, direttore della U.o.c. di Oncologia
Medica all'ospedale Sant'Andrea di Roma, nel corso di un seminario, organizzato
dalla Fondazione Veronesi, sulla prevenzione in ginecologia che si è tenuto
all'università Sapienza di Roma.
«Da una rilevazione fatta circa 5 anni fa» aggiunge Marchetti «è emerso
che, all'epoca, il 74% dei macchinari andava rottamato ma non c'erano le
risorse economiche per farlo. Oggi la situazione è leggermente migliorata,
ma resta comunque preoccupante e si rileva un forte squilibrio a livello
territoriale e un gap tra le regioni del Nord e quelle del Sud, a sfavore
delle seconde». Secondo Marchetti, attraverso la creazione di reti oncologiche
regionali sarà possibile indirizzare i cittadini verso centri regionali
che rispondano in maniera adeguata, anche dal punto di vista della tecnologia
dei propri macchinari, alla domanda di salute della popolazione
14) Pochi i secondi tumori attribuibili al trattamento
radioterapico
Una quota relativamente piccola di secondi tumori è correlata alla radioterapia
negli adulti mentre, nella gran parte dei casi, la recidiva è dovuta ad
altri fattori, di tipo genetico o legati allo stile di vita. Lo si evince
da uno studio di coorte coordinato da Amy Berrington de Gonzales, del National
cancer institute di Bethesda (Usa), in base alla valutazione dei registri
sul cancro dell'US Surveillance, epidemiology and end results (Seer). Di
questi ne sono stati considerati nove, contenenti dati relativi a 15 tipologie
neoplastiche di solito trattate con radioterapia (bocca e faringe, ghiandole
salivari, retto, ano, laringe, polmone, tessuti molli, mammella femminile,
cervice uterina, endometrio, prostata, testicolo, occhi e orbita, cervello
e sistema nervoso centrale, tiroide).
La coorte esaminata era composta da pazienti di età =/>20 anni con diagnosi
di primo tumore invasivo solido riportato nel registro Seer tra il 1973
e il 2002.
Il rischio relativo (Rr) di secondo tumore in pazienti sottoposti a radioterapia
vs pazienti non radiotrattati è stato stimato tramite regressione di Poisson
aggiustata per età, stadio tumorale e altri potenziali fattori confondenti.
Nei 647.672 pazienti con tumore sopravvissuti dopo il 5° anno e seguiti
per una media di 12 anni, 60.271 (9%) hanno sviluppato un secondo tumore
solido.
Il rischio relativo, associato alla radioterapia, che si ripresentasse una
nuova neoplasia era superiore a 1 per ogni prima localizzazione tumorale,
con variazioni dall'1,08 per i tumori di occhi e orbita fino all'1,43 per
quelli dei testicoli. In generale, il Rr era maggiore per gli organi che
avevano ricevuto più di 5 Gy, per diminuire con l'aumento dell'età alla
diagnosi e crescere con il tempo trascorso dalla diagnosi. In totale sono
stati stimati 3.266 secondi tumori solidi in eccesso correlabili alla radioterapia,
cioè l'8% del totale in tutti i pazienti sottoposti a radioterapia sopravvissuti
per almeno 1 anno e 5 tumori in eccesso ogni 1.000 pazienti trattati con
radioterapia entro 15 anni dalla diagnosi.
Lancet Oncol. 2011 Apr; 12(4):353-60
15) Una nuova arma contro il cancro al seno potrebbe
arrivare dalle stesse cellule, sane, della mammella
Un’arma in più contro il temibile cancro della mammella arriva dalle cellule
sane che possono combattere le cellule tumorali. Lo possono fare perché
queste cellule secernono una sostanza coinvolta nella risposta immunitaria.
Questa è l’interessante scoperta fatta dai ricercatori del Department of
Energy' Lawrence Berkeley National Laboratory (Berkeley Lab).
Si chiama interleuchina 25 ed è una proteina conosciuta
per il ruolo che ricopre nella risposta all’infiammazione da parte del sistema
immunitario che ha il preciso scopo di uccidere le cellule tumorali. «Abbiamo
scoperto che le cellule mammarie sane forniscono un meccanismo innato di
difesa contro il cancro con la produzione di interleuchina 25 (IL25) e partecipano
attivamente e in particolare all’uccisione delle cellule tumorali del seno.
Questo suggerisce che la segnalazione del recettore IL25 può fornire un
nuovo bersaglio terapeutico per il trattamento del carcinoma mammario»,
ha dichiarato l’esperta mondiale di cancro al seno Mina Bissell della Berkeley
Lab' Life Sciences Division.
Il fatto che siano prodotte cellule insane non è
una preoccupazione, spiegano i ricercatori. Una persona sana, in media,
produce ogni giorno fino a 1.000 cellule anomale. Tuttavia, il sistema di
riequilibrio dell’organismo (omeostasi) prevede che il sistema immunitario
debelli queste cellule potenzialmente tumorali. Il buono di questa proteina
IL25 è che non è tossica per le cellule sane, ma lo è molto per le cellule
malate: in questo modo si può sfruttare un nuovo tipo di intervento soppressivo
delle cellule cancerogene, spiegano i ricercatori.
I risultati dello studio sono stati pubblicati su Science
Translational Medicine e i ricercatori ritengono che questi possano essere
una risposta valida nella lotta al tumore al seno. Tra le varie terapie
a disposizione, se ne può così aggiungere un’altra.
«Ora stiamo aggiungendo un nuovo tipo di soppressione tumorale a questo
elenco, IL25 e altre proteine secrete dalle normali cellule del seno che
uccidono o sottomettono i loro vicini mutati», ha dichiarato a tal proposito
il dottor Saori Furuta coautore dello studio
16) ESISTE UN FORTE LEGAME FRA IL CONSUMO DI ALCOL E
I TUMORI
Una nuova analisi condotta in Australia sull'incidenza del cancro nella
popolazione indica che l'alcol e' responsabile in una proporzione molto
piu' alta di quanto creduto. Nel 5,6% dei casi la sua insorgenza e' legata
a un consumo quotidiano, anche a livelli 'moderati', cioe' due bicchieri
di birra, o due calici di vino o due bicchierini di superalcolici al giorno.
La proporzione e' piu' alta fra le donne, che sale fino al 22% dei casi
di cancro al seno, fra due e sette volte piu' delle stime precedenti, che
indicavano un livello fra 3 e 12%. Le revisioni verso l'alto sono incluse
in una nuova linea programmatica del Cancer Council of Australia, il principale
organismo preposto al monitoraggio del cancro nel Paese, pubblicata sul
Medical Journal of Australia.
Sono ora collegati all'alcol piu' di meta' (51%) dei casi di cancro all'esofago,
il 41% dei cancri alla bocca e il 7% di quelli all'intestino. Il direttore
del Cancer Council, prof. Ian Olver, che ha guidato lo studio, rileva come
le prove della correlazione fra alcool e cancro siano ormai molto solide,
tali da classificarlo come carcinogeno di classe 1, alla pari con il tabacco
e l'amianto.
17) Speranze da sostanze naturali. Prezzemolo e
sedano per arrestare il cancro al seno
Il prezzemolo e altri vegetali contengono una sostanza che pare sia attiva
nel contrastrare lo sviluppo e la crescita delle cellule tumorali del seno
- Foto: ©photoxpress.com/vnlit Una sostanza contenuta nel prezzemolo e nel
sedano è stata ritenuta in grado di bloccare le cellule tumorali del seno
dal moltiplicarsi e crescere Un nuovo studio dell’Università del Missouri
(Usa) ha permesso di scoprire come un composto presente nel prezzemolo e
nel sedano - ma non solo - abbia la capacità di bloccare la riproduzione
e la crescita delle cellule del cancro alla mammella.
Per arrivare alle loro conclusioni, il dottor Salman Hyder
e colleghi hanno testato l’effetto della apigenina, una sostanza attiva
che si trova in questi due ortaggi, ma anche in mele, arance, noci e altri
vegetali. Lo studio, per il momento è stato condotto su modello animale,
ma i risultati positivi fanno ben sperare.
Secondo quanto riportato sulla rivista scientifica Cancer
Prevention Research, su cui è stato pubblicato lo studio, i ricercatori
hanno voluto utilizzare questa sostanza attiva per contrastate il tumore
al seno causato dall’uso di ormoni artificiali nelle terapie sostitutive
a cui si sottopongono molte donne in post-menopausa. Hanno così somministrato
a un gruppo di topi un progestinico chiamato medrossiprogesterone acetato
(MPA) e, nel contempo, alla metà dei topi appartenenti al gruppo è stata
anche somministrata l’apigenina.
Il risultato, apparso evidente, era che i topi a cui era
stata data l’apigenina hanno sviluppato meno tumori e, nel caso, questi
si sono diffusi con notevole ritardo, rispetto ai topi a cui era stato somministrato
soltanto il progestinico. «Sappiamo che alcuni ormoni sintetici utilizzati
nella terapia ormonale sostitutiva accelerano lo sviluppo del tumore al
seno. Nel nostro studio, abbiamo esposto i ratti a uno dei prodotti chimici
utilizzati nelle HRT più comuni», ha spiegato Hyder.
Sebbene l’apigenina sia un composto attivo assai potente
e abbia ridotto il numero complessivo di tumori, la formazione iniziale
delle cellule tumorali non è stata bloccata del tutto. Quando vi era tuttavia
una formazione, l’apigenina ne ha rallentato la crescita.
Poiché lo studio si è limitato agli animali, i ricercatori per il momento
non hanno individuato un dosaggio raccomandato per gli esseri umani. In
attesa di una sperimentazione in questo senso, Hyder sottolinea come sia
importante mantenere un certo livello minimo di questa sostanza nel sangue
per contrastare l’insorgenza del cancro al seno che progredisce in risposta
a progestinici come quello utilizzato nella ricerca.
«E' probabilmente una buona idea mangiare un po' di prezzemolo e qualche
frutto ogni giorno per garantire la quantità minima», conclude il ricercatore.
18) SCOPERTO UN LEGAME GENETICO TRA OBESITA' E CANCRO
AL SENO
Un nuovo filone di ricerca finalizzato all'identificazione dei fattori di
rischio genetici che portano al tumore del seno, ha messo in luce un legame
tra la massa grassa-gene dell'obesità ad essa associata ( FTO ) ed una maggiore
incidenza di cancro al seno.
Secondo lo studio condotto presso la Northwestern Memorial Hospital da Virginia
Kaklamani, le persone che possiedono una variante del gene FTO possono avere
una percentuale maggiore di probabilità, fino al 30%, di sviluppare un cancro
al seno.
La ricerca, pubblicata sul BMC Medical Genetics, ha analizzato 354 casi
di cancro al seno e 364 controlli ed ha verificato che il gene FTO è espresso
in tutti i soggetti, ma che solo il 18%% di essi esprime la deleteria variante.
Per approfondimenti
http://www.biomedcentral.com/1471-2350/12/52/abstract
19) LA CURCUMA AUMENTA L’EFFICACIA DELLA CHEMIOTERAPIA
Un composto derivato dalla curcuma, chiamato dai ricercatori FLLL32, aumenta
l'efficacia del chemioterapico cisplatino nel trattamento dei tumori a collo
e testa. Lo ha dimostrato il gruppo di ricercatori del Comprehensive Cancer
Center dell'Universita' del Michigan (Ann Arbor, Stati Uniti) guidati da
Thomas Carey, docente di otorinolarigoiatria e farmacologia. FLLL32, spiegano
i ricercatori, rende le cellule neoplastiche resistenti alla chemioterapia
piu' sensibili al trattamento, e a differenza della curcuma, puo' essere
assorbito con facilita' dall'organismo.
''Quando le cellule diventano resistenti al cisplatino - spiega Carey -
bisogna aumentare molto le dosi del farmaco. Ma questo e' tossico e, spesso,
causa effetti collaterali a lungo termine. Questa ricerca offre la possibilita'
di utilizzare dosi di cisplatino piu' basse e, quindi, meno tossiche''.
Per approfondimenti
http://archotol.ama-assn.org/cgi/content/short/137/5/499
20) IN ARRIVO UNA NUOVA TECNICA MAMMOGRAFICA PER LA DIAGNOSI
PRECOCE
Un team di ricercatori finanziati dall'UE ha sviluppato un nuovo tipo di
tecnica per la mammografia che usa l'imaging molecolare e che potrebbe aiutare
a scoprire prima il cancro al seno. Il dispositivo MAMMI, spiega un comunicato
del Consiglio nazionale Spagnolo per la Ricerca (CSIC) che ha coordinato
lo studio, offre la piu' alta risoluzione e sensibilita' attualmente disponibili.
Questo significa che sara' usato principalmente per la diagnosi precoce
del cancro al seno e per valutare come i pazienti rispondono alla chemioterapia.
Per catturare un'immagine con questo dispositivo, la paziente si stende
in posizione prona su un tavolo disegnato per questo scopo e mette un seno
in una delle aperture. Accanto al tavolo, lo specialista che aziona il dispositivo
posiziona un carrello sul quale si trova Jose' Maria Benlloch del CSIC spiega
come questo potenzia significativamente la 'visualizzazione e la diagnosi',
visto che i tumori sono a volte 'molto vicini alla base del muscolo pettorale'.
Nelle prime fasi del cancro, le cellule maligne si moltiplicano in modo
incontrollato e dopo qualche anno la lesione diventa visibile con le attuali
tecniche.
In seguito, la lesione si estende e ci vuole circa un altro anno perche'
sia rilevabile al tatto. Le attuali pratiche di diagnosi e le mammografie
tradizionali si basano su immagini morfologiche e di conseguenza non riconoscono
il cancro finche' non c'e' una lesione; al contrario, una radiografia della
ghiandola mammaria fatta con il dispositivo MAMMI si basa sulla tecnica
di tomografia a emissione di positroni (PET) per la diagnosi del cancro
al seno, che offre una serie di vantaggi.
La tecnica PET nel dispositivo MAMMI misura l'attivita' metabolica del tumore
localizzando l'alto assorbimento di glucosio da parte delle cellule cancerose.
''Questo - ha spiegato l'esperto - permette agli specialisti di rilevare
la malattia molto prima, uno sviluppo che sara' accolto positivamente per
chi ne soffre; la ricerca condotta finora conferma che la diagnosi precoce
riduce la mortalita' del 29 per cento''. .
21) DUE MUTAZIONI GENETICHE AUMENTANO DEL 80-90% IL RISCHIO
DI TUMORE AL SENO
Un'alterazione genetica di BRCA1 e BRCA2 è associata a un rischio maggiore
tra l'80 e il 90% di sviluppare un cancro alla mammella e di un rischio
stimabile fra il 20 e il 50% maggiore di sviluppare un cancro ovarico. Lo
rende noto una ricerca tedesca del Klinikum rechts der Isar di Monaco di
Baviera pubblicata su Deutsches Arzteblatt International. Secondo i ricercatori,
anche un altro gene è fortemente coinvolto nello sviluppo del cancro al
seno, RAD51C, legato ai meccanismi di riparazione del Dna e presente dall'1,5
al 4% delle famiglie colpite dai due tipi di cancro.
Del resto, ormai da anni è stato scoperto il ruolo che i due BRCA svolgono
nell'insorgenza dei tumori femminili. Uno studio dell'Istituto Curie, in
Francia, ha mostrato come le donne portatrici di mutazioni di uno o di entrambi
i geni incorressero in un'evoluzione meno favorevole in caso di in caso
di carcinoma mammario rispetto alle donne che non presentano questa mutazione.
Lo studio è stato condotto su 183 donne colpite da carcinoma mammario familiare.
In questo gruppo di donne il 22% (40 casi) è risultato portatore di una
mutazione del gene BRCA1.
Dopo un follow-up medio di 58 mesi si è osservato che il tasso di sopravvivenza
a 5 anni nelle donne portatrici è stato pari all’80%, mentre nelle donne
non portatrici pari al 91%. Un’analisi più accurata di un sotto-gruppo di
110 donne, confrontabili in termini di intervallo tra la diagnosi oncologica
e test genetico (36 mesi), ha confermato questi dati evidenziando differenze
ancora più marcate in termini di sopravvivenza a 5 anni: rispettivamente
49% contro 85%. Differente è risultata anche la sopravvivenza senza metastasi:
18% contro 84%. Secondo gli autori i dati dimostrano anche che la storia
naturale dei carcinomi mammari non è la stessa in base all’origine familiare.
Quando quest’ultimo è legato a una mutazione del gene BRCA1, la prognosi
è più sfavorevole. In conclusione, secondo i ricercatori, “questi risultati
chiariscono l’eterogenicità dei carcinomi mammari e la presenza di mutazioni
sul gene BRCA1 deve incitare l’adozione di terapie specializzate e multidisciplinari’’.
Per approfondimenti
http://www.aerzteblatt.de/int/article.asp?id=89366
22) UN NUOVO FARMACO RIDUCE IL RISCHIO DI CANCRO AL SENO
NELLE DONNE IN POST-MENOPAUSA
Nel corso del Congresso mondiale di Oncologia Asco, tenutosi a Chicago,
è stata presentata la nuova molecola exemestane in grado di ridurre del
65% il rischio di sviluppare il cancro al seno nelle donne in postmenopausa.
Il farmaco e' stato sperimentato su 4.560 donne provenienti da Stati Uniti,
Canada, Spagna e Francia. Tutte pazienti con particolari fattori di rischio,
che hanno fatto rilevare una riduzione dell'incidenza del tumore al seno,
un risultato importante che all'Asco ha fatto scalpore e che ha portato
all'immediata pubblicazione dello studio di fase III condotto dalla Harvard
Medical School di Boston sul prestigioso New England Journal of Medicine.
"Il potenziale impatto sulla salute pubblica di questi risultati e' importante",
ha detto Paul E. Goss autore principale dello studio e professore di medicina
alla Harvard Medical School e al Massachusetts General Hospital di Boston.
"In tutto il mondo si stima che siano 1,3 milioni le donne con diagnosi
di tumore al seno ogni anno e circa 500.000 donne muoiono per questa malattia.
I risultati dello studio indicano che exemestane e' un modo nuovo e promettente
per prevenire il cancro al seno nelle donne in menopausa piu' comunemente
colpite".
I dati, ha ammesso Goss, "sono impressionanti". L'exemestane e' un inibitore
dell'aromatasi: si tratta della prima volta che un farmaco di questa classe
e' stato studiato per prevenire il cancro al seno. Ad un follow-up mediano
di tre anni, i
http://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMoa1103507?query=featured_home&
23) Prevenzione del ca mammario con exemestane
Nelle donne in post-menopausa a rischio moderatamente aumentato di cancro
mammario, examestane riduce in modo significativo la comparsa di tumori
invasivi della mammella. Inoltre, dopo un follow-up mediano di 3 anni, il
suo impiego non provoca alcun tipo di effetto tossico e si rilevano solo
minime variazioni della qualità di vita. Questo il verdetto dello studio
multicentrico in doppio cieco "Ncic Ctg Map 3", coordinato da Paul E. Goss,
del Massachusetts General hospital cancer center di Boston, condotto su
4.560 donne (età mediana: 62,5 anni), con un punteggio di rischio Gail mediano
del 2,3%, assegnate al trattamento con exemestane o placebo e con pregressa
patologia mammaria: iperplasia duttale o lobulare atipica, carcinoma lobulare
in situ, carcinoma duttale in situ con mastectomia. A un follow-up mediano
di 35 mesi, sono stati rilevati 11 cancri mammari invasivi nel gruppo exemestane
e 32 in quello placebo, con una riduzione relativa di incidenza annuale
di cancri mammari invasivi del 65% (0,19% vs 0,55; hazard ratio, Hr: 0,35).
L'incidenza annuale complessiva dei cancri mammari invasivi e non invasivi
(carcinoma duttale in situ) è risultata di 0,35% con exemestane e di 0,77%
con il placebo (Hr: 0,47). Si sono avuti eventi avversi nell'88% delle pazienti
trattate con exemestane e nell'85% delle donne che ricevevano il placebo,
senza differenze significative tra i due gruppi in termini di fratture scheletriche,
eventi cardiovascolari, altri cancri o decessi correlati al trattamento.
Minime differenze, infine, si sono notate anche in relazione alla qualità
di vita. N Engl J Med, 2011 June 4. [Epub ahead of print]
24) NASCE UN DATABASE EUROPEO SULLA NUOVA CHIRURGIA MAMMARIA
Si e' costituito il piu' grande database Europeo sugli interventi di patologia
mammaria effettuati con l'innovativo metodo di diagnosi molecolare intra-operatoria
del linfonodo sentinella denominato OSNA, One Step Nucleic acid Amplification
(Amplificazione in singola fase degli acidi nucleici). I rappresentanti
dei principali centri europei che applicano tale metodica hanno discusso
le opportunita' che un campione di molte migliaia di interventi puo' offrire
per estrapolare informazioni utili a valutare e migliorare le tecniche e
procedure di intervento. Dal 2007 le pazienti con cancro alla mammella possono
beneficiare di un approccio multidisciplinare alla loro patologia che riduce
l'ospedalizzazione ad un solo giorno.
L'Istituto Regina Elena e' stato primo in Italia e tra i primi in Europa,
dopo Giappone, Francia, Germania e Olanda ad utilizzare il metodo che consente
in 30-40 minuti di determinare la presenza o meno di cellule tumorali all'interno
del linfonodo sentinella in fase intraoperatoria. Cio' consente di procedere
in caso di linfonodo sentinella positivo direttamente alla rimozione dei
linfonodi dell'ascella, senza che la paziente sia costretta a dover subire
un nuovo intervento. In aggiunta la radioterapia effettuata durante l'intervento
di quadrantectomia evita alle pazienti le numerose sedute post operatorie.
In pratica nell'arco delle 12 ore la paziente affronta la patologia mammaria.
"Nel nostro Istituto - spiega il professor Franco Di Filippo, Direttore
della Chirurgia mammaria dell'Istituto Regina Elena - dal 2007 ad oggi 882
donne con cancro al seno sono state trattate in day surgery e 372 pazienti
hanno potuto beneficiare del metodo OSNA. Settantatre pazienti sono risultate
positive e hanno subito lo svuotamento ascellare durante lo stesso intervento.
Tale metodica - prosegue - e' oggi in uso in molti altri Paesi europei e
con i rappresentati riuniti a Roma abbiamo dato vita ad un database unico
e condiviso in cui verranno inseriti i dati relativi agli interventi effettuati
in tutti i centri coinvolti dal progetto per un totale di circa 20.000 pazienti.
Sara' cosi' possibile estrapolare evidenze estremamente significative".
Nel corso del convegno Di Filippo ha, inoltre, mostrato i dati preliminari
sull'uso della IORT-Radio Terapia Intra-Operatoria nel trattamento del carcinoma
mammario di piccole dimensioni. Tale metodica consente un irraggiamento
estremamente localizzato del tessuto circostante al tumore risparmiando
alla paziente ulteriori sedute di radioterapia post-operatorie. Il trattamento
della paziente in day-surgery rappresenta un modello assistenziale innovativo
dagli indubbi vantaggi sia per le pazienti, che riducono al minimo la loro
permanenza in ospedale, sia per l'ospedale stesso che riesce cosi' ad ottimizzare
i costi e ad accorciare le liste d'attesa.
Un nuovo studio, pubblicato sull’American Journal of Epidemiology suggerisce
che la luce solare è un prezioso alleato nella lotta al cancro, anzichenò.
Se presa con le dovute precauzioni e in misura adeguata, difatti può addirittura
dimezzare il rischio di cancro al seno. Il merito è dell’azione combinata
dei raggi solari con la produzione di vitamina D. Dai risultati ottenuti
dai ricercatori canadesi si scopre che le differenze tra le vittime di cancro
al seno erano dettate dalla misura della loro esposizione alla luce solare.
Comparando i dati di 3.101 donne colpite dal cancro della mammella con quelli
di 3.471 donne sane, si è difatti scoperto come a seconda dell’età e dell’esposizione
il rischio di cancro scendeva della metà. Nello specifico, le donne seguite
dai ricercatori avevano un’età diversa e sono state interrogate sul loro
stile di vita e su quanto tempo avevano trascorso all’aria aperta a partire
dall’adolescenza, e poi a 20, 30, 40, 50, 60 e 74 anni.
Dai dati raccolti e analizzando quelli relativi ai casi di cancro, gli scienziati
hanno potuto verificare che chi si era esposta alla luce solare per almeno
21 ore alla settimana durante i primi trent’anni di vita, o in generale,
aveva il 29% di rischio in meno di ammalarsi di cancro, rispetto a quelle
che stavano all’aria aperta meno di un’ora al giorno.
Le donne che avevano passato più tempo all’aria aperta fino ai 40 o 50 anni
vedevano scendere le probabilità di sviluppare il cancro del 26%; chi lo
aveva fatto fino ai sessant’anni o più vedeva dimezzare il rischio. Ecco
quindi come un semplice comportamento possa, a volte, fare la differenza.
Senza andare a cercare chissà quale espediente per prevenire una malattia
grave come il cancro, basta cercare di passare un po’ più tempo all’aria
aperta. [lm&sdp]
25) Linfedema per ca mammario: attenzione a sintomi
Per venire incontro ai bisogni delle pazienti con linfedema dopo trattamento
per cancro mammario e impedire la progressione del disturbo, è importante
che il medico di medicina generale non sottovaluti i sintomi lievi e che
le donne siano avviate allo specialista. L'invito viene da Afaf Girgis,
dell'università di Newcastle a Callaghan (Australia), e collaboratori, autori
di uno studio effettuato su 237 donne (da 1.930 eleggibili iniziali) con
sintomi e segni indicativi di linfedema.
Come misure principali di outcome si sono considerati i bisogni insoddisfatti
nel mese precedente attraverso il sistema sanitario e psicologico e l'informazione,
le attività quotidane e l'esercizio fisico, l'assistenza e il supporto,
le necessità sessuali, l'immagine corporea e gli aspetti finanziari. Al
termine dell'analisi, è risultato che i 10 elementi (item) più comunemente
identificati come "bisogni di importanza da moderata a elevata" comprendevano
il fatto di avere il proprio medico e i collaboratori sanitari pienamente
informati sul linfedema, riconoscere la gravità della situazione, e avere
la volontà di trattarla. Le donne, inoltre, volevano poter accedere ai trattamenti
più avanzati, sia tradizionali sia alternativi, e avere assistenza finanziaria
per i propri indumenti.
I tre fattori che spiegano la maggior parte della varianza sono: informazione
e supporto (11 item, corrispondenti al 49% della varianza); immagine corporea
e autostima (7 item, 7%); sistema sanitario (7 item, 5%). L'esame di questi
tre fattori ha dimostrato che, se i livelli di bisogno sono in genere bassi,
è anche vero che sono comuni. BMJ, 2011; 342:d3442
26) Ca mammario in premenopausa: sì a zoledronato
Nelle pazienti con tumore mammario allo stadio precoce in terapia con anastrozolo
o tamoxifene l'aggiunta di acido zoledronico migliora la sopravvivenza libera
da malattia. Non si riscontrano differenze in termini di sopravvivenza libera
da malattia tra le pazienti che ricevono anastrozolo e tamoxifene ma le
pazienti trattate solo con anastrozolo mostrano una sopravvivenza globale
inferiore.
Emergono quindi benefici persistenti in seguito all'aggiunta di acido zoledronico
alla terapia endocrina nelle donne in premenopausa con cancro mammario allo
stadio iniziale. Questi i risultati dello studio Abcsg-12, un'indagine randomizzata
coordinata da Michael Gnant dell'Austrian Breast and Colorectal Cancer Study
Group di Vienna su 1.803 donne in premenopausa con cancro mammario positivo
ai recettori estrogenici allo stadio I-II: lo studio ha confrontato efficacia
e sicurezza di anastrozolo (1 mg al giorno) o tamoxifene (20 mg al giorno)
con o senza acido zoledronico (4 mg ogni 6 mesi) per 3 anni. Dopo un follow-up
mediano di 62 mesi, sono stati riportati 186 eventi: 53 nelle 450 pazienti
in trattamento solo con tamoxifene, 57 nelle 453 pazienti trattate solo
con anastrozolo, 36 nelle 450 pazienti in terapia con tamoxifene e acido
zoledronico, e 40 nelle 450 donne che hanno ricevuto anastrozolo e acido
zoledronico.
Quest'ultimo farmaco ha ridotto il rischio di eventi globali (hazard ratio,
Hr: 0,68) sebbene la differenza non abbia raggiunto la significatività statistica
nei bracci tamoxifene (Hr: 0,67) e anastrozolo (Hr: 0,68), valutati separatamente.
L'acido zoledronico non influenza significativamente il rischio di morte.
Inoltre, non si registrano differenze in termini di sopravvivenza libera
da malattia fra i pazienti trattati solo con tamoxifene rispetto a quelli
cui è stato somministrato solo anastrozolo, ma la sopravvivenza globale
era peggiore con anastrozolo versus il solo tamoxifene (Hr: 1,75). I trattamenti
sono stati generalmente ben tollerati e non sono stati riportati casi di
insufficienza renale o osteonecrosi della mandibola. Lancet Oncol, 2011;12(7):631-41
27) Iperprolattinemia e rischio Cancro
Diverse evidenze sperimentali indicano come la Prolattina possa giocare
un ruolo nella genesi di molti tumori. Sul numero di Luglio 2011 di European
Journal of Endocrinology, Katarina Berinder e collaboratori, pubblicano
i risultati di un interessantissimo studio retrospettivo, effettuato su
un'ampio numero di pazienti iperprolattinemici, volto a verificare la presenza
in questi, di un aumentato rischio di cancro.
I risultati hanno messo in evidenza un incremento del rischio per i tumori
del tratto gastroenterico sia nei maschi che nelle femmine, riscontrando
in queste anche un aumento di quello per i tumori del sistema ematopoietico.
Non é stato individuato alcun aumento del rischio del cancro della mammella
nelle donne, mentre é stato riscontrato un decremento negli uomini, di quello
della prostata. I risultati meritano ulteriori verifiche scientifiche, ma
indicano già come centrale il ruolo delle strategie terapeutiche volte a
mantenere in questo tipo di pazienti, i valori della Prolattina costantemente
nei limiti della norma. Fonte: http://www.eje-online.org/content
28) I capezzoli femminili, se stimolati “accendono” le
stesse aree del cervello di quando si stimolano i genitali
I capezzoli femminili sono ora stati promossi a zona erogena al pari dei
genitali da un nuovo studio, anche se ogni donna sa già da sé che stimolare
i capezzoli è fonte di eccitazione sessuale. Ma certi scienziati sono fatti
così: se non lo provano “scientificamente” non vale, ed è inutile stargli
a dire che lo si è provato sulla propria pelle – in senso letterale – loro
devono prima condurre uno studio, poi, forse, ci credono…
D’accordo, scherzi a parte, gli scienziati della Rutgers University di Newark
(Stati Uniti) hanno davvero scoperto che la stimolazione dei capezzoli femminili
attiva le stesse aree del cervello di quando si stimolano clitoride e vagina.
Poi, ne hanno dato notizia sul Journal of Sexual Medicine. Il dottor Barry
Komisaruk e colleghi, hanno coinvolto 11, non in gravidanza, di età compresa
tra i 23 e i 56 anni di autostimolarsi mentre veniva eseguita loro una risonanza
magnetica.
Analizzando i dati raccolti, i ricercatori hanno scoperto che le aree del
cervello che venivano attivate erano le stesse di quello che si attivano
anche nel cervello dell’uomo quando è stimolato nei genitali. L’ipotesi
degli scienziati è che se le donne dichiarano che mediante la stimolazione
dei capezzoli si eccitano è perché si vanno a stimolare la stessa area che
coinvolge i genitali. Komisaruk spiega che sono 4 i nervi che portano il
segnale che arriva dai genitali al cervello. Il nervo pudendo è quello che
sottende al clitoride, il nervo pelvico è collegato alla vagina, il nervo
ipogastrico al collo dell’utero e, infine, il nervo vago alla cervice. Un’altra
ipotesi, ma meno probabile, secondo l’autore dello studio, è che questo
fenomeno potrebbe avere a che fare con l’allattamento al seno.
Lo stimolo dei capezzoli, difatti, fa rilasciare l’ormone ossitocina che,
di solito, viene rilasciato in concomitanza con il travaglio e che promuove
la contrazione dell’utero. Questo fattore è causa di sensazioni che arrivano
al cervello. Insomma, ormone o non ormone, quello che appare evidente è
che stimolare i capezzoli, per molte donne, è fonte di eccitazione e piacere
e, in fondo, è questo che conta. Fonte Journal of Sexual Medicine.
29) Pochi grammi di noci al giorno ridurrebbero significativamente
il rischio di cancro al seno. Lo studio
Secondo un nuovo studio statunitense pubblicato sulla rivista Nutrition
and Cancer, con soltanto 50 grammi di noci al giorno ci si potrebbe mettere
al riparo dal rischio di sviluppare il temuto cancro alla mammella. Per
ora, i ricercatori della Marshall University di Huntington (West Virginia)
hanno condotto il loro studio su modello animale e, qui, è stato dimostrato
come l’assunzione regolare di un po’ di noci ogni giorno, possa non solo
ridurre il rischio di sviluppare il tumore del seno, ma anche incidere sul
numero e la progressione. Gli scienziati hanno così iniziato i loro esperimenti
aggiungendo alla dieta di un gruppo di future madri l’equivalente di 50
grammi di noci al giorno per un essere umano.
Dopo di che, una volta che le topoline avevano partorito la “dieta delle
noci” è stata data fino allo svezzamento, per poi passare direttamente alla
somministrazione ai nuovi nati. Un’altra fazione di topi faceva da gruppo
di controllo: a questi era stata fatta seguire la stessa dieta ma senza
l’aggiunta delle noci. Durante il periodo di test, i ricercatori hanno analizzato
e osservato lo sviluppo dei tumori, così come programmato, scoprendo che
il tasso d’incidenza si era dimezzato nei topi che mangiavano le noci. Oltre
a ciò, sia il numero che la dimensione dei tumori erano minori. Il fattore
di protezione contro il cancro della mammella, secondo i ricercatori, risiederebbe
in una modifica nell’attività di geni multipli a opera delle sostanze contenute
nelle noci.
Questa stessa attività si riscontrerebbe sia negli animali che negli esseri
umani. «I risultati sono molto importanti se contiamo che i topi erano geneticamente
programmati per sviluppare il cancro. E noi siamo stati in grado di ridurre
il rischio di cancro anche contro una preesistente mutazione genetica»,
ha commentato l’autrice senior dello studio, dottoressa Elaine Hardman.
Le sostanze attive contenute nelle noci come vitamine e minerali (per es.
vitamina E) o aminoacidi essenziali come l’arginina, hanno mostrato di ridurre
il cancro o rallentarne la crescita. Una dieta che comprenda anche questo
tipo di frutti quindi è senz’altro da tenere in considerazione, come sottolinea
la dottoressa Hardman concludendo che: «[…] un maggior consumo di noci dovrebbe
entrare a far parte di una alimentazione salutare e potrebbe ridurre il
rischio di cancro nelle future generazioni
30) Drenaggio linfatico manuale inefficace contro il
linfedema
Dopo dissezione dei linfonodi ascellari per cancro mammario il drenaggio
linfatico manuale in aggiunta alle regole preventive previste dalle linee-guida
e all'esercizio non sembra in grado a breve termine di produrre un effetto
consistente nel ridurre l'incidenza di linfedema a livello del braccio.
Lo dimostra uno studio condotto da Nele Devoogdt dell'università Cattolica
di Lovanio (Belgio), e collaboratori, su 160 pazienti consecutive con ca
mammario sottoposte a dissezione linfonodale ascellare unilaterale. Le pazienti
del gruppo d'intervento (n=79) sono state avviate a un programma che prevedeva
l'applicazione delle linee-guida per la prevenzione del linfedema, esercizi
terapeutici e drenaggio linfatico manuale.
Il gruppo di controllo (n=81) ha intrapreso lo stesso programma ma senza
il drenaggio linfatico. Gli outcomes principali dell'indagine comprendevano
l'incidenza cumulativa di linfedema al braccio e il tempo di sviluppo di
linfedema, definito come un aumento di 200 mL del volume dell'arto rispetto
al valore precedente l'intervento.
Dopo 12 mesi dalla chirurgia, il tasso di incidenza cumulativa per il linfedema
del braccio è risultato comparabile nei due gruppi (24% nel braccio intervento
vs 19% nei controlli) per una odds ratio pari a 1,3. Durante il primo anno
dopo la chirurgia è risultato comparabile anche il tempo alla comparsa di
linfedema (hazard ratio: 1,3). Il calcolo della dimensione del campione
si è basata su una odds ratio presunta pari a 0,3, non inclusa nell'intervallo
di confidenza del 95%. BMJ, 2011; 343:d5326
31) Isoflavoni della soia inefficaci in menopausa
L'assunzione di isoflavoni della soia per 2 anni non previene la perdita
di massa ossea o i sintomi della menopausa nelle donne in tale condizione
da non più di 5 anni e con densità minerale ossea ridotta. È la conclusione
di un lavoro statunitense, coordinato da Silvina Levis, del centro di Ricerca
geriatrica della Miller school of medicine, università di Miami, in cui
è stata valutata l'efficacia di questi prodotti spesso usati come alternativa
all'ormonoterapia sostitutiva. La ricerca - randomizzata, in doppio cieco
e placebo-controllo - è stata condotta tra il luglio 2004 e il marzo 2009,
coinvolgendo 248 donne di età compresa tra 45 e 60 anni, in menopausa da
meno di 5 anni e T-score uguale o maggiore a -2 nella colonna lombare e
nel femore totale.
Al campione arruolato sono stati somministrati isoflavoni della soia in
tavolette da 200 mg (122 donne) oppure placebo (126 donne). L'obiettivo
dello studio è stato quello di valutare, dopo un follow up di 2 anni, eventuali
cambiamenti della densità minerale ossea nella colonna lombare, nel femore
totale e nel collo femorale. Sono state anche valutate modifiche dei sintomi
menopausali, caratteristiche citologiche vaginali e funzionalità tiroidea.
Al termine del follow up, non sono emerse differenze significative tra le
donne che assumevano isoflavoni della soia o placebo in relazione a cambiamenti
della densità minerale ossea nella colonna (-2,0% e -2,3%, rispettivamente),
nel femore totale (-1,2% e -1,4%) e nel collo femorale (-2,2% e -2,1%).
Rispetto al gruppo di controllo, le donne nel gruppo "isoflavoni della soia"
hanno registrato un aumento di vampate e costipazione.
Anche per gli altri outcome non sono state evidenziate differenze di rilievo.
Arch Intern Med, 2011; 171(15):1363-9
32) I FITOESTROGENI RIDUCONO DEL 40% IL RISCHIO MORTALITA'
PER TUMORE AL SENO
Il rischio di morire per un cancro al seno sviluppato dopo la menopausa
e' ridotto del 40% dai fitoestrogeni, composti vegetali che mimano l'azione
degli estrogeni, gli ormoni sessuali femminili. Ne ha dato notizia il Journal
of Clinical Oncology che ha pubblicato uno studio dei ricercatori del DKFZ,
il centro tedesco di ricerca sul cancro con sede a Heidelberg. I ricercatori
hanno infatti scoperto che i livelli ematici di enterolattone - la molecola
in cui vengono trasformati i fitoestrogeni nell'intestino - sono correlati
a un minor rischio di sviluppare il tumore e di morirne. Tuttavia l'effetto
e' riscontrabile solo nelle pazienti affette da tumore alla mammella che
non esprimono il recettore per gli estrogeni: il che, spiegano i ricercatori,
da' motivo di sospettare che l'enterolattone protegga dal cancro non solo
perche' funziona in modo simile agli ormoni.
Studi condotti sugli animali, spiegano i ricercatori, hanno infatti gia'
dimostrato che la sostanza e' anche in grado di indurre la morte cellulare
e l'inibizione della formazione di nuovi vasi sanguigni.
33) I BETA-BLOCCANTI RIDUCONO IL RISCHIO DI METASTASI
Uno studio condotto su 800 donne ha rivelato che l'uso di farmaci beta-bloccanti,
generalmente utilizzati per contrastare l'ipertensione, potrebbero aiutare
a inibire la diffusione delle metastasi del cancro al seno. A sostenerlo
e' un gruppo di ricerca di studiosi anglo-tedeschi guidati da Des Powe del
Nottingham University Hospitals (Regno Unito). I farmaci beta bloccanti
sarebbero in grado di bloccare l'attivita' di una molecola sulla superficie
cellulare, nota come ''recettore noradrenergico''; una volta bloccata l'attivita'
di questa molecola le cellule neoplastiche non riescono piu' a spostarsi
in altre parti del corpo, impedendo la diffusione del tumore. ''E' assolutamente
cruciale - spiega Powe - sconfiggere la diffusione del cancro, se vogliamo
aumentare davvero la sopravvivenza del cancro al seno''.
34) L’ALCOL AUMENTA IL RISCHIO DI CANCRO AL SENO NELLE
ADOLESCENTI
Limitare il consumo di alcol potrebbe limitare il rischio di un tumore benigno
al seno nelle adolescenti che hanno una storia familiare di lesioni, sia
benigne, sia maligne, alla mammella.
A darne notizia e' Cancer, che ha pubblicato i risultati ottenuti dai ricercatori
della Washington University School of Medicine di St. Louis (Stati Uniti)
analizzando i dati riguardanti 9.000 ragazze. Secondo gli autori la probabilita'
di sviluppare una lesione benigna - che potrebbe evolvere in un tumore maligno
- raddoppia se in famiglia ci sono casi di neoformazioni al seno sia benigne
sia maligne.
Allo stesso modo, l'alcol aumenta il rischio in caso di storia familiare
di lesioni alla mammella di qualsiasi natura, ma non nelle ragazze le cui
mamme, zie o nonne non abbiano ricevuto alcuna diagnosi.
35) DOPO LA CHEMIO RISCHIO DI VUOTI DI MEMORIA
Le donne colpite da tumore al seno e curate con la chemioterapia potrebbero
subire un rallentamento dell'area cerebrale legata alla memoria e all'organizzazione.
Lo ha stabilito uno studio dell'Universita' di Stanford condotto su 43 donne
con un tumore primario al seno, 25 delle quali curate con la chemio, 18
con intervento chirurgico e altre terapie e su altre 18 donne sane. I test
cognitivi e la risonanza magnetica funzionale hanno rivelato che le donne
sottoposte a chemio mostrano maggiori problemi di memoria e pianificazione
e parallelamente una diminuzione dell'attivita' elettrica della corteccia
prefrontale, che e' legata proprio a questo tipo di funzioni cognitive.
''Questo dimostra che quando una paziente riferisce di essere alle prese
con questi problemi, c'e' una buona probabilita' che vi sia stato un cambiamento
nel suo cervello'', dice Shelli Kesler, che ha coordinato lo studio pubblicato
su Archives of Neurology
http://archneur.ama-assn.org/cgi/content/abstract/68/11/1447?view=short&fp=1447&vol=68&lookupType=volpage
36) DAL LATTE MATERNO SI PRODUCONO LE CELLULE STAMINALI
SIMILEMBRIONALI
Il team di ricercatori dell'University of Western Australia a Crawley che
nel 2008 aveva scoperto la presenza di 'cellule bambine' nel latte materno,
e' riuscito ora a coltivarle in laboratorio, dimostrando che possono trasformarsi
in cellule rappresentative di tutti e tre i foglietti embrionali umani:
endoderma, mesoderma ed ectoderma. "Possono diventare cellule ossee, cellule
delle articolazioni, cellule di grasso, cellule pancreatiche che producono
l'insulina, cellule del fegato che producono albumina e anche cellule neuronali
- assicura su NewScientist la ricercatrice Foteini Hassiotou, componente
del team di Hartmann - . Quello che e' veramente sorprendente e' che queste
cellule possono essere ottenute in quantita' abbastanza grande nel latte
materno".
Secondo l'esperta le staminali rappresentano circa il 2% delle cellule nel
latte materno, anche se il loro numero varia in base alla durata della produzione
del latte e alla pienezza del seno. Hassiotou presentera' il lavoro al VII
International Breastfeeding and Lactation Symposium di Vienna (Austria)
all'inizio del prossimo anno. La presenza di queste cellule consentirebbe
di bypassare i dilemmi etici legati all'uso delle staminali embrionali.
Ma alcuni esperti restano scettici.
"Dubito molto che cellule staminali come quelle embrionali siano normalmente
presenti nel seno - afferma Robin Lovell-Badge del National Institute for
Medical Research di Londra - . Per prima cosa, ci si aspetterebbe che in
questo caso i tumori fossero piu' comuni di quanto non siano in realtà".
Altri esperti suggeriscono che il vero test in grado di dimostrare la pluripotenza
di queste cellule richiederebbe di iniettarle nei topi e vedere se formano
teratomi. Hassitou ribadisce che ha in programma un test simile nelle prossime
settimane
37) LA FDA REVOCA AD AVASTIN L’INDICAZIONE PER IL CANCRO
AL SENO
Duro colpo per il blockbuster Avastin, bevacizumab, prodotto da Genentech.
La americana Fda, Food and Drug Administration, ha revocato l'indicazione
contro il cancro al seno per Avastin, bevacizumab, prodotto da Genentech.
Il farmaco nel carcinoma mammario metastatico non ha mostrato benefici,
"in termini di ritardo nella crescita dei tumori, tali da giustificare -
scrive la Fda - i rischi gravi che comporta". Inoltre, aggiunge l'agenzia
regolatoria, non c'e' nessuna prova che l'utilizzo di Avastin aiuti le donne
con tumore al seno a vivere piu' a lungo o a migliorare la loro qualita'
di vita. Uno stop relativo all'uso di bevacizumab in combinazione con paclitaxel
in pazienti non trattate con chemio e con una forma di tumore metastatico
Her2 negativo.
"E'stata una decisione difficile - commenta il commissario della Fda, Margaret
Hamburg - La Fda riconosce quanto sia difficile per i pazienti e le loro
famiglie affrontare il carcinoma mammario metastatico e quanto sia grande
il bisogno di trattamenti piu' efficaci. Ma i pazienti devono avere fiducia
nel fatto che i farmaci che assumono sono sicuri ed efficaci".
"Dopo aver esaminato gli studi disponibili - ha aggiunto - e' chiaro che
le donne che prendono Avastin per cancro mammario metastatico rischiano
effetti collaterali potenzialmente letali". Avastin restera' sul mercato
come trattamento per alcuni tipi di cancro: al colon, ai polmoni, ai reni
e contro il glioblastoma multiforme. Il commissario della Fda, comunicando
la sua decisione, ha aggiunto che l'indicazione relativa al cancro al seno
deve ora essere rimossa dall'etichettatura del bevacizumab. Il farmaco era
stato approvato per il carcinoma mammario metastatico nel febbraio 2008,
nell'ambito del programma di approvazione accelerata della Fda. Dopo l'approvazione
accelerata, pero', i dati relativi a due studi clinici presentati da Genentech
alla Fda "hanno mostrato solo un piccolo effetto sulla crescita del tumore,
senza evidenze che le pazienti vivessero piu' a lungo o con una migliore
qualita' della vita rispetto alla sola chemioterapia standard".
La Fda "e' impegnata" insieme alle aziende "a portare farmaci contro il
cancro sul mercato nel piu' breve tempo possibile, utilizzando strumenti
come l'approvazione accelerata", conclude Hamburg. "Incoraggio Genentech
a prendere in considerazione ulteriori studi per identificare eventuali
sottogruppi selezionati di donne colpite da tumore al seno che potrebbero
trarre beneficio da questo farmaco
38) BASSI LIVELLI DI GLUCOSIO SEMBRANO LEGATI AL RALLENTAMENTO
DEL CANCRO AL SENO
Potrebbe essere la chiave per potenziare il fuoco di fila delle nuove target
therapy contro il cancro al seno e al colon retto, prevedendo quale paziente
rispondera' meglio alle cure.
E' il glucosio: livelli bassi nel sangue,
a digiuno e prima del trattamento, sembrano essere predittivi di una progressione
della malattia al rallentatore, piu' lunga.
E' quanto ha osservato un gruppo
di ricercatori dello Sbarro Institute for Cancer Research and Molecular
Medicine di Philadelphia che, con l'italiana Human Health Foundation, ha
presentato i risultati di uno studio multidisciplinare su 420 pazienti non
diabetici in cura per un tumore al seno o per un carcinoma metastatico al
colon retto con farmaci mirati. Gli esperti hanno rilevato un'associazione
fra i livelli di glucosio e l'andamento della malattia trattata con le nuove
molecole intelligenti. Associazione particolarmente significativa soprattutto
per i pazienti con cancro al seno, spiegano gli scienziati nel lavoro pubblicato
su Annals of Oncology. "Queste scoperte potrebbero avere importanti implicazioni
cliniche sulla gestione e la prognosi dei pazienti colpiti da tumore al
seno", spiega Maddelena Barba, Ph.D e primo autore dello studio.
"Se nuovi
studi sperimentali confermassero quanto da noi osservato - riflette - potremmo
ipotizzare due conseguenze fondamentali: la prima e' che questi pazienti
dovrebbero essere sottoposti a un controllo degli zuccheri nel sangue molto
piu' serrato.
La seconda e' che la soglia per il trattamento del glucosio
cambierebbe radicalmente. Tutto questo potrebbe incidere sui tempi di progressione
della malattia e incrementare la sopravvivenza, aprendo la strada a nuove
esplorazioni della resistenza di fondo a terapie a base di farmaci a bersaglio".
Lo studio, commenta Antonio Giordano, direttore dello Sbarro Institute for
Cancer Research and Molecular Medicine, "compie un passo in avanti nella
comprensione del complesso comportamento biologico di questo tumore aggressivo.
Ora il prossimo step deve essere quello di approfondire la conoscenza delle
funzioni delle molecole chiave coinvolte nella crescita delle cellule per
progettare farmaci intelligenti in grado di bloccare il tumore", agendo
con una precisione da cecchino.
http://annonc.oxfordjournals.org/content/early/2011/11/18/annonc.mdr540.abstract?sid=39bd38b4-42e4-4720-9f5e-030b571347eb
39) NESSUN LEGAME FRA LE PROTESI MAMMARIE PIP E IL CANCRO
AL SENO
Secondo le autorità sanitarie britanniche non c'è alcuna prova di un legame
tra le protesi mammarie Pip (Poly implants protheses)e l'insorgenza di casi
di cancro. Il problema in Gran Bretagna riguarda almeno 50.000 donne.
L'allarme
era stato lanciato ieri in Francia. "queste donne non devono entrare in
panico" ha detto alla Bbc Suzanne Ludgate, direttrice dell'agenzia per il
controllo dei prodotti medici e dei farmaci (Mhra). "Abbiamo condotto diversi
test chimici e non abbiamo trovato alcuna prova".
Delle 80.000, 100.000
donne che in Gran Bretagna hanno degli impianti di prtoesi mammarie, tra
le 40.000 e le 50.000 hanno degli impianti Pip. L'agenzia aggiunge di aver
anche lavorato "in stretta collaborazione con i professionisti della salute
per studiare l'incidenza dei cancri associata a tali impianti" e spiega
di non aver "trovato alcuna prova di legame". Le protesi in silicone sotto
inchiesta, prodotte sottocosto da un'azienda francese, sono state esportate
in tutto il mondo, ricorda oggi l'Independent.
Fino ad oggi in Francia sono
stati "segnalati" otto casi di cancro al seno in donne che avevano impiantato
queste protesi, di cui uno mortale.
L'Associazione britannica di chirurgia
estetica plastica (British Association of Aesthetic Plastic Surgeons) ha
affermato che è "consigliabile" prendere in considerazione l'ipotesi di
rimuovere le protesi: "Siamo assolutamente d'accordo con la Francia. Non
è irragionevole raccomandare di toglierle a causa dell'alta percentuale
di rigetto e dello scarso controllo di qualità". Le protesi della Pip sarebbero
state fabbricate con un gel non conforme, dieci volte meno costoso del materiale
a norma, con un'alta probabilità di rottura dell'involucro e con un alto
rischio di infiammazione.
40) TROVATO IL LEGAME TRA TERAPIA ORMONALE SOSTITUTIVA
E CANCRO AL SENO
Un gruppo di ricercatori della McMaster University ha trovato prove coerenti
sul collegamento tra la terapia ormonale sostitutiva (HRT) e il cancro al
seno.
Questo studio arriva in un momento in cui sono sempre piu' numerose le donne
che fanno ricorso a questa terapia per controllare le vampate di calore
e altri sintomi della menopausa.
Gia' in uno studio del 2002, la Women Health Initiative statunitense (WHI)
aveva trovato una maggiore incidenza di cancro al seno, di infarto e ictus
tra le donne che ricorrono alla HRT. In seguito allo studio c'e' stato un
rapido declino della terapia ormonale sostitutiva con conseguente riduzione
dell'incidenza di cancro al seno in molti paesi. Tuttavia, l'HRT viene oggi
proposta alle donne in piccole dosi e per un periodo di tempo piu' breve.
Con questo studio ora i ricercatori della McMaster hanno trovato ''prove
convincenti'' per una diretta associazione tra l'uso di terapia ormonale
sostitutiva e l'aumento dell'incidenza della malattia. I risultati della
ricerca saranno pubblicati nel gennaio 2012 sul Journal of Epidemiology
e Community Health.
''Le prove sono convincenti circa il fatto che l'uso
di TOS aumenta il rischio di cancro al seno, e inoltre circa il fatto che
la sua cessazione riduce questo rischio'', hanno detto i ricercatori. Kevin
Zbuk, professore di oncologia presso il Michael G. DeGroote School of Medicine
della McMaster e autore principale dello studio ha affermato: ''Nel nostro
studio abbiamo esaminato tutti gli studi che hanno riportato i tassi di
cancro al seno e della terapia ormonale sostitutiva dopo lo studio WHI.
Ci sono prove molto chiare che i paesi con il piu' alto tasso HRT hanno
poi fatto registrare la piu' grande riduzione dell'incidenza del cancro
della mammella in seguito ala cessazione di questi tipo di terapia''. ''Se
e' necessario, questa terapia deve essere usata per il minor tempo possibile
e - ha concluso Zbuk - alla dose piu' bassa necessaria per alleviare i sintomi''.
Per approfondimenti
http://jech.bmj.com/content/66/1/1.abstract
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